Simone de Montmollin: “Questo accordo di libero scambio pone le basi per un’economia più sostenibile ed equa”
Il 7 marzo gli svizzeri voteranno sull'accordo di libero scambio con l'Indonesia. È il primo trattato che impone criteri di sostenibilità alle condizioni doganali, sottolinea Simone de Montmollin del comitato di sostegno.
La Svizzera deve attuare l’Accordo di partenariato economico globale tra gli Stati dell’AELS e l’Indonesia? Questa è la domanda a cui le cittadine e i cittadini dovranno rispondere il prossimo 7 marzo.
Il trattato facilita le esportazioni svizzere eliminando quasi tutte le tasse doganali e alcuni ostacoli tecnici. I dazi sono aboliti anche per i beni industriali importati in Svizzera. Sono previste riduzioni tariffarie per alcuni prodotti agricoli, ad esempio l’olio di palma, di cui l’Indonesia è il maggiore esportatore mondiale.
L’accordo include un articolo specifico sullo sviluppo sostenibile, in cui le parti si impegnano a preservare l’ambiente così come a rispettare i diritti umani e dei lavoratori. Si specifica che l’olio di palma potrà beneficiare di una riduzione delle tariffe doganali solo se prodotto in modo sostenibile.
Simone de Montmollin siede nel comitato di sostegno a questo accordo, composto da rappresentanti dei partiti di centro e di destra e degli ambienti economici. La consigliera nazionale liberale-radicale considera questo trattato un primo passo verso degli scambi commerciali più sostenibili.
swissinfo.ch: Cosa porterebbe alla Svizzera questo accordo di libero scambio con l’Indonesia?
Simone de Montmollin: Il testo ha richiesto quasi nove anni di negoziati. Esso pone le basi per una cooperazione economica stabile e preventivabile, che consentirà alle imprese svizzere di avere un migliore accesso al mercato, anche per quanto riguarda gli investimenti e i servizi, garantendo al contempo una maggiore certezza del diritto.
Le piccole e medie imprese ne trarrebbero beneficio?
Ci sono circa 96’000 PMI che sono già in relazioni commerciali con questa regione del mondo. I dazi doganali rappresentano ancora un notevole freno al loro sviluppo, poiché possono raggiungere il 25%, in particolare sui prodotti cioccolatieri.
Questo accordo è un punto a favore delle PMI che non hanno i mezzi delle grandi aziende per negoziare con l’Indonesia.
Perché l’Indonesia è un partner economico importante per la Svizzera?
È un Paese con una popolazione di 270 milioni di persone e un PIL di oltre 1’000 miliardi di dollari, il cui potenziale supera di gran lunga quello degli Stati Uniti. Si stima che entro il 2050 diventerà la quarta potenza economica mondiale.
L’accordo stabilisce dei requisiti di sostenibilità. Sono sufficienti a prevenire danni all’ambiente?
Come rilevano molte ONG impegnate nella produzione di olio di palma, questo accordo è il primo ad imporre criteri di sostenibilità alle condizioni commerciali. È un punto di svolta nello sviluppo dei trattati commerciali, poiché pone le basi per un’economia più sostenibile e più equa.
Il governo indonesiano dovrà innalzare i requisiti, rispetto agli standard attualmente in vigore nel paese. È un primo passo in una direzione che vorremmo vedere svilupparsi attraverso altri accordi commerciali.
È chiaro che la Svizzera, da sola, non salverà la foresta pluviale indonesiana. Ma il testo pone le basi per la valorizzazione della produzione sostenibile, poiché introduce tariffe doganali preferenziali solo per le quote di olio di palma che soddisfano i requisiti. Questo è un modo per compensare i costi aggiuntivi causati dalle condizioni ambientali e sociali imposte.
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L’accordo prevede una procedura di arbitrato in caso di controversia, ma l’articolo sulla sostenibilità è escluso da questo processo. Come si può monitorare e sanzionare?
Starà agli organismi di certificazione effettuare questi controlli. Un comitato misto avrà l’incarico di verificare il rispetto dei criteri, ma l’accordo rimane vincolante a norma del diritto internazionale. Il principio è lo stesso se si importano prodotti biologici certificati: le etichette attestano che la merce soddisfa le specifiche. Se viene rilevata una non-conformità, si applicano le sanzioni previste dalla legge e gli importatori sono responsabili.
I criteri di certificazione saranno regolarmente rivalutati dal comitato misto, che comprende delle ONG. L’obiettivo è soprattutto trovare soluzioni per migliorarli, portando i diversi partner intorno al tavolo.
Quali sarebbero le conseguenze per la Svizzera se il popolo rifiutasse questo accordo?
Penalizzeremo l’economia elvetica. In un contesto difficile e incerto come quello attuale, questo accordo offre alle imprese svizzere un vantaggio sostanziale rispetto a quelle dell’Unione Europea, che non dispongono ancora di un tale strumento. Ma soprattutto, rifiutando il trattato non risolveremmo nulla in materia di produzione sostenibile dell’olio di palma. Sarebbe un cattivo segnale per le future discussioni sugli accordi di libero scambio.
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I promotori del referendum sono contrari al libero scambio. Questi accordi sono davvero necessari per la Svizzera?
Libero scambio non significa libero da ogni condizione e vincolo. Il principio è quello di concordare regole comuni che vadano a vantaggio di tutti. Questi accordi sono importanti perché consentono di creare piattaforme di discussione con gli Stati partner e di definire i requisiti su temi come lo sviluppo sostenibile.
Nel caso dell’olio di palma, la pressione esercitata sulle autorità e sulle aziende per ottenere una maggiore equità e sostenibilità ha dato i suoi frutti: abbiamo un accordo che tiene conto di questi criteri. Non possiamo accusarlo di essere emblematico del libero scambio irresponsabile che abbiamo visto in passato. Al contrario, siamo a un punto di svolta. D’ora in poi, nessun trattato di libero scambio sarà possibile se la sostenibilità, i modi di produzione e l’agricoltura indigena non saranno messi in primo piano.
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Perché importare olio di palma dall’Indonesia quando la Svizzera produce diversi tipi di olio di qualità?
Negli ultimi 15 anni, la Svizzera ha raddoppiato la produzione di olio di colza, mentre in otto anni ha ridotto le importazioni di olio di palma di circa il 35%. Degli adeguamenti sono stati fatti laddove possibile perché i consumatori, l’industria agroalimentare e i ristoratori hanno capito che non è ideale andare a cercare dall’altra parte del mondo quel che possiamo trovare a casa. Ma questo olio ha anche proprietà utili all’elaborazione di alcuni prodotti.
Lo stesso WWF ritiene che l’olio di palma non sia da vietare perché ha rendimenti migliori di altri semi oleosi ed è una fonte di reddito per milioni di produttori. Sono gli effetti ambientali e sociali negativi che devono essere assolutamente combattuti.
Non è una forma di concorrenza sleale per gli agricoltori svizzeri?
È stato concesso solo un piccolo contingente di importazione di olio di palma in concorrenza con gli oli e i burri indigeni, pari all’1,1% della produzione di olio di colza.
La concorrenza è sleale quando un prodotto viene sostituito da un altro per ragioni puramente economiche. Questo olio sostenibile certificato ha un prezzo più alto, che spiega la tariffa doganale preferenziale. Quello che cerchiamo sono condizioni eque per i beni e i servizi importati in Svizzera.
Traduzione dal francese di Rino Scarcelli
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