Anche la Svizzera vittima del crollo della Borsa

Questa settimana ricorre il 75esimo anniversario del crollo della borsa di Wall Street, che causò una crisi economica a livello planetario. La Svizzera non ne fu immune.
La crisi marcò il paese per un lungo periodo, sebbene si manifestò in modo più discreto che altrove, stima lo storico Bernard Degen.
Tutto ebbe inizio il giorno del cosiddetto “Giovedì nero”: il mattino del 24 ottobre 1929 il corso della Borsa di New York precipitò in un profondo baratro.
Il crollo proseguì anche durante i giorni seguenti, ricordati come il “Venerdì nero”, il “Lunedì nero” ed il “Martedì nero”. Il mondo dovette affrontare il più grande crack borsistico della storia.
Il crollo fu il punto d’inizio di una depressione economica a livello planetario, che colpì violentemente numerosi paesi e milioni di persone.
In Europa, la Germania fu particolarmente toccata: tre anni dopo, si registravano infatti oltre sei milioni di disoccupati.
Una situazione che favorì, nel 1933, l’ascesa al potere di Adolf Hitler.
Più tardi, ma per più a lungo
Gli effetti del crollo di Wall Street non mancarono di manifestarsi anche in Svizzera.
Le ripercussioni non furono però così catastrofiche come in altre nazioni, sebbene furono sentite per un periodo più lungo, spiega a swissinfo Bernard Degen, professore dell’Istituto di storia dell’Università di Berna.
“L’economia interna, soprattutto nel settore dell’edilizia, era in buona salute. Dopo la Prima guerra mondiale, la marcata penuria di alloggisi aveva portato ad una forte domanda di nuove abitazioni”, spiega Degen.
Azioni solo per i ricchi
Le ripercussioni furono di bassa intensità anche per la Borsa svizzera.
“A quell’epoca, la borsa elvetica non svolgeva ancora un grande ruolo, siccome le ditte svizzere si finanziavano in modo autonomo o tramite i crediti forniti dalle banche”, ci dice Degen. “Il grande crollo avvenne solamente nel 1931”.
Il professore di storia ricorda che i detentori di azioni erano in prevalenza cittadini facinorosi e “non sicuramente dei piccoli azionisti che investivano i loro risparmi”.
Una situazione diversa da quella negli Stati Uniti, dove l’acquisto di titoli borsistici era un fenomeno che coinvolgeva varie fasce della popolazione, compresi coloro con redditi limitati.
Le banche riuscirono a sopravvivere
Per quel che concerne il settore bancario, furono colpiti gli istituti che disponevano di succursali all’estero. Non fu possibile recuperare i soldi persi, come ad esempio dalla Germania, che impose una moratoria sui pagamenti.
“Le banche cantonali, i cui creditori erano soprattutto svizzeri, non hanno dovuto affrontare grossi problemi”, sottolinea Degen.
Una sorte che non fu condivisa dal settore dell’industria. Le ditte orologiere, tessili, metallurgiche ed i produttori di macchinari orientati verso l’esportazione furono infatti particolarmente colpiti.
Il professore dell’Università di Berna ricorda che “molti settori riuscirono poi a risollevarsi, ma alcuni scomparsero per sempre, come fu il caso degli stabilimenti di tessitura della seta presenti nella città di Basilea”.
Il viso nascosto della crisi
La crisi in Svizzera raggiunse il suo apice nel 1936, quando la lista dei disoccupati registrò 125’000 persone.
Ancora una volta, lo scenario non fu tuttavia paragonabile a quello americano, dove i senza lavoro ed i senza alloggio abbondavano nelle strade.
“I disoccupati erano comunque visibili anche da noi, come mostrano le file d’attesa al di fuori degli uffici di collocamento di Zurigo, Basilea o Ginevra riprese in certe foto”, ricorda Bernard Degen.
“Non ci sono però stati assembramenti spettacolari, siccome le imprese tessili ed orologiere più colpite erano stabilimenti di piccole dimensioni e sparsi un po’ ovunque nel paese”, fa notare lo storico.
Piano di crisi
Per quel che riguarda il mondo politico, Parlamento e Consiglio federale hanno messo in atto un vero e proprio programma di crisi.
Fino al 1936, la politica è così stata contrassegnata dal proseguimento di un certo equilibrio budgetario e dai risparmi.
Per raggiungere questo scopo, il Parlamento ha utilizzato ogni mezzo disponibile, come racconta Degen: “Tipico di quell’epoca è il ricorso del Parlamento al decreto federale urgente, che esclude ogni referendum”.
Questo modo di agire è stato abbandonato nel 1949, dopo che i cittadini accettarono l’iniziativa popolare “Ritorno alla democrazia diretta”.
Una storia che si ripete
Il crack del 1929 è stato il preludio di una serie di crolli borsistici, che ad intervalli irregolari colpiscono, ancora oggi, gli azionisti.
“Da quando nel 2000 ha preso piede la speculazione legata alla “new economy”, molti piccoli azionisti sono stati toccati, contrariamente a quanto successo nel 1929”, indica lo storico.
La base finanziaria di chi gioca in borsa è però oggi più vasta ed i crolli si manifestano in modo meno violento. “Il contraccolpo registrato negli USA nel 1929 è stato ben maggiore di quelli registrati in seguito”, conclude Degen.
swissinfo, Renat Kuenzi
(traduzione: Luigi Jorio)
Il crollo della Borsa di New York nell’ottobre del 1929 fu l’inizio di una crisi economica mondiale, denominata “la Grande Depressione”.
Non soltanto negli USA, ma anche in tutta l’Europa ci furono milioni di disoccupati.
In Svizzera si registrò, nel 1936, il record di 125’000 senza lavoro.
Ad eccezione dell’industria degli armamenti, la crisi si fece sentire fino alla fine della Seconda guerra mondiale.
Tra il mese d’ottobre del 1929 e l’estate del 1932, il corso della borsa americana è caduto del 90%.
L’indice Dow Jones di Wall Street è sceso dai 381 punti del settembre 1929 ai 41,22 dell’estate del 1932.
Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti superò, in quell’estate, il 25%.
Il Dow Jones raggiunse di nuovo i 381 punti soltanto 25 anni più tardi.

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