Dirigenti e personale: l’abisso salariale cresce
La rimunerazione dei vertici delle imprese elvetiche è chiaramente aumentata nel 2004. Salario invariato invece per la maggior parte dei dipendenti.
È quanto indica il sindacato Travail.Suisse, il quale fa notare che i benefici delle ditte registrati l’anno scorso sono confluiti principalmente nelle tasche dei manager.
Le regole di mercato non sono applicate per i redditi dei dirigenti. Le alte sfere dell’economia elvetica formano al contrario un cartello privilegiato, all’interno del quale ci si aiuta ad ottenere mandati nei consigli di amministrazione e si decide degli aumenti delle rimunerazioni.
Il dito contro i vertici delle imprese svizzere lo punta Travail.Suisse, l’organizzazione mantello dei sindacati cristiani. Come fa notare il suo presidente Hugo Fasel, «negli ultimi anni, il rapporto tra i salari minimi dei lavoratori e il compenso del presidente della direzione è esploso anche in Svizzera».
A creare il divario, l’impennata delle retribuzioni di alcuni manager: se fino al 2000 l’ordine di grandezza era di 2-3 milioni di franchi, oggi gli stipendi annui possono facilmente raggiungere i 20 milioni, come conferma ad esempio la busta paga del gran patron di Novartis Daniel Vasella.
Un divario che cresce
La preoccupante tendenza risulta da un’analisi condotta da Travail.Suisse su 25 imprese elvetiche attive nel settore finanziario, edile, farmaceutico, industriale, oltre che sui due grandi supermercati Migros e Coop e sulle ex-regie federali Swisscom e La Posta.
Per 21 di esse, le disparità salariali tra il compenso medio di un dirigente e lo stipendio più basso sono aumentate nel 2004. In dieci casi, il divario è cresciuto di addirittura il 20% rispetto all’anno precedente.
Alla banca UBS ad esempio, un membro della direzione generale ha guadagnato in media 230 volte in più rispetto all’impiegato meno pagato (188 a 1 il rapporto nel 2003). In altre parole, un semplice dipendente dovrebbe lavorare per 230 anni per guadagnare quello che ottiene un suo dirigente in dodici mesi.
Per il gruppo Credit Suisse, la proporzione è invece passata da 140:1 a 180:1.
La Svizzera ai primi posti
Differenze minori sono state rilevate nel settore della chimica: i calcoli relativi a Novartis danno un rapporto di 98 a 1 (74 a 1 nel 2003), mentre presso la concorrente Roche lo scarto è di 70 a 1.
La responsabile della politica economica presso Travail.Suisse Susanne Blank ci indica al riguardo che «nel mondo occidentale, la Svizzera è tra i paesi dove la differenza salariale è la più marcata».
Solamente in quattro società (Swisscom, Batigroup, Swiss Life e Clariant) tra quelle prese in considerazione, la disparità si è al contrario ridotta.
Il beneficio della ditta è frutto di tutti
Di fronte a questi risultati e considerando, soprattutto, che ognuna delle ditte analizzate ha terminato l’esercizio 2004 in positivo (cinque hanno persino raddoppiato gli utili), Fasel parla di «un mercato che non funziona».
«Un buon risultato aziendale non è il frutto di pochi manager, bensì di tutto il personale», aggiunge.
A tal proposito, il presidente di Travail.Suisse ricorda che gli argomenti utilizzati per giustificare le buste paga milionarie dei dirigenti (esperienza, formazione, prestazioni, rischi), sono applicati anche a tutti i dipendenti dell’azienda.
Nella sua inchiesta, il sindacato denuncia inoltre il fatto che la ripresa economica, seppur timida, non è coincisa con la creazione di nuovi impieghi, anzi: le imprese considerate hanno in effetti soppresso in totale 6’700 posti, creandone solamente 370.
Uno studio non rappresentativo
Di fronte alle conclusioni di Travail.Suisse, le reazioni del padronato non si sono fatte attendere.
«L’inchiesta non è rappresentativa: le società analizzate sono attive internazionalmente e tutte contano oltre 250 dipendenti. La realtà è ben diversa per le piccole e medie imprese (Pmi, ndr), le quali rappresentano il 99,7% dell’economia svizzera», afferma il direttore dell’Unione padronale svizzera Peter Hasler.
Susanne Blank, autrice del rapporto, giustifica tuttavia la scelta delle società considerate: «Si tratta di società quotate in Borsa e quindi, a differenza delle Pmi non quotate, sono tenute ad applicare i principi della trasparenza».
Azionisti troppo passivi
Interpellato da swissinfo, l’editorialista economico del settimanale “NZZ am Sonntag” Beat Kappeler, benché disturbato dai salari a otto cifre dei manager, non capisce l’accanirsi dei sindacati: «Le retribuzioni non vanno a scapito né dello Stato né dei dipendenti, ma esclusivamente degli azionisti».
Secondo lui, la trasparenza è certo importante ma sono proprio gli azionisti a dover «uscire dalla passività» e far valere la loro voce durante l’Assemblea generale.
Inoltre – aggiunge Kappeler – l’idea di voler pareggiare i salari con mezzi politici e sindacali è aberrante, siccome «non si può intervenire nella ripartizione interna dei benefici di una società».
Cosa dire allora ai dipendenti, costretti ad osservare impassibili il lievitare dei compensi dei loro capi? «Poco, visto che i salari degli impiegati sono determinati dal mercato e dalle convenzioni di lavoro», ci risponde l’economista.
La stragrande maggioranza della gente dovrà quindi ancora stringere la cintura (il potere d’acquisto ristagna oramai da qualche anno) e continuare ad innaffiare, con il proprio sudore, il giardino dei ricchi.
swissinfo, Luigi Jorio
Nel 2004, il divario tra il compenso medio di un membro della direzione e il salario più basso nell’azienda è stato di 230:1 per l’UBS (dati forniti da Travail.Suisse).
180:1 per Credit Suisse.
98:1 per Novartis.
50:1 per Nestlé.
21,5:1 per Schindler.
14:1 per Migros.
18,6:1 per Swisscom.
L’obbligo di pubblicare le retribuzioni dei dirigenti delle società quotate rientra nella direttiva della Borsa svizzera, in vigore dal luglio 2002.
Queste norme sulla trasparenza in borsa non sono però sufficienti agli occhi del Consiglio federale, che ha adottato un messaggio concernente la relativa revisione del Codice delle obbligazioni nel giugno 2004. L’entrata in vigore è prevista per l’anno prossimo.
Le linee direttive sulla trasparenza dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e della Commissione europea, nonché le leggi applicate negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania vanno tuttavia ben oltre a quelle previste per la Svizzera.
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