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Il segreto bancario e lo spionaggio americano

In Svizzera le banche conoscono l'identità di tutti i loro clienti, ma solo eccezionalmente possono rivelarla Keystone

Dopo che il governo americano ha confermato di spiare le transazioni finanziarie internazionali, il dibattito si è fatto incandescente attorno al rispetto del segreto bancario.

Governo e istituti di credito svizzeri sostengono che il segreto non è stato violato. Sul tema però, non mancano le voci critiche.

A fine giugno, grazie a un articolo del «New York Times», il mondo è venuto a sapere che gli Stati Uniti accedono dalla fine del 2001 praticamente a tutte le informazioni sul vastissimo traffico di pagamenti internazionali gestito dalla società belga SWIFT. Un controllo che, in molti casi, si svolge all’insaputa delle banche e dei clienti.

Il governo americano, che inizialmente aveva tentato di mettere a tacere questa storia, di fronte all’evidenza ha dovuto ammettere lo spionaggio finanziario, giustificandolo tuttavia in nome della lotta al terrorismo.

In Svizzera, la notizia non ha mancato di suscitare un polverone di critiche e d’interrogazioni sull’eventuale violazione del segreto bancario elvetico. Le opinioni in merito sono contrastanti.

Principio prettamente interno

Per Serge Steiner, portavoce dell’UBS, il segreto bancario non è stato violato. «Questo principio non protegge né i criminali né i terroristi», sottolinea. «L’impresa belga ha trasmesso a Washington solo dati che hanno un presunto legame con il terrorismo. Tutto in regola quindi». La sua affermazione stride però con quanto rivelato dal governo belga, secondo cui i dati analizzati dall’agenzia di controspionaggio statunitense (CIA) sarebbero milioni….

Anche il portavoce dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), Alain Bichsel, sostiene la tesi del rispetto di fatto del segreto bancario. Secondo lui infatti, il problema non si pone perché la vicenda concerne solo i dati relativi al traffico dei pagamenti internazionali dopo che questi hanno lasciato la Confederazione.

«Il segreto bancario non è stato violato perché questo principio si applica solo in Svizzera», gli fa eco sulle righe del settimanale «NZZ am Sonntag», Elisabeth Mayerhans, portavoce del ministero delle finanze elvetico. Non avendo di conseguenza ravvisato alcuna contravvenzione alla legislazione elvetica, il Consiglio federale – informato della vicenda già dal 2002 ad opera della Banca nazionale svizzera – non ritiene quindi necessario agire.

Banche e autorità criticate

L’atteggiamento remissivo del governo è criticato dal professore Hans Geiger dell’istituto di economia bancaria dell’Università di Zurigo.

Geiger si dice allibito in particolare da quanto affermato dal ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz in un’intervista al periodico «Finanz und Wirtschaft»: «Difenderò il segreto bancario sino a quando le banche ne avranno bisogno», aveva detto il tesoriere della Confederazione. «Merz non ha capito che il segreto protegge i clienti e non gli istituti», si rammarica Geiger.

Dando prova di realismo, il professore zurighese riconosce il fatto che le banche svizzere non possono difendersi davanti alla CIA, ma critica il silenzio di alcune di loro, in particolare dell’UBS e del Credit Suisse: «Un istituto ha il dovere di tutelare gli interessi dei suoi clienti. Se non può farlo, deve informarli, affinché possano difendersi da soli».

Tradizione elvetica

Critiche infine, sono state sollevate anche dall’incaricato federale alla protezione dei dati, Hanspeter Thür, secondo cui le banche e le autorità sbagliano a non preoccuparsi per il fatto che l’intelligence americana spii questi dati confidenziali, anche se dall’estero.

«In caso di trasmissione di informazioni all’estero la legge impone che sia garantita una protezione sufficiente nel paese beneficiario», sottolinea Thür in un’intervista al «Tages Anzeiger», affermando al contempo che ci si dovrebbe chiedere se la legge sulla protezione dei dati è stata rispettata.

Che vi sia stata violazione o meno del segreto bancario, l’affare di spionaggio statunitense ha contribuito a riaccendere con gran clamore gli animi attorno a questo principio che fa ormai parte della tradizione elvetica e che gli svizzeri non sembrano pronti a volere abbandonare. Secondo un sondaggio condotto dall’ASB infatti, l’80% della popolazione elvetica è a favore del mantenimento di questo speciale segreto professionale.

Eppure, conclude il professor Geiger, malgrado lo si celebri da anni, sarebbe opportuno riflettere seriamente sul suo abbandono, visto che «si sta sempre più trasformando in un concetto puramente formale che serve alle banche e non sempre ai loro clienti».

swissinfo e agenzie

In Svizzera non esistono conti anonimi. La banca è sempre obbligata a conoscere l’identità del titolare del conto ed eventualmente quella di chi ne ha economicamente diritto.

Tali informazioni sono però protette dal segreto bancario e non possono essere divulgate né al pubblico né all’amministrazione.

Eccezionalmente il segreto può essere tolto su ordine di un’autorità giudiziaria se vi è il sospetto di attività criminali, non però per i casi di sospetta evasione fiscale.

In Europa, Lussemburgo e Austria applicano un segreto bancario analogo a quello elvetico.

Il Consiglio nazionale (Camera del popolo) ha recentemente respinto la proposta di ancorare questo principio nella Costituzione.

Lo scorso mese di giugno, la stampa americana ha rivelato che la CIA – l’agenzia di controspionaggio statunitense – sorveglia da anni la vasta banca-dati della società belga SWIFT.

Creata nel 1973, la rete Swift gestisce un sistema di informazioni finanziarie che riguarda 7800 istituti finanziari in 200 paesi, con un volume di transazioni di 6000 miliardi di dollari al giorno.

Ne fanno parte 99 banche e 254 istituti finanziari svizzeri. Le transazioni svizzere gestite da Swift ammontano a 200 miliardi di franchi al giorno.

Nel consiglio d’amministrazione di Swift, composto da 25 membri, siedono anche due svizzeri: Yves Mass, del Credit Suisse e Stephan Zimmermann dell’UBS, recentemente nominato vice-presidente.

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