Responsabilità delle imprese: la Svizzera e gli altri
Tra le questioni più controverse nel dibattito sull'iniziativa "per imprese responsabili", in votazione il 29 novembre, c'è quella relativa alla portata della proposta elvetica rispetto alle norme di altri paesi. La Svizzera si appresta a inoltrarsi da sola su un nuovo terreno giuridico?
“L’iniziativa introdurrebbe nuove norme sulla responsabilità civile delle imprese uniche al mondo.” Con queste parole la ministra della giustizia elvetica Karin Keller Sutter ha sottolineato, durante una conferenza stampaCollegamento esterno a inizio ottobre, uno dei punti cruciali dell’opposizione del governo federale all’iniziativa “per imprese responsabili”Collegamento esterno.
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La domanda è: le norme ipotizzate dall’iniziativa svizzera sono davvero più severe di quelle in vigore o in discussione in altri paesi?
La risposta non è scontata. Il tema è oggetto di dibattito e di intervento legislativo in vari paesi, soprattutto da quando l’ONU nel 2011 ha adottato i Principi guida per l’economia e i diritti umaniCollegamento esterno. Le norme adottate o in discussione in vari paesi non sono facili da paragonare, perché si basano su ordinamenti e concetti giuridici diversi. Il quadro si fa ancora più complesso se oltre che alle norme concrete si guarda anche al diritto processuale e alla giurisprudenza.
L’esempio francese
Una delle normative citate più spesso nel dibattito sull’iniziativa “per imprese responsabili” è la loi de vigilanceCollegamento esterno francese. La legge, adottata dall’Assemblea nazionale francese nel 2017, stabilisce l’obbligo per le aziende multinazionali con sede in Francia che danno lavoro ad almeno 5000 dipendenti di elaborare un piano di vigilanza per evitare le violazioni gravi dei diritti umani e ambientali da parte delle loro filiali, dei loro subappaltatori e dei loro fornitori.
Le aziende che non rispettano il loro obbligo di diligenza possono essere chiamate in sede civile a risarcire i danni causati dalla mancata o carente applicazione del piano di vigilanza.
Estendendo esplicitamente la responsabilità civile ai fornitori, la legge va al di là di quanto previsto dall’iniziativa svizzera. Nello stesso tempo, la soglia di dipendenti oltre la quale la legge è valida ne limita la portata. Il testo dell’iniziativa svizzera prevede solo di tener conto delle esigenze delle piccole e medie imprese che non operano in settori a rischio.
La legge di vigilanza francese prevede d’altro canto che la parte lesa debba dimostrare sia il danno subito, sia il legame tra il danno e la mancata diligenza dell’azienda. L’iniziativa svizzera consente invece all’impresa di sottrarsi alla responsabilità civile se può dimostrare di aver fatto uso di tutta la diligenza richiesta.Nel contesto della campagna per la votazione, questo punto è stato particolarmente criticato dagli avversari dell’iniziativa, che parlano di un “rovesciamento dell’onere della prova”.
Le opinioni di molti giuristi sono tuttavia più sfumate. In un rapportoCollegamento esterno del luglio 2019 l’Istituto svizzero dei diritto comparato osserva che un paragone è arduo, perché le definizioni di responsabilità nei due Paesi si basano su concezioni molto diverse. L’istituto tende tuttavia a considerare la prova a discarico come un fattore che modera il rigore della legge.
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Lavoro minorile e lavoro forzato
Se la legge francese, analogamente alla proposta svizzera, copre un ampio spettro di possibili, altri paesi hanno adottato normative che riguardano solo la violazione di determinati diritti umani o singoli settori economici. Nel maggio 2019, il senato dei Paesi Bassi ha approvato una leggeCollegamento esterno che obbliga tutte le aziende che forniscono beni e servizi ai consumatori olandesi a individuare i rischi legati all’impiego di lavoro minorile nella loro catena di approvvigionamento e ad adottare misure per contrastarli.
In caso di mancato rispetto dell’obbligo di diligenza, le aziende possono essere multate. Le sanzioni sono però piuttosto blande, e non sono comminate d’ufficio, ma solo se c’è un ricorso da parte di terzi. In caso di recidiva, tuttavia, possono scattare sanzioni penali. La legge non precisa invece la possibilità di ricorso in sede civile.
Il Regno Unito ha approvato già nel 2015 l’UK Modern Slavery Act Collegamento esterno, che impone alle aziende attive in Gran Bretagna con un giro d’affari superiore ai 36 milioni di sterline di presentare un rapporto annuale sulle misure adottate per evitare il ricorso a lavori forzati e la tratta di esseri umani all’interno dell’intera catena di approvvigionamento.
La legge, che si ispira a un’analoga normativa della California Collegamento esterno, prevede multe potenzialmente illimitate per aziende che non rispettano il loro obbligo di diligenza, ma non precisa la responsabilità civile delle aziende. La normativa britannica è servita da base anche per l’elaborazione di una legge sul lavoro forzato in AustraliaCollegamento esterno.
Minerali e trasparenza
In seguito alla crisi finanziaria del 2008, negli Stati Uniti è entrato in vigore nel 2010 il Dodd-Frank ActCollegamento esterno. La legge comprende una sezione dedicata all’impiego di materie prime problematiche (i cosiddetti “conflict minerals”, in questo caso tantalio, zinco, oro e tungsteno). La norma prevede un obbligo di certificazione per i minerali a rischio e stabilisce standard e regole di trasparenza sui flussi finanziari per le aziende minerarie.
Nel 2017 anche l’Unione europea ha adottato un’ordinanza sui minerali provenienti da zone di conflittoCollegamento esterno, valida per le aziende con sede nell’Unione. Un approccio analogo caratterizza il controprogettoCollegamento esterno all’iniziativa “per imprese responsabili” approvato dal parlamento svizzero, che entrerà in vigore se l’iniziativa sarà respinta. Il controprogetto prevede obblighi di rendicontazione e di diligenza nell’ambito del lavoro minorile e dei minerali di conflitto.
Dal canto suo l’UE prevede di rafforzare le sue norme sulla responsabilità delle imprese. Nuove disposizioni, che presumibilmente estenderebbero l’obbligo di diligenza ad altri settori, potrebbero essere adottate già l’anno prossimo.
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Uno sguardo alla giurisprudenza
L’iniziativa per la responsabilità delle imprese, accanto alla legge francese, rimane però l’unica che affronta in maniera generale la questione della responsabilità civile delle aziende per le azioni delle loro filiali o di altre imprese controllate. È dunque vero che la Svizzera in questo ambito si spinge in una terra incognita?
In realtà, anche altri ordinamenti giuridici prevedono elementi di responsabilità delle case madre per i danni causati dalle filiali. E se si guarda alla giurisprudenza internazionale, oltre che alla legislazione, si constata che l’iniziativa non è completamente aliena a quanto accade altrove.
Già nel 1995 la corte d’appello britannica ha stabilito, in un caso relativo ad avvelenamenti da mercurio nella filiale di un’azienda inglese in Sudafrica (Thor Chemicals Limited), che le società madri possono essere ritenute responsabili dei danni causati dalle loro filiali all’estero.
Vari casi analoghi sono discussi attualmente da tribunali britannici e canadesi. Un esempio è la causa intentata dagli abitanti di un villaggio nello Zambia contro un’azienda mineraria con sede a LondraCollegamento esterno e la sua sussidiaria nel paese africano per emanazioni tossiche.
Un’evoluzione simile può essere osservata anche fuori dal contesto anglosassone. Nel 2017 per esempio la comunità Ikebiri della Nigeria ha intentato contro l’impresa petrolifera italiana ENI una causa civileCollegamento esterno presso il Tribunale di Milano per i danni ambientali causati dalle attività estrattive da un’azienda locale controllata.
Voce dentro il coro
Un ulteriore elemento di valutazione che relativizza la portata dell’iniziativa per la responsabilità delle imprese è il diritto processuale svizzero, che pone ostacoli importanti a chi vuole intentare una causa, in particolare in termini di costi e della possibilità di ottenere documenti della controparte.
Se l’iniziativa svizzera è senza dubbio all’avanguardia nello sforzo di fornire un quadro giuridico ampio e coerente alla questione della responsabilità delle imprese nell’ambito dei diritti umani e ambientali, è altresí vero che non si può considerare una voce completamente fuori dal coro internazionale. Tanto più che la sua effettiva portata, in caso di approvazione, sarà ancora precisata in sede di dibattito sulla legge di applicazione.
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