I timori di un lunedì nero
Per la prima volta nella storia, l'agenzia Standard & Poor's ha abbassato il rating agli Stati Uniti. Una decisione giusta, secondo la stampa svizzera, che lunedì s'interroga sulle ripercussioni sui mercati finanziari e sull'economia mondiale.
Ha superato indenne la grande crisi del 1929, la seconda guerra mondiale, l’11 settembre 2001, ma la prima potenza economica mondiale ora si ritrova per la prima volta senza la “tripla A”. Benché la Standard & Poor’s (S&P) sia l’unica agenzia di notazione ad avere abbassato il rating sull’affidabilità creditizia degli Stati Uniti e nonostante che il Tesoro USA contesti la decisione e parli di errori per migliaia di miliardi di dollari, la stampa svizzera giudica logico il ritocco al ribasso.
“Ora è ufficiale quello che quasi tutti già sapevano”, commenta la Basler Zeitung. E il quotidiano basilese prosegue sferzante: “Così adesso sanno davvero tutti, che tutti sanno, che tutti sanno”.
La differenza tra la crisi del debito degli Stati Uniti rispetto all’Europa sta nel fatto che il dollaro non è una moneta comune come l’euro, ma una valuta di riferimento globale. In altre parole, le obbligazioni di stato degli Stati Uniti, a cui è ora stata revocata la tripla A, sono anche il punto di riferimento per altri titoli di credito.
Risaputo da sempre
Anche la Neue Zürcher Zeitung parla della decisione di S&P come “non sorprendente, una coerente sveglia”. Un piano finanziario che prevede deficit permanenti, senza fonti di finanziamento (per esempio. aumenti delle imposte), mette in questione la credibilità del debitore.
La domanda che ci si deve porre non è cosa abbia condotto S&P” a prendere oggi questa decisione senza precedenti, ma piuttosto per quale miracolo l’ampiezza dell’indebitamento americano, che tutti da decenni sapevano trattarsi di una bomba a scoppio ritardato, non abbia mai provocato il benché minimo sussulto presso coloro che distribuiscono le note negli Stati Uniti”, analizza il ginevrino Le Temps.
Solo lunedì nero o double dip?
Gli interrogativi e i timori dei commentatori elvetici sono incentrati su come reagiranno alla decisione di S&P le borse e i mercati dei capitali internazionali, in particolare in Europa, all’inizio della settimana. Ci sarà un’ondata temporanea di panico o addirittura una nuova recessione?
“La scossa è stata violenta”, scrive Der Blick. Il quotidiano zurighese paventa il peggio. Sulla stessa onda è la Basler Zeitung (BAZ), secondo la quale, “una nuova recessione globale, dopo la recessione già in atto – vale a dire il temuto double dip – potrebbe essere dietro la porta”.
Sia la BAZ sia la NZZ si lanciano in previsioni sulle ripercussioni nel prossimo futuro. Il taglio del rating potrebbe anche significare un mutamento più radicale: mercati dei capitali senza una sola valuta di riserva (il dollaro) e senza le obbligazioni degli Stati Uniti come punto di riferimento. In tal modo si “potrebbe avviare una riorganizzazione dell’economia globale”, commenta la BAZ.
Una svolta che la NZZ chiama “vere soluzioni”. “Il fatto che governi e partiti negli Stati Uniti e in Europa, sotto la pressione dei mercati, finalmente comincino a discutere i temi strutturali, dà speranza”. Canada, Finlandia e Svezia hanno già affrontato con successo sfide simili.
Problema economico, soluzione politica
Anche il Giornale del popolo ritiene che adesso occorra “trovare una nuova moneta di riserva stabile, capace di riassicurare i mercati e non legata alle tematiche di un unico Paese. Ma assistendo alla lentezza della politica, dubitiamo che la soluzione sia dietro la porta”, sottolinea il quotidiano ticinese.
Per la NZZ è pure chiaro che “i giorni di una prolungata stimolazione keynesiana della domanda deve finire”. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità per troppo tempo.
“Gli Stati Uniti sono in difficoltà e 14 milioni di americani sono in cerca di lavoro”, rammenta d’altra parte la Luzerner Zeitung. E la Casa Bianca, che si sta già concentrando sulle elezioni presidenziali del 201,2 potrà finalmente presentare un programma globale di riforme.
Un clima di precampagna presidenziale che secondo il giornalista e analista finanziario francese Marc Roche, intervistato dal giornale friburghese La Liberté, “falsa il dibattito”. Secondo l’analista, “la soluzione è politica. Occorrerà una reale volontà di regolamentare e di affrontare la potente lobby bancaria”.
“Declino e forza dell’impero americano”
Ricordando che tutte le grandi potenze della storia “devono la loro ascesa o la loro caduta a fattori economici”, La Regione Ticino vede nel declassamento del debito USA il segnale indiscutibile del “declino storico” degli Stati Uniti.
Tuttavia, un declino “relativo”, secondo il commentatore del quotidiano bellinzonese, per il quale Washington “ha in effetti un atout unico che gestisce in modo ben più aperto dell’Europa. Si chiama immigrazione”.
La Regione Ticino conclude quindi con una nota di ottimismo: “questo Paese che si misura con un’indubbia perdita di peso specifico globale e che sta già misurandosi con un suo ridimensionamento su scala globale, porta in sé ancora dinamismo e apertura , gli stessi ingredienti che in passato ne hanno fatto la grandezza”.
Il via libera della Banca centrale europea all’acquisto di titoli di stato spagnoli e italiani non ha tranquillizzato del tutto gli investitori dopo il declassamento del debito americano di venerdì. Dopo i forti ribassi patiti dalle borse asiatiche, anche in Europa i mercati lunedì mattina hanno aperto in flessione – con eccezioni, fra cui Zurigo –, pur non cedendo al panico.
Comunque, a metà mattinata, con l’ulteriore riduzione del calo dei future su Wall Street, le principali piazze europee si sono tutte portate in rialzo.
A Zurigo, l’indice SMI dei titoli guida saliva dello 0,68%, dopo un’apertura a +0,18% a 5181,50 punti.
I contratti sul Dow Jones perdevano 120 punti base e quelli sul Nasdaq 25 punti, mentre Parigi (+0,8%), Londra (+0,4%) e Francoforte (+0,1%) si portavano in territorio positivo, distanziate però da Milano (+4,11%) e Madrid (+3,4%).
La retrocessione statunitense ha pesato come un macigno sulle borse asiatiche, penalizzate inoltre dall’ulteriore rialzo dell’oro e del franco svizzero. Globalmente non c’è però stato il temuto affondamento dei mercati. La borsa di Tokyo ha chiuso in flessione del 2,18% col Nikkei a 9097,56 punti.
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