Franco forte: le lezioni degli anni ‘70
Nel 1978 il franco aveva raggiunto livelli da record nei confronti del marco tedesco. L’adozione di un obiettivo di tasso di cambio aveva permesso di superare la crisi. Intervista a Kurt Schiltknecht.
Dipendente della Banca nazionale svizzera dal 1974 al 1984, Kurt Schiltknecht era capo economista dell’istituto centrale durante la crisi del 1978.
swissinfo.ch: tra alti e bassi, le borse mondiali sono sull’otto volante, i mercati sono in preda all’incertezza e la situazione finanziaria di molti Stati preoccupa. Non le pare un ‘déjà-vu’?
Kurt Schiltknecht: Ho già vissuto situazioni simili sia per quanto concerne la borsa, sia per quanto concerne i tassi di cambio. La novità risiede nella combinazione di tutte queste evoluzioni.
swissinfo.ch: Cosa sta succedendo sui mercati?
K.S.: Vige una grande insicurezza, poiché i governi non sono in grado di far chiarezza sulla direzione nella quale vanno l’economia e la politica economica.
swissinfo.ch: Vi è un legame tra la crisi dell’euro e la riduzione del grado di affidabilità degli Stati Uniti?
K.S.: Non vi è nessun legame. Nella zona euro la crisi è dovuta principalmente al fatto che alcuni paesi sono estremamente indebitati e non possono più rimborsare i debiti. Altri Stati devono intervenire e ciò li danneggia. Si tratta di un problema specifico all’Europa.
Negli Stati Uniti, negli ultimi mesi e anni il governo ha contratto sempre più debiti e il problema inizia a diventare pesante..
swissinfo.ch: Il denominatore comune è quindi il debito statale?
K.S.: Sì, anche se non si tratta di un problema nuovo. Negli anni ’70 e ’80 esisteva già. Oggi ha però assunto dimensioni più drammatiche. I mercati non sono convinti che tutti questi debiti possano essere rimborsati facilmente.
swissinfo.ch: Il governo svizzero ha indicato di ritenere necessario «un intervento energico nell’ambito della politica monetaria». Finora non è però stata presa nessuna decisione. A suo avviso cosa dovrebbe fare?
K.S.: A corto termine il Consiglio federale può influenzare relativamente poco il tasso di cambio. La miglior cosa da fare sarebbe avviare un programma di riduzione delle imposte per l’economia privata e i cittadini, oppure restituire una percentuale dell’imposta federale.
In questo modo si favorirebbe il consumo e le imprese avrebbero qualche soldo in più da investire
swissinfo.ch: Questa crisi è paragonabile ad altre scoppiate nell’ultimo secolo?
K.S.: Nel 1978 siamo stati confrontati a una situazione simile. Nello spazio di nove mesi il franco svizzero si era apprezzato del 30%, un ordine di grandezza più o meno analogo a quello degli ultimi mesi.
swissinfo.ch: All’epoca, in qualità di capo economista della Banca nazionale svizzera (BNS), ha contribuito a far uscire il franco dalla crisi. Come avete proceduto?
K.S.: Per cercare di stabilizzare il tasso di cambio, avevamo sperimentato diverse misure. La BNS aveva acquistato valuta estera sul mercato delle divise e adottato una politica monetaria espansionista.
Si erano anche utilizzati provvedimenti retaggio del passato. Ad esempio si era cercato di influenzare il traffico di capitali con tassi di interesse negativi. Queste misure non avevano però avuto praticamente nessun effetto.
swissinfo.ch: Quali provvedimenti si sono in fin dei conti rivelati paganti?
K.S.: Quando ci si è resi conto che il mercato delle divise non era in grado di definire da solo aspettative chiare, di mostrare in che direzione il tasso di cambio si sarebbe sviluppato, la BNS ha deciso di fissare un obiettivo per il tasso di cambio.
In pratica ha detto che avrebbe continuato ad acquistare dollari fino a quando il corso del marco tedesco si sarebbe stabilito chiaramente sopra 80. Quando la misura è stata resa nota, il corso era di 76 franchi per 100 marchi. È stato scelto un obiettivo di corso che si situava a un livello di circa il 10% in più rispetto a quello in vigore.
La misura ha avuto gli effetti sperati. Dopo alcuni tentennamenti, il mercato si è convinto che la situazione sarebbe migliorata e il traffico di capitali ha ricominciato a funzionare.
swissinfo.ch: All’epoca il problema era il marco tedesco, ovvero la valuta di un paese stabile. Oggi principalmente è l’euro, la moneta di una zona sicuramente meno stabile. Quali sono le differenze rispetto a trent’anni fa?
K.S.: Oggi è difficile pronosticare in quale direzione andranno l’euro o il dollaro, poiché entrambi gli spazi monetari sono confrontati a grossi problemi.
Prevedere cosa succederà è sempre difficile: bisogna prendere delle decisioni in una situazione di insicurezza e soppesare i diversi rischi.
Ritengo positivo il segnale inviato una settimana fa dalla BNS. L’istituto centrale ha indicato chiaramente che il franco ha raggiunto un livello che non deve essere ulteriormente superato.
swissinfo.ch: Come si è reagito nel caso di crisi di più lunga data, come ad esempio il crack del 1929?
K.S.: Relativamente male. Gli Stati Uniti hanno seguito una politica monetaria restrittiva, piuttosto che espansionista, ciò che ha naturalmente aggravato la crisi.
In Svizzera è accaduto il contrario, poiché vi era un importante afflusso di capitali e una politica monetaria espansionista. Per questa ragione la Svizzera inizialmente è stata poco toccata dalla crisi. Solo in un secondo tempo gli effetti si sono fatti sentire anche qui.
swissinfo.ch: Queste crisi hanno permesso alla teoria economica di sviluppare dei modelli ai quali riferirsi? Oppure ogni crisi è diversa?
K.S.: Si cerca sempre di imparare dal passato. Ogni crisi ha però le sue particolarità. Bisogna fare attenzione a non reagire ad ogni piccola crisi con provvedimenti troppo importanti.
Oggi sarebbe necessario che i politici si mettano d’accordo su soluzioni per risolvere i problemi. Invece, piuttosto che affrontarli, si perdono in discussioni. Ciò ovviamente non contribuisce a stabilizzare i mercati.
swissinfo.ch: Cosa si potrebbe fare oggi per cercare di porre fine alla crisi valutaria?
K.S.: Non vedo per il momento molte possibilità, a parte definire un obiettivo di tasso di cambio. Questa sarebbe comunque l’ultima opzione che verrebbe presa in considerazione.
swissinfo.ch: Vi è il rischio di una recessione mondiale?
K.S.: Nei paesi industrializzati occidentali è un rischio che non si può escludere. Credo comunque che non scoppierà una crisi, ma che si assisterà piuttosto a un indebolimento della crescita.
Mercoledì, all’indomani della parità raggiunta tra euro e franco, la Banca nazionale svizzera è nuovamente intervenuta contro l’eccessivo apprezzamento della moneta elvetica iniettando liquidità in franchi sul mercato monetario.
In particolare, la BNS ha innalzato i depositi a vista delle banche, portandoli dagli attuali 80 miliardi di franchi a 120 miliardi.
Per la BNS, l’eccessivo apprezzamento del franco «costituisce una minaccia per l’evoluzione dell’economia in Svizzera e accresce i rischi di un degrado della stabilità dei prezzi».
Il 3 agosto scorso, la BNS era intervenuta una prima volta contro l’apprezzamento del franco, decidendo di tenere il Libor a tre mesi possibilmente vicino allo zero. A tal fine ha ridotto la banda di oscillazione del tasso di riferimento dallo 0-0,75% allo 0-0,25%. Parallelamente ha accresciuto gli averi che le banche detengono nei conti giro presso la BNS da 30 miliardi di franchi a 80 miliardi.
Traduzione di Daniele Mariani
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