2001: l’odissea di Swissair
La fine della prestigiosa Swissair ha davvero sbalordito, lasciando numerosi interrogativi sulle effettive capacità dell'élite nazionale di guidare il paese.
Rischiato il collasso
E chi l’avrebbe creduto possibile? Swissair, la multinazionale con 70’000 dipendenti e 16 miliardi all’anno di cifra d’affari, la classica azienda modello (o almeno ritenuta tale), una specie di religione per collaboratori, clienti e partner commerciali si è letteralmente sgretolata. Zavorrata da miliardi di debiti e messa a terra dall’assenza della necessaria liquidità per pagare il cherosene degli aerei. Una vergogna per l’intera nazione.
Zurigo, il cuore dell’alta finanza elvetica, l’ha vista davvero brutta: i 10’000 posti di lavoro persi, sacrificati sull’altare della rinascita della “fenice”, si sarebbero quintuplicati senza l’intervento della Berna federale a sostegno di una parziale ripresa da parte della nuova Crossair delle attività di Swissair. Ciò nonostante, la disoccupazione sulla Limmat è in forte crescita: ha già raggiunto il 2.4 %, il livello più alto dell’intera Svizzera tedesca.
Il Cervino spuntato?
“Sono ancor oggi indignato per lo sperpero di risorse attuato da parte di un Consiglio di amministrazione (Cda) che non si è dimostrato all’altezza” dice a swissinfo Filippo Lombardi, consigliere agli Stati democristiano. “Ma non vanno dimenticate la cecità strategica di noi politici e tutta una serie di errori concreti, ad esempio da parte dei revisori dei conti”. Ce n’è per tutti insomma.
L’attribuzione di responsabilità non attutisce comunque il senso di amarezza per la perdita di un simbolo nazionale. “Era uno dei pochi punti di riferimento sicuri, in Svizzera come all’estero” sottolinea Jean-Pierre Keller, sociologo ginevrino. Ed il crollo del mito, oltre alle prospettive economiche di molte famiglie, ha trascinato con sé anche molte certezze radicate nell’immaginario collettivo. “Il tutto era davvero inatteso: è un po’ come se si fosse staccata la punta del Cervino. Se lo immagina?” rileva Jean-Pierre Keller.
Un’immagine da ricostruire
Nei giorni caldi della crisi di Swissair (inizio ottobre), la Svizzera è stata descritta come “il regno dei dilettanti” o come “una repubblica delle banane”. Ma non era un paese modello?
La fuga del World Economic Forum, la gestione ballerina dell’Expo.01…anzi 02 e, soprattutto, la triste saga Swissair hanno effettivamente intaccato l’immagine della Confederazione. Si pensi al Belgio, dove gli accordi con Sabena sono stati bellamente ignorati; si pensi alla Francia dove le compagnie regionali abbandonate da Swissair sono giunte al punto di sequestrare i velivoli di Crossair per ottenere dei risarcimenti. Ma ci sono anche degli effetti indiretti a più lungo termine.
“E’ la credibilità del nostro paese a risentirne” osserva Filippo Lombardi. Nell’ambito della sempre crescente competizione internazionale, ciò potrebbe significare un peggioramento molto concreto delle nostre condizioni di vita. Eh sì perché, come ha segnalato il senatore ticinese, “il caso Swissair rischia di essere soltanto la punta dell’iceberg di un problema un po’ più profondo”. Quello della (in)capacità svizzera di far fronte alle crisi.
Il ruolo dell’élite
Nel caso Swissair sono innegabili errori di gestione al limite dell’incredibile. Dopo il rifiuto popolare dello SEE nel 1992, la Swissair si è trovata nella necessità di concludere delle alleanze in Europa. Poi però, la strategia “Hunter” di Bruggisser, avallata dal Cda, composto da fior fior di rappresentanti dell’economia e della politica profumatamente pagati, si è rivelata fallimentare su tutta la linea. Non era possibile prevederlo prima che fosse troppo tardi?
Ad inizio ottobre poi il peggio: gli aerei di Swissair e migliaia di passeggeri costretti a terra. Un danno irreparabile. Le grandi banche, che dal punto di vista prettamente economico hanno salvato il salvabile riscattando la vecchia Crossair, non hanno ritenuto opportuno garantire l’esercizio anche nella fase transitoria. Il governo, piuttosto accantonato in quella fase della vicenda, ha reagito in ritardo. E tutti i valori sociali, politici e storici che caratterizzavano Swissair sono stati spazzati via.
Insegnamenti da trarre
Filippo Lombardi commenta pragmatico: “Noi politici dobbiamo imparare ad anticipare le catastrofi, prevedendo le possibili crisi e lavorando per scenari. I responsabili dell’economia devono invece ricominciare a considerare anche i valori fondamentali indispensabili per la costruzione di una società sana. Tra questi anche la responsabilità etica”. Anche a livello regionale.
In un contesto nel quale la politica è necessariamente radicata nel territorio mentre l’economia opera ormai su scala internazionale, ciò non è più così scontato. In certi casi la dimensione politica è letteralmente schiacciata da quella economica. Tanto che alcuni non parlano più di modello liberale, tra i presupposti del quale vi è proprio una distribuzione equilibrata delle responsabilità tra i diversi attori.
Tutt’altra analisi quella proposta da Jean-Pierre Keller. “La Svizzera e gli svizzeri in generale sono un po’ troppo sicuri di sé, ritenendosi spesso migliori e diversi dagli altri. L’affare Swissair ha dimostrato che non è così. Ciò può anche essere positivo: rendersene conto può aiutare ad avere una visione più reale dei nostri pregi e dei nostri difetti” dice il sociologo ginevrino. Un po’ come dire che non è possibile rifugiarsi nel proprio piccolo mondo dorato. Nulla è scontato. Nemmeno che Swissair non possa fallire…
Ricreare il mito?
Ora si riparte a bordo di Crossair. Una nuova compagnia che, stando ai presupposti e alle garanzie finanziarie di cui dispone, potrà decollare sana. “Ma niente sarà più come prima” sottolinea Filippo Lombardi.
Il mito rinascerà? “Difficile. Nel caso di Swissair, oltre alla storia, anche il nome ha avuto la sua importanza” risponde Jean-Pierre Keller. “Swissair simboleggiava la Svizzera anche nel nome. La denominazione di Crossair è invece anonima: potrebbe benissimo rappresentare una compagnia americana”. Mah. E se un giorno lo sarà davvero? Eh già, tutto è possibile…
Marzio Pescia
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