Crisi del debito, un puzzle coi tasselli ancora sparsi
Dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, la crisi del debito sembra ormai essersi propagata anche all’Italia. L’analisi dell’economista e giornalista Lino Terlizzi.
Dopo il lunedì nero caratterizzato da una perdita record alla Borsa di Milano e da un forte aumento dei tassi d’interesse sui buoni del tesoro italiani, sui mercati finanziari sembra essere ritornata una certa tranquillità.
La calma prima di una nuova tempesta? «Nessuno può dire se la crisi è destinata ad allargarsi», osserva Lino Terlizzi. Secondo il vicedirettore del quotidiano ticinese Corriere del Ticino e corrispondente per la Svizzera de Il Sole 24 Ore, «il puzzle è sul tavolo e tutti i vari tasselli sono ancora in ordine sparso».
swissinfo.ch: La Borsa di Milano in caduta libera, i tassi di interesse sulle obbligazioni di Stato che schizzano a livelli record… Può spiegarci quello che sta succedendo?
Lino Terlizzi: Il punto centrale per spiegare le tensioni degli ultimi giorni e settimane è l’eccessivo indebitamento non solo a livello italiano o europeo, ma di molte regioni sviluppate, Stati Uniti compresi. Negli scorsi anni, in molti paesi è stato fatto l’errore di accumulare una mole eccessiva di debiti, soprattutto pubblici ma anche privati, come nei paesi anglosassoni.
Oggi il nodo sta venendo al pettine e si riflette ovviamente sulle obbligazioni pubbliche, che servono a rifinanziare il debito degli Stati. Per comperare obbligazioni di paesi che hanno già un indebitamento elevato, gli investitori chiedono interessi più alti perché ritengono che il rischio sia maggiore. Per questa ragione la differenza tra il tasso d’interesse che bisogna pagare per vendere sul mercato un’obbligazione pubblica italiana, greca o portoghese e il saggio applicato sul Bund tedesco (l’equivalente tedesco dei buoni del tesoro, ndr), considerato uno dei punti di riferimento vista la virtuosità delle finanze tedesche, è cresciuto molto.
swissinfo.ch: Perché oggi a finire nel mirino è l’Italia e perché proprio in questo momento?
L.T.: In Italia i problemi fondamentali sono due, uno è quello dell’indebitamento, l’altro è legato alla crescita economica, che ormai da anni è in media inferiore a quella degli altri principali paesi dell’Unione Europea.
A questi due fattori, che non sono per nulla nuovi, se ne è aggiunto un terzo, ossia l’elevato tasso di incertezza politica. Nel 2008 il governo è partito con un’ampia maggioranza, poi strada facendo questa maggioranza si è ridotta e nelle ultime settimane lo stesso ministro Tremonti – che si è reso garante della stabilità dei conti pubblici – è stato messo sotto accusa all’interno della sua stessa coalizione. Questa incertezza si è riflessa soprattutto sulla manovra di riaggiustamento dei conti pubblici, su cui fin qui non c’è stata una grande chiarezza né sui tempi né sui modi. Sui mercati si è così innescato il timore che si andasse troppo per le lunghe, da un lato per l’approvazione in parlamento, dall’altro per il fatto che la manovra è diluita su più anni.
swissinfo.ch: Da più parti si parla di un «attacco speculativo internazionale» contro l’Italia. È un’analisi che condivide oppure i mercati finanziari non fanno altro che reagire in modo del tutto normale a una situazione di incertezza?
L.T.: A mio avviso la speculazione è solo la schiuma che si forma sopra un’onda. Se l’onda non c’è o non è abbastanza grossa, non c’è neppure la schiuma. Certo, la speculazione può aggravare le cose, ma il punto fondamentale è comunque l’indebitamento.
swissinfo.ch: L’operato delle agenzie di rating, che danno i voti alle obbligazioni pubbliche e private, è molto criticato. Qual è la sua opinione?
L.T.: Queste agenzie – Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, che fanno il 95% delle valutazioni a livello mondiale – sono finite nell’occhio del ciclone per non aver lanciato allarmi sufficienti per la crisi dei mutui americani e di Lehman Brothers. Oggi queste stesse agenzie lanciano allarmi a ripetizione sui titoli di alcuni paesi europei. Molti hanno l’impressione che cerchino in questo modo di far dimenticare i precedenti mancati allarmi. E molti si chiedono anche se ha veramente senso lanciare ripetuti allarmi quando questi titoli sono già stati declassati. Secondo una parte degli operatori, con questo atteggiamento non fanno che aggravare la situazione.
Vi è poi la questione della loro indipendenza. Sono sostanzialmente controllate da fondi d’investimento, il cui scopo è anche di vendere e acquistare titoli. È legittimo quindi chiedersi se non vi sia un conflitto d’interessi.
swissinfo.ch: Cosa succederebbe se la nota dell’Italia dovesse essere abbassata?
L.T.: L’allarme è già stato lanciato, ma è chiaro che ciò si tradurrebbe verosimilmente in altre turbolenze.
Bisognerà vedere se il mercato vorrà andare fino in fondo, continuando a vendere e facendo crollare un po’ tutto. Oppure se si fermerà prima, stimando che tra gli Stati che soffrono ve ne sono alcuni che effettivamente hanno possibilità di rilancio assai remote, ma altri che hanno economie comunque importanti e che possono riprendersi.
Considerare il problema dell’indebitamento è giusto, ma bisogna anche valutare le possibilità di rilancio. Per quanto concerne la Grecia, il cui prodotto interno lordo rappresenta meno del 2% di quello dell’insieme della zona euro, sussiste un grande punto di domanda. Altri paesi, come gli Stati Uniti e la stessa Italia, hanno invece qualche chance in più.
swissinfo.ch: Quali potranno essere le ripercussioni di questa crisi sulla zona euro?
L.T.: Nessuno può dire se la crisi è destinata ad allargarsi. È una sorta di braccio di ferro con il mercato. Per portare avanti un piano di ristrutturazione come quello greco o portoghese, ci vuole il consenso dei mercati, poiché se i mercati non comperano le obbligazioni pubbliche di questi paesi, il piano è destinato a naufragare.
L’eurozona resisterà e tra un anno sarà la stessa? Per ora nessuno può avere una risposta certa. Il puzzle è sul tavolo e tutti i vari tasselli sono in ordine sparso. È possibile che tra 12 mesi l’eurozona rimarrà la stessa e che alla fine la Grecia, il Portogallo o l’Irlanda riescano a rimettersi in carreggiata.
Un secondo scenario è che l’eurozona non ci sia più e che si ritorni alle monete nazionali.
Una terza possibilità è che ci sia un’area euro ma non con gli stessi paesi. Gli Stati che non riescono a riportare ordine – e da questo punto di vista la prima candidata è la Grecia, poiché mi sembra che stenti a riorganizzarsi e che non vi sia nessun consenso sui piani di ristrutturazione – alla fine escano dall’euro. Dipenderà in definitiva dalla determinazione con cui l’UE e l’FMI riusciranno a far attuare i piani di ristrutturazione e dalle reazioni del mercato.
swissinfo.ch: E alla Svizzera cosa converrebbe di più?
L.T.: Da un punto di vista teorico e pratico, alla Svizzera converrebbe che l’euro continuasse ad esistere come oggi – o almeno che continuasse ad essere la moneta di un certo numero di paesi – e riacquistasse qualche punto, tornando ai livelli prima della crisi. Non bisogna dimenticare che per dieci anni l’euro è stata una moneta piuttosto stabile, ciò che ha permesso all’economia svizzera di esportare secondo flussi normali.
L’ipotesi meno vantaggiosa è che tutti vadano per la propria via. Tornerebbero tutte quelle monete deboli come la dracma, la lira o la peseta, che in passato hanno creato molti problemi all’economia svizzera. Basti pensare al Ticino quando c’era la lira debole, alle difficoltà che vi erano ad esportare in Italia o ai problemi per il turismo.
I capi di Stato e di governo dei 17 paesi della zona euro si incontreranno forse venerdì a Bruxelles per un vertice straordinario dedicato alla crisi del debito.
L’obiettivo, hanno spiegato fonti diplomatiche, è di inviare ai mercati un messaggio chiaro sulla determinazione dell’Unione Europea a prendere tutte le misure necessarie per preservare la stabilità finanziaria della zona euro ed evitare la possibilità di un fallimento di uno dei suoi paesi membri.
Mercoledì, I ministri delle finanze dell’area euro si sono detti pronti «ad adottare ulteriori misure contro il contagio», ad esempio rafforzando il fondo salva-Stati e coinvolgendo eventualmente i creditori privati. Inoltre il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha assicurato che il nuovo piano per la Grecia ci sarà.
Stando alla Banca dei regolamenti internazionali, a fine dicembre le banche elvetiche vantavano crediti per 18,3 miliardi di dollari nei confronti dell’Italia.
Sa paragonata alle banche di altre paesi si tratta di una somma relativamente modesta. Globalmente a fine dicembre l’impegno delle varie banche in Italia ammontava a 867 miliardi di dollari. I maggiori creditori sono gli istituti francesi (392 miliardi), tedeschi (162) e inglesi (37).
Una settimana fa, il governo svizzero ha ribadito di non voler introdurre misure per sostenere l’economia elvetica a causa del forte apprezzamento del franco. Il quadro congiunturale continua a essere positivo, da un lato grazie a una forte congiuntura interna, dall’altro grazie alla forte crescita registrata in Germania e in Asia, si legge nel comunicato. La crescita del prodotto interno lordo e il volume delle ordinazioni sono tuttora elevati, mentre la disoccupazione è a livelli bassi. Tuttavia in alcuni settori dell’industria d’esportazione si osservano i primi segnali di contrazione e una forte pressione sui margini.
Secondo il Consiglio federale, il controllo dei movimenti di capitali, i tassi d’interesse negativi, la riduzione temporanea dell’IVA per il settore alberghiero o per l’industria d’esportazione e misure protezionistiche per i mercati pubblici, sono inefficienti e controproducenti per l’economia svizzera.
Respinti pure provvedimenti come la riduzione dell’aliquota fiscale sugli utili delle aziende orientate all’esportazione o la concessione di sussidi diretti.
Il governo è dell’avviso che i mezzi più efficaci per lottare contro le fluttuazioni di cambio sono da ricercare nella politica monetaria, che è di competenza della Banca nazionale svizzera.
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