Un’esposizione per le specie animali svizzere minacciate
La fondazione ProSpecieRara salva dall’estinzione le specie animali e vegetali svizzere tradizionali. Ogni 5 anni, gli amanti degli animali hanno la possibilità di vederli da vicino.
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Switzerland’s endangered species on show
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ProSpecieRara è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1982 per proteggere le specie animali e vegetali a rischio di estinzione.
Quest’anno, gli allevatori di animali minacciati si sono riuniti nel canton Argovia per spiegare al pubblico perché, secondo loro, è importante preservare differenti razze.
Molte delle mucche, pecore, capre e polli di ProSpecieRara sono più piccoli rispetto ai loro cugini allevati in modo intensivo dagli anni ‘30 per la produzione di carne, latte e uova. Tuttavia, le razze tradizionali, anche se crescono meno velocemente, sono più robuste e si sono adattate a un terreno ostile e a un clima sfavorevole. A loro basta l’erba e il fieno. Mantenerle è dunque meno dispendioso.
Più di 3’000 persone e istituzioni sono coinvolte nei progetti dell’organizzazione. Le associazioni di allevatori mantengono un registro che permette di sapere quanto strettamente un particolare animale è imparentato a un altro, così da evitare il problema della consanguineità.
Traduzione dall’inglese, Zeno Zoccatelli
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Perché abbiamo bisogno degli animali da allevamento tradizionali?
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Ricercatori svizzeri e agricoltori stanno lottando contro il tempo per salvare le antiche razze da allevamento, prima che queste vengano soppiantate da razze bovine più produttive. In Europa come in Africa, il bestiame tradizionale si adatta meglio alle condizioni locali e alle sfide ambientali.
Negli ultimi dieci anni, il numero di vacche lattifere in Svizzera è diminuito, ma ciononostante il settore caseario ha prodotto più latte. Capire il perché è facile: nel 2013, una mucca svizzera produceva in media 4 kg di latte in più al giorno rispetto al 2000, indica l’Ufficio federale di statistica.
L’aumento della produttività è in parte dovuto alla selezione delle razze allevate, che consente agli agricoltori di favorire il bestiame che presenta determinate caratteristiche. Questa selezione comporta però anche dei risvolti negativi: col tempo, il fatto di puntare troppo sulla produttività può condurre alla sparizione di alcuni tratti genetici, inclusi quelli che hanno consentito alle razze tradizionali di adattarsi al loro ambiente.
«Molte razze di origine svizzera sono a rischio siccome non sono altrettanto produttive di quelle moderne», dice a swissinfo.ch Catherine Marguerat dell’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG).
«Le razze [tradizionali] sono molto preziose per la Svizzera se si considerano i pericoli dei futuri mutamenti nell’ambiente. Queste razze sono solitamente molto robuste e potrebbero avere dei geni che consentono di affrontare meglio le sfide ambientali».
Un problema nei paesi di sviluppo
L’essere umano addomestica le specie animali da secoli. Il concetto di “razza” è però nato soltanto circa 200 anni fa, quando gli agricoltori iniziarono a selezionare alcuni animali sulla base delle caratteristiche fisiche che rendevano le bestie più interessanti per l’allevamento.
Stéphane Joost, ricercatore del Politecnico federale di Losanna (EPFL), stima che nel corso del XX secolo circa il 16% delle razze animali da reddito si è estinto, mentre il 15% è stato minacciato di estinzione a causa dell’allevamento selettivo.
Nei paesi in via di sviluppo, il problema della conservazione della diversità genetica delle razze da allevamento tradizionali è più grave che negli Stati industrializzati, tra cui la Svizzera, spiega Stéphane Joost, responsabile di un progetto di ricerca di recente pubblicazione della Fondazione europea per la scienza (FES), e coordinato dall’EPFL.
Con la promessa di una produttività a corto termine, molti agricoltori preferiscono le razze “cosmopolita” a quelle locali. Spesso, però, gli animali non autoctoni muoiono siccome non sono adattati al clima locale. Sono inoltre vulnerabili alle malattie del posto.
Ad esempio, il bestiame nel Burkina Faso è minacciato dalla tripanosomiasi, un’infezione parassitaria trasmessa dalla mosca tse-tse che causa la morte di un milione di animali all’anno. Le mucche della razza indigena Baoule presentano una resistenza genetica alla malattia. Quelle della razzia asiatica Zebuine, preferite per la loro forza e la loro produzione di carne e latte, sono invece estremamente vulnerabili.
Un team internazionale di ricercatori ha studiato la genetica delle due razze e gli sforzi degli allevatori per combinarle. Il loro scopo è di capire come meglio preservare la resistenza alla malattia delle Baoule e la robustezza fisica delle Zebuine. La FAO prevede di pubblicare i risultati del progetto della FES in forma elettronica e stampata, così da consentire agli agricoltori nei paesi in via di sviluppo di avere accesso alle informazioni.
Tradizione svizzera
Il progetto di ricerca della FES sul bestiame in Africa può essere implementato anche alla Svizzera, ritiene Stéphane Joost. «Con il riscaldamento globale, ad esempio, la Svizzera e altri paesi alpini saranno confrontati con condizioni più rigide rispetto alle nazioni circostanti con un territorio pianeggiante. A causa della sua topografia, buona parte dei bovini, delle pecore e delle capre sono sulle montagne».
Con l’aumento della temperatura, spiega, l’erba dei pascoli - che rappresenta la dieta principale della maggior parte delle vacche lattifere in Svizzera - crescerà a una quota più elevata sui versanti montani, più vicino alle vette rocciose. In questi habitat in altitudine, più aridi, l’erba è tuttavia destinata a diventare scarsa e meno nutritiva.
Una sfida dietetica che non dovrebbe comunque preoccupare i bovini d’Evolène della Val d’Hérens, in Vallese. La tradizionale razza svizzera, oggi minacciata di estinzione, ha una costituzione robusta e un metabolismo che le consente di sopravvivere anche quando le risorse alimentari sono limitate.
«È un vantaggio importante disporre di razze robuste e adattate che sono in grado di nutrirsi di un’erba di qualità potenzialmente inferiore, mantenendo però un alto livello di produzione», osserva Stéphane Joost.
Evolène, piccole ma robuste
Negli ultimi anni, le vacche d’Evolène si sono lentamente riprese grazie agli sforzi di conservazione della fondazione senza scopo di lucro ProSpecieRara e di allevatori indipendenti come Adrienne Stettler, proprietaria di una pittoresca fattoria a Utzigen, vicino a Berna. Oggi in Svizzera si contano tra i 400 e i 450 bovini d’Evolène, di cui 20 appartengono a Adrienne Stettler, che le alleva sia per la carne sia per il latte.
Malgrado la loro dimensione relativamente piccola - l’altezza al garrese è di 115-130 centimetri contro i 147 in media di una Holstein - le vacche d’Evolène sono delle buone produttrici di latte, con circa 5'000 litri all’anno, spiega Adrienne Stettler. Le Holstein possono produrre il triplo di latte, ma necessitano in compenso di più cibo e sono più esposte alle malattie.
Una razza ottimale
Negli ultimi dieci anni, spiega Catherine Marguerat, la Svizzera ha fatto dei progressi: ha accresciuto la dimensione delle popolazioni di razze di bovini rare, aumentato la diversità genetica, intensificato i programmi di conservazione e sensibilizzato il pubblico. C’è però ancora del lavoro da fare.
«Dobbiamo sviluppare dei piani di emergenza per le razze in via di estinzione nel caso in cui scoppiasse un’epidemia e costituire delle banche genetiche per pecore, conigli e galline. Dobbiamo inoltre incoraggiare un numero maggiore di allevatori a partecipare ai programmi di conservazione», afferma.
Per il futuro dei programmi di selezione del bestiame, sottolinea, sarà essenziale trovare un equilibrio tra l’adattamento genetico tradizionale e le caratteristiche moderne di produttività. «Una razza ottimale è quella che è bene adattata alle condizioni locali della Svizzera e che può nutrirsi principalmente di erba e fornire prodotti di alta qualità».
Catherine Marguerat e Stéphane Joost partecipano entrambi a GENMON, un progetto che coinvolge l’UFAG e l’EPFL e che dovrebbe essere lanciato l’anno prossimo. L’obiettivo è di sviluppare uno strumento per monitorare le risorse genetiche animali in Svizzera.
«[GENMON] permetterà alle associazioni di allevatori e al governo di valutare la sostenibilità delle attività di allevamento per le razze svizzere. Fornirà informazioni sul grado di rischio e la popolazione, integrando anche parametri socioeconomici e ambientali», indica Catherine Marguerat.
Animali più vulnerabili alle malattie
Il servizio di monitoraggio della biodiversità del Dipartimento federale dell’ambiente indica che, dalla seconda metà del XX secolo, l’agricoltura svizzera si concentra su un piccolo numero di razze da allevamento.
Oggigiorno, la perdita sempre più accentuata di razze animali è ulteriormente aggravata dall’aumento delle razze ibride moderne, più produttive. Con la riduzione della diversità genetica, le popolazioni di animali da allevamento tendono alla consanguineità e quindi a una maggiore uniformità, ciò che le rende più vulnerabili alle minacce esterne quali parassiti e malattie.
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La Fondazione ProSpecieRara si batte dal 1982 in favore di animali, piante, specie antiche di frutta e verdura, utilizzati in agricoltura, che in Svizzera rischiano l’estinzione. In questa serie d’immagini è possibile ammirare i mammiferi inseriti nei programmi di ProSpecieRara.
Da Berna a Mosca, la sfida del clima e della biodiversità
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Il mondo una volta si stupì di come la Svizzera costruì lo “scivolo di Alpnacht” per coltivare pini sul massiccio del Pilatus e trasportarli verso i mercati europei. Due secoli dopo, ad attirare l’attenzione globale è invece la lezione imparata dagli svizzeri per aver utilizzato troppo legname.
Nel 1812 gli ingegneri finirono di trasformare 25'000 alberi di pino in una sorta di scivolo di legno che dalla cima del Pilatus scendeva ad Alpnach. Tronchi lunghi fino a 30 metri venivano fatti scivolare a valle fino al villaggio sulle rive del Lago dei Quattro Cantoni, da dove venivano poi trasportati via fiume fino al mare.
Ad Alpnach, il sindaco Heinz Krummenacher racconta che gli anziani del posto continuano a sostenere che «Rotterdam è stata costruita con il loro legname». All’interno della chiesa cattolica romana del villaggio, centinaia di travi di pino ammuffite e scalini di legno s’intrecciano verso l’alto fino a formare un campanile di 91 metri.
La torre si affaccia sulla zona palustre più grande della Svizzera. La sua superficie (130 km2) è poco più grande di quella del lago che bagna Lucerna. La torbiera alta del Glaubenberg, tra la regione dell’Entlebuch e il lago di Sarnen, è stata fortemente danneggiata dalle pratiche del passato. Oggi è però gestita secondo leggi sulla protezione del territorio molto severe.
«È il paesaggio più protetto in Svizzera», afferma Rolf Manser, responsabile della divisione “Foreste” all’Ufficio federale dell’ambiente, facendo riferimento all’accettazione dell’iniziativa Rothenthurm nel 1987, che sancì nella Costituzione la protezione delle paludi e delle zone palustri di particolare bellezza.
«Con lo statuto di protezione, credo che qui in Svizzera abbiamo risolto i nostri problemi. Penso che sia un buon esempio di ciò che potrebbe essere fatto anche altrove in Europa», ritiene Rolf Manser, che nel mese di novembre ha accompagnato i colleghi europei per una visita di questo particolare ecosistema.
Distribuire e gestire correttamente le risorse
Centinaia di responsabili della gestione delle foreste provenienti da tutto il mondo si incontrano una volta ogni due anni nel quadro di un sessione congiunta di due comitati delle Nazioni Unite. L’ultimo incontro è stato organizzato nella località alpina di Engelberg. Nel comune del canton Obvaldo sono state condivise idee e ricerche e sono state organizzate visite delle foreste e delle zone palustri circostanti.
Esponenti di 39 paesi si sono accordati sull’importanza di integrare i cambiamenti climatici nei loro programmi e strategie nazionali sulle foreste. Hanno inoltre riconosciuto il ruolo essenziale che le foreste e i “servizi forestali” svolgeranno nei prossimi 15 anni nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU.
L’80% delle foreste europee si trova in Russia e la taiga cattura fino a 600 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Molte delle grandi sfide con cui sono confrontate le foreste russe (tra cui il riscaldamento globale e il commercio illegale) sono diffuse in tutta Europa, rileva Alexander Panfilov, vice capo dell’Agenzia federale russa per le foreste.
«Il problema non è la dimensione del paese. Una gestione sostenibile delle foreste deve riuscire a distribuire e a gestire le risorse nel modo giusto», dice a swissinfo.ch Alexander Panfilov, che paragona l’industria forestale in Svizzera con quella in Russia, dove il 40% delle foreste sono di tipo alpino. «Riteniamo che il ruolo delle foreste nell’equilibrio climatico sia sottovalutato. Lo abbiamo sottolineato durante la sessione congiunta di Engelberg».
I responsabili forestali europei «hanno capito che la collaborazione è importante» e hanno discusso su come migliorarla, indica Rob Busink, consigliere politico presso il Ministero dell’economia dei Paesi Bassi. «Non c’è una legge unica per le foreste europee. Ogni paese [dell’Unione europea] ha le sue norme», osserva. «In ogni nazione abbiamo una definizione diversa di foresta».
Utilizzare lo stesso approccio ovunque è impossibile, anche perché le foreste europee presentano grandi differenze a livello di caratteristiche, dimensioni e densità. I cambiamenti climatici e l’istituzione di “un’economia verde” nell’UE rappresentano le sfide principali, afferma Rob Busink.
«Dobbiamo utilizzare più legname per rimpiazzare i materiali non sostenibili quali cemento e acciaio. Ciò significa però che il maggior bisogno di legname metterà ancor più sotto pressione le foreste europee», avverte. «Sapendo come lavorano, penso che altri paesi possano imparare dalla Svizzera».
Intervenire sulla natura
Nella zona palustre del Glaubenberg, la legge elvetica vieta la costruzione di nuove case e strade. Sono invece permesse le attività tradizionali quali il taglio degli alberi e i pascoli.
I responsabili forestali sono dell’idea che, invece di lasciare che la natura segua il suo corso, si debba tagliare un numero sufficiente di pini e di altre conifere affinché il sottobosco - che favorisce incendi e malattie - non si sviluppi in maniera eccessiva. La zona, tutt’altro che immacolata, è un miscuglio di vecchie strade, abitazioni, sentieri, recinzioni e tronchi d’albero.
L’erosione, le malattie, le specie invasive e lo sfruttamento eccessivo affliggono le paludi di pianura e di alta quota, le foreste e i pascoli alpini. Circa tre anni fa, è stato individuato un nuovo fungo che colpisce gli aghi dei pini. Il parassita pone le autorità federali e del canton Obvaldo di fronte a un grande dilemma siccome il suo trattamento potrebbe comportare l’eliminazione degli alberi malati, una soluzione che non entusiasma nessuno.
Biodiversità
La Svizzera sta ora monitorando la biodiversità, ciò che significa tentare di considerare le esigenze di tutte le forme di vita che vivono in una determinata area. Questo approccio sta suscitando sempre più interesse in Europa e altrove ed è direttamente collegato alle lezioni imparate in passato.
Dopo importanti perdite a livello di habitat forestale e di fauna, nella seconda metà del XIX secolo la Svizzera ha adottato delle leggi nazionali per proteggere le foreste, imporre delle zone protette, ridurre i periodi di caccia e nominare dei guardacaccia. Questo ha consentito alle foreste e alla fauna di ristabilirsi, anche se ci sono state più perdite per l’agricoltura e la gestione delle risorse idriche.
Con una legge del 1986 c’è stato un cambio di paradigma fondamentale: si è passati dalla protezione di specie e di animali “benefici” alla conservazione delle specie e degli habitat. Nel 2012, il governo ha inoltre approvato una nuova strategia sulla biodiversità e sui “servizi dell’ecosistema”, ovvero quei servizi che contribuiscono alla nostra qualità di vita.
«In Svizzera non siamo sempre stati consapevoli di questo. I nostri antenati utilizzavano troppo legname e le numerose capre appartenenti alla povera gente hanno mangiato troppi giovani alberelli», ha detto la ministra dell’ambiente Doris Leuthard alla conferenza sulla foreste.
«Il legname delle foreste svizzere era trasportato a Rotterdam per la costruzione della città e di imbarcazioni», ha rammentato. «Questo ha contribuito in modo significativo ai gravi problemi che abbiamo avuto 150 anni fa: l’acqua e i detriti dalle valli alpine come qui a Engelberg causarono inondazioni che raggiunsero le pianure e le città».
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