«Gli Stati Uniti non attaccano, si difendono»
L'UBS ha sbagliato e gli Stati Uniti presentano la fattura. La Svizzera però si è fatta trovare impreparata, osserva Raymond Loretan, ex ambasciatore elvetico a New York. Ora è giunto il momento di comunicare, di sviluppare una strategia chiara e di negoziare.
La Svizzera deve far di tutto per evitare di ritrovarsi sulla lista degli Stati che non cooperano in materia di frode fiscale, lista attualmente in preparazione e che sarà verosimilmente discussa durante il vertice del G20 in programma all’inizio di aprile a Londra.
«Da parte nostra riteniamo di fornire tutta la cooperazione necessaria. Ciò rischia però di metterci in una posizione molto più difficile nei confronti dei nostri partner negoziali», sottolinea Raymond Loretan.
swissinfo: UBS e segreto bancario. Molti svizzeri si sentono attaccati dagli Stati Uniti. È una sensazione giustificata?
Raymond Loretan: Penso di no. Gli Stati Uniti hanno reagito in maniera molto dura nella vicenda UBS, poiché la banca ha violato le loro leggi. Adesso hanno il diritto di presentare il conto.
Detto ciò, gli Stati Uniti hanno una cultura molto diversa dalla nostra. Sono una superpotenza, si impazientiscono e sfoderano la spada molto più velocemente. Non siamo abituati a questo maniera di agire, ma viste le esperienze passate (caso dei fondi ebraici in giacenza, ndr) dovremmo ormai conoscerla. Avremmo dovuto reagire molto più rapidamente.
La reazione di Washington non rappresenta però in nessun caso un attacco generalizzato contro la Svizzera. Si tratta piuttosto di un’azione di difesa contro le attività illecite dell’UBS. Il caso ha però aperto una breccia nella quale molti politici americani e europei si sono infilati per dare il via ad un’offensiva massiccia contro il segreto bancario.
swissinfo: I deputati statunitensi stanno attualmente vagliando una legge contro i paradisi fiscali. La Svizzera fa parte della lista nera provvisoria. Questo fatto la inquieta?
R.L.: Bisogna certamente prenderlo sul serio. Reputo sia necessario intensificare la nostra campagna di informazione negli Stati Uniti, con una presenza più marcata nei media, segnatamente elettronici. Il caso UBS non facilita però di certo il compito delle autorità e dei diplomatici, che devono evitare gli amalgami.
swissinfo: In qualità di rappresentante ufficiale della Svizzera negli Stati Uniti, per anni lei ha difeso il segreto bancario. Visto quanto sta succedendo, non si è trattato di una perdita di tempo?
R.L.: La promozione della piazza finanziaria svizzera e la difesa del segreto bancario erano due degli aspetti della promozione generale della Svizzera negli Stati Uniti. I nostri sforzi non sono stati vani, poiché la Svizzera non è solo l’UBS. Non è stata una perdita di tempo, anche se è vero che l’impatto si è considerevolmente smorzato e che è andato perso denaro pubblico.
È chiaro però che si ha la sensazione di essere stati traditi dal partner che è stata l’UBS. Un simile sentimento deve averlo anche la maggioranza dei collaboratori della banca, che ha sempre agito in modo leale e onesto.
swissinfo: L’immagine della Svizzera negli Stati Uniti è ormai da ricostruire?
R.L.: No, non direi che è da ricostruire. Vi sono stati molti attacchi, ma alcuni media americani ci hanno anche difeso. Ciò che bisogna fare è intensificare gli sforzi di promozione dell’immagine della Svizzera.
È spiacevole che questi sforzi siano in parte stati interrotti quando la situazione con gli Stati Uniti sembrava si fosse calmata. È stato un errore.
Abbiamo sospeso o messo in sordina certi programmi di promozione, penso ad esempio a swissroots, o tolto il sostegno finanziario a organi come la Swiss Foundation for World Affairs. Oggi una piattaforma di lobbying come questa ci sarebbe molto utile a Washington.
Queste reti devono essere ricostruite o riattivate, anche se un simile lavoro è più difficile quando nel cielo si sono addensate molte nuvole. Non ci mostriamo abbastanza tenaci nella gestione di questi strumenti, indispensabili per la comunicazione politica di un paese.
swissinfo: La Quinta Svizzera può essere utile in un dossier come questo?
R.L.: Non in maniera diretta, ossia per la negoziazione di un accordo. È però molto utile per promuovere l’immagine del paese. Non bisogna dimenticare la «Sesta Svizzera» – ossia quel milione di americani di origine elvetica, molti dei quali sono attori importanti della politica statunitense.
Nell’amministrazione Bush, ad esempio, vi era Rob Portmann. Questo americano di origini svizzere era assai influente e, pur senza essere compiacente, aveva un occhio di riguardo per la Svizzera.
swissinfo: In termini di immagini, il probabile arrivo dell’ex consigliere federale Kaspar Villiger alla testa dell’UBS non è una mossa un po’ infelice? Non pensa che negli Stati Uniti e altrove sarà un po’ più difficile fare la differenza tra l’UBS e la Svizzera?
R.L.: È in Svizzera che non si fa più la differenza. Negli Stati Uniti, passare dal settore pubblico a quello privato è «business as usual». Si tratta di una regola piuttosto che di un’eccezione. Contrariamente agli svizzeri, gli americani non confonderanno l’UBS e la Svizzera e capiranno molto bene la posizione dell’ex presidente della Confederazione.
swissinfo: La Svizzera dovrà fare delle concessioni?
R.L.: Bisogna negoziare ed avere inizialmente una posizione di fermezza. Abbiamo una legislazione che deve essere rispettata. Nello stesso tempo le nostre imprese devono rispettare le leggi dei paesi in cui operano. Per questa ragione il modo di agire dell’UBS negli Stati Uniti deve essere risolutamente condannato.
Detto ciò, vanno evitati gli amalgami tra l’attività dell’UBS negli Stati Uniti e il resto dell’istituto, che resta un fiore all’occhiello dell’economia svizzera. Per il resto, bisogna sicuramente negoziare, ma anche evitare di sbranarsi in pubblico e risparmiare energia per confrontarsi sulla questione coi stri interlocutori europei e statunitensi.
swissinfo: Inizialmente il governo svizzero è sembrato essere stato colto alla sprovvista. Oggi pare aver preso in mano con determinazione il dossier. È sufficiente?
R.L.: Solo il futuro potrà dircelo. Dopo un momento di esitazione e di confusione – la decisione della FINMA ha colto un po’ tutti di sorpresa – il governo ha fatto bene a prendere tempo per riflettere, organizzare la sua linea di difesa e per valutare le possibili azioni. Oggi sembra aver ripreso in mano il controllo della situazione.
Ciò che mi rammarica è che non abbiamo imparato le lezioni del passato, in particolare gli sbagli commessi nella crisi dei fondi in giacenza. Inoltre non abbiamo preso in considerazione le caratteristiche della cultura politica americana.
swissinfo: Cancellare la distinzione tra frode e sottrazione d’imposta nel diritto svizzero non significherebbe in fondo seguire il corso della storia?
R.L.: Questo elemento deve essere introdotto nel processo di negoziazione. Prima di tutto, però, dobbiamo avere le idee in chiaro su cosa vogliamo e possiamo ottenere, nonché stabilire una strategia che ci permetta di riprendere l’iniziativa.
Dobbiamo mostrarci più creativi nelle nostre proposte e uscire dallo schema nero o bianco. È essenziale esigere in questa discussione che vengano «rimessi a zero» i contatori di tutte le piazze finanziarie, al fine di uscire dall’occhio del ciclone e di ritrovare una situazione concorrenziale equa.
Non sono sicuro che il bazar delle idee e degli atti di fede – sia a sinistra che a destra – contribuisca a creare la serenità necessaria per elaborare una strategia ragionata per difendere la piazza finanziaria. Una piazza finanziaria – è bene sottolinearlo – che in termini di prestazioni e di qualità del servizio rimane la migliore del mondo e ciò indipendentemente dal segreto bancaro.
swissinfo, intervista di Pierre-François Besson
(traduzione di Daniele Mariani)
Giurista di formazione, il vallesano Raymond Loretan prima di approdare alla carriera diplomatica è stato segretario generale del Partito popolare democratico.
Dal 1997 al 2002 è stato ambasciatore svizzero a Singapore e nel Brunei.
Dal 2002 al 2007 ha occupato la carica di console generale di Svizzera a New York. Durante questo periodo ha anche concepito e realizzato il progetto «swissroots».
Oggi è uno degli associati dello studio Fasel, Balet, Loretan, specializzato nella comunicazione strategica.
La questione dei paradisi fiscali dovrebbe essere tra le questioni principali affrontate in occasione del vertice dei G-20, il prossimo 2 aprile a Londra.
Francia e Germania hanno annunciato di voler limitare gli effetti negativi dei paradisi fiscali e dei paesi non cooperativi, basandosi sulle liste e sui criteri stabiliti dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico).
I ministri dei due paesi hanno aggiunto che la situazione in Svizzera sarà valutata in funzione di questi criteri.
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