Economia elvetica ottimista nonostante la crisi americana
Le aziende svizzere restano ottimiste sulle prospettive economiche nonostante l'aumento di segnali precursori di una recessione negli Stati Uniti.
I mercati finanziari internazionali sono crollati dopo che martedì Citigroup ha annunciato svalutazioni di asset per più di 18 miliardi di dollari (19,6 miliardi di franchi) legati alla crisi americana dei mutui ad alto rischio. Taluni temono una crisi.
In Svizzera le più pesanti perdite derivanti dalla crisi americana dei subprime sono state procurate all’UBS, che si è ritrovata confrontata con la più grande crisi della sua storia. La più grande banca elvetica ha annunciato in dicembre di non escludere una chiusura d’esercizio 2007 nelle cifre rosse a causa delle disavventure del mercato immobiliare statunitense.
Il grande istituto ha iscritto a bilancio ammortamenti per oltre 15 miliardi di franchi per preservare gli interessi nei suoi principali settori di attività. Ha inoltre deciso di rafforzare la base di capitale, raccogliendo 13 miliardi di franchi presso investitori esteri, come pure di vendere 36,4 milioni di proprie azioni e sostiuire il dividendo in contanti per il 2007 con azioni.
Malgrado questi contraccolpi, il 2007 dal profilo economico è stato un anno da incorniciare per la Svizzera e il 2008 si preannuncia positivo, stando ai dirigenti aziendali elvetici. Dal periodico sondaggio di UBS, svolto tra circa 4100 imprese che operano in 27 settori principali e 95 sottosettori, è infatti emerso che per l’anno corrente prevale la fiducia. I settori dell’orologeria, della farmaceutica e dell’informatica prevedono i maggiori impulsi sul fronte dei ricavi.
Benché in ordine di grandezza gli Stati Uniti siano il secondo partner commerciale della Svizzera che abbiano un grosso influsso sull’economia mondiale, una recessione americana non avrebbe forzatamente conseguenze negative ovunque.
Anche l’UBS fiduciosa
“Finora le turbolenze che hanno scosso i mercati finanziari internazionali non hanno ancora demoralizzato l’economia svizzera”, rileva l’inchiesta dell’UBS, i cui risultati sono stati pubblicati mercoledì. E ha ragione di restare ottimista; sostiene Daniel Kalt, responsabile delle ricerche sulla Svizzera presso l’UBS.
“Tutte le condizioni che hanno consentito una crescita consistente negli ultimi anni restano intatte. Il franco debole incentiva le esportazioni, la disoccupazione cala e salari reali aumentano. Il quadro si presenta bene, nonostante le recenti vicissitudini dei mercati finanziari”, ha dichiarato Kalt a swissinfo.
Prudenza a medio termine
Sulla stessa lunghezza d’onda si esprime il responsabile di Swissmen Hans-Ulrich Bigler. Secondo il dirigente dell’associazione delle industrie delle macchine e della metallurgie, il settore attualmente va bene. Bigler è invece più prudente a medio termine.
“Non abbiamo preoccupazioni per l’immediato perché il livello delle ordinazioni dagli Stati Uniti è decisamente elevato, le capacità sono utilizzate al 93% e l’industria funziona bene da 15 anni”, ha detto a swissinfo.
“Ma la forte crescita registrata in Estremo Oriente è legata anche a quella americana. Ora che si profilano grosse difficoltà negli Stati Uniti temiamo che ciò possa avere ripercussioni sull’economia mondiale nei prossimi due o tre anni”.
Il dollaro debole
Per il capo della Camera di Commercio Svizzera-Stati Uniti Martin Naville, le aziende elvetiche sono sufficientemente floride per far fronte a turbolenze finanziarie, ma non a una vera recessione.
A suo parere, il principale pericolo è costituito dalla debolezza del dollaro, che potrebbe minacciare le esportazioni, nonostante che un deprezzamento del biglietto verde rappresenti un vantaggio di fronte all’aumento del prezzo del petrolio. Venerdì scorso il dollaro era sceso alla soglia più bassa, a quota 1,0839 franchi.
“Quella svizzera è un’economia basata sulle esportazioni e i contratti sono quasi sempre in dollari. Dunque se il dollaro scende anche le entrate calano. Un dollaro debole avvantaggia invece gli importatori e le compagnie aeree. Ma dato che la Svizzera ha una bilancia commerciale eccedente, ciò potrebbe avere effetti negativi”, aggiunge Naville.
swissinfo, Matthew Allen
(Traduzione dall’inglese e adattamento di Sonia Fenazzi)
Gli Stati Uniti sono il secondo più importante partner commerciale della Svizzera, dopo l’Unione europea.
Nel 2006, le esportazioni elvetiche negli Usa hanno raggiunto i 18,75 miliardi di franchi, mentre le importazioni americane nella Confederazione si sono attestate a 10,95 miliardi. La Svizzera aveva dunque un saldo attivo di 9,53 miliardi.
L’export elvetico negli Stati Uniti è triplicato rispetto al 1990.
Segni di rottura sono apparsi verso la fine del 2006 con la crisi dei mutui ad alto rischio.
Dapprima ne hanno risentito i servizi finanziari, poi nel 2007 il mercato immobiliare ha subito un rallentamento.
Le borse mondiali hanno reagito negativamente e le banche centrali hanno iniettato liquidità nel sistema per ammorbidire i colpi sul sistema creditizio.
In dicembre la pubblicazione di cifre deludenti sul mercato del lavoro statunitense ha peggiorato la situazione.
La Federal Reserve – l’istituto di emissione Usa – ha fatto capire che potrebbe abbassare i tassi di riferimento. Ciò nonostante molti analisti temono che il rincaro del petrolio possa innescare un’impennata dell’inflazione.
L’attenzione negli Stati Uniti è ora puntata sul comportamento dei consumatori e sulle prestazioni del settore delle carte di credito.
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