Alla ricerca di crediti per piccole aziende
I piccoli imprenditori nei paesi poveri stentano a trovare i finanziamenti. Ma anche per le piccole e medie aziende svizzere si tratta di una corsa a ostacoli.
Diffidenza degli operatori bancari, pastoie burocratiche, esperimenti di nicchia: piccolo giro d’orizzonte nella politica per le piccole e medie aziende nel sistema Elvezia.
Le Nazioni Unite promuovono per tutto il 2005 il microcredito. Con un anno speciale si vogliono moltiplicare quei contributi finanziari minimi che permettono di dare slancio all’economia dal basso, sostenendo le imprese più piccole.
Nei paesi in via di sviluppo, il benessere inizia infatti con la barca nuova per il pescatore o con un camioncino che porta i prodotti della campagna al mercato, garantendo ad una cooperativa contadina un reddito sicuro. Ma come stanno le cose in Svizzera?
Svizzera, regno delle PMI
Il piccolo mercato altamente sviluppato svizzero non è, in sostanza, molto diverso da quello di altre realtà: alcuni settori – chimica, industria alimentare, la metallurgia e il settore bancario – sono dominati da colossi con migliaia di impiegati.
Intorno a loro sono le piccole e medie imprese (PMI) che fanno girare il resto del prodotto interno. A livello europeo la Svizzera si trova nel gruppo di testa per quel che riguarda la frammentazione della responsabilità imprenditoriale. Solo a sud del continente – in Grecia, Italia o Portogallo – la cultura della bottega artigianale è ancora più marcata.
Problemi di finanziamento
Se le Nazioni Unite si preoccupano dei piccoli nel mondo, anche in Svizzera ci si preoccupa da alcuni anni delle PMI. Non è tanto la pressione fiscale, minore rispetto ai paesi limitrofi, ma la ricerca dei soldi per nuovi investimenti a creare grattacapi.
«A fine anni Ottanta, le speculazioni – soprattutto nell’edilizia – hanno fatto perdere molti soldi alle banche. Questo ha portato ad una revisione dei principi di credito che oggi sfavoriscono i piccoli», spiega a swissinfo il responsabile del dossier presso il Segretariato federale dell’economia (seco), Philippe Jeanneret.
Nel frattempo le cose sono migliorate, dicono i sondaggi effettuati dal seco, ma la situazione rimane tesa. La comunicazione fra piccoli imprenditori e banche rimane infatti difficile: gli uni hanno spesso poca affinità con piani finanziari e i bilanci, le altre vogliono invece le spalle coperte, chiedendo garanzie e orientandosi alla redditività.
«Inoltre gli istituti di credito non concedono più prestiti sotto i 100’000 franchi, perché gli interessi non ricompensano gli accertamenti necessari», continua Jeanneret. Questo rende la vita pesante a chi ha una piccola attività e ha bisogno di liquidità per macchinari o nuovi computer.
La reazione delle istituzioni
Cosciente dell’importanza del settore, il seco ha istituito da alcuni anni un ufficio che si occupa esclusivamente delle PMI. Qualcosa si è raggiunto: importanti sono la standardizzazione e la semplificazione delle procedure per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) e per il versamento dei contributi assicurativi (vecchiaia e invalidità), come lo sportello virtuale per le pratiche amministrative, anche se il federalismo ne mitiga gli effetti.
Un altro cantiere aperto è quello della formazione degli imprenditori: solo una conoscenza adeguata dei meccanismi finanziari può assicurare il futuro aziendale e convincere i creditori.
Gli stessi banchieri sono stati convocati a Berna dal ministro dell’economia. L’appello per allentare gli stretti limiti è stato depositato, ma lo Stato non vuole ingerire maggiormente nelle regole del libero mercato.
Nicchia scoperta
Negli ultimi anni sono però nate delle iniziative private molto interessanti, anche se dalla portata limitata. Una piccola «boutique» finanziaria di Zugo ha per esempio lanciato un «bond» per le PMI. Alla stregua di un fondo di investimento, i risparmiatori possono comperare le quote. Il capitale raccolto viene ridistribuito in forma di crediti su piccole e soprattutto medie aziende.
La differenziazione per campo d’attività minimizza il rischio: nessun settore di produzione può avere oltre il 10% del capitale raccolto. E il successo della proposta è stato strepitoso, l’interesse enorme: la prima emissione della primavera 2004 ha raccolto 249 milioni di euro; con la seconda si è più che raddoppiato a 616 milioni di euro.
Già, euro e non franchi. L’iniziativa è infatti svizzera, ma è diretta solo al mercato tedesco. Questo perché, contrariamente al limitato mercato svizzero – spiegano i promotori – il mercato tedesco offre la massa necessaria per una simile operazione. Inoltre in Germania questi prestiti alle PMI possono essere parzialmente dedotti dalle tasse; un incentivo sconosciuto alle nostre latitudini.
Rinascita del microcredito
Anche alla base, nel vero settore dei microcrediti, si muovono alcune iniziative. Fra queste c’è la fondazione romanda «Omage», che concede prestiti a condizioni accessibili a chi vuole mettersi in proprio. In un percorso che dura più mesi, gli esperti della fondazione analizzano il piano aziendale e danno la loro consulenza per fare di una buona idea un successo commerciale.
«Per il momento si tratta di esperimenti che seguiamo con attenzione e sosteniamo parzialmente», afferma Philippe Jeanneret. Finora queste organizzazioni erano concentrate intorno ai programmi di disoccupazione, ma il bisogno di questo tipo di istituzione è già appurato.
«Però – relativizza Jeanneret – questo sistema misto di consulenza e piccolo credito non potrà mai essere redditizio per un istituto di credito». Dunque non potrà diventare la nuova via per dare un futuro a quell’universo della produzione in piccolo.
swissinfo, Daniele Papacella
In Svizzera, il 66% dei lavoratori, oltre due milioni di salariati, è attivo in un’azienda con meno di 250 impiegati.
L’87,9% delle ditte registrate nel 2001 occupa addirittura meno di 10 persone.
I microcrediti di poche centinaia di dollari, che possono produrre miracoli nei paesi in via di sviluppo, in Svizzera non sono sufficienti.
Ma anche nel paese delle banche le piccole ditte hanno difficoltà a reperire i fondi per l’innovazione. Colpiti sono soprattutto i settori con redditività limitata, come il turismo.
La banche elvetiche, bruciate dalle bolle speculative degli anni Ottanta, non dimostrano particolare generosità nel sostenere piccole iniziative imprenditoriali. Per questo si cercano soluzioni alternative.
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