L’ombra dell’apartheid sulla Paradeplatz
A Zurigo, Ed Fagan ha confermato una denuncia collettiva contro UBS e CS a nome delle vittime dell'apartheid in Sudafrica. L'avvocato statunitense contestato da un gruppo di manifestanti.
«Non lo faccio per arricchirmi, ma perché anch’io mi sento corresponsabile di quanto accadde allora in Sudafrica». Così l’avvocato americano Ed Fagan ha giustificato a Zurigo la denuncia inoltrata lunedì a New York contro Credit Suisse e UBS.
Contestazioni a Zurigo
Il celebre avvocato – divenuto famoso in Svizzera per le denunce contro le banche svizzere relative agli averi non reclamati di ebrei vittime del nazismo – aveva convocato i giornalisti alle 10.00 per una conferenza stampa open air sulla Paradeplatz, proprio davanti alle sedi centrali dell’UBS e del Credit Suisse. Era sua intenzione spiegare pubblicamente perché aveva deciso di presentare una «class action» contro le due grandi banche elvetiche.
Ma all’ora stabilita, ad aspettarlo insieme ai giornalisti c’era una folla di un centinaio di persone, in gran parte pensionati, che non gli hanno dato tempo e modo di parlare. «Fagan go home», hanno gridato questi anziani arrabbiati, che con fischi, urla, insulti pesanti e spintoni hanno praticamente costretto Fagan ed un suo collega sudafricano che l’accompagnava a lasciare la piazza e dare appuntamento ai giornalisti più tardi in un albergo.
Risarcimenti per «alcune decine di miliardi di franchi»
Qui Fagan ha spiegato che la sua azione contro le due grandi banche svizzere parte dalle denunce presentate da un’ottantina di vittime del regime sudafricano dell’apartheid, e da altre ancora che da lunedì potrebbero associarsi alla causa collettiva.
Le accuse alle banche sono diverse, innanzitutto quella dei aver «sostenuto il regime segregazionista di Pretoria e collaborato con esso», violando le sanzioni decretate dalle Nazioni Unite contro il regime segregazionista del Sudafrica. Secondo Fagan, UBS e Credit Suisse avrebbero finanziato «imprese di bianchi che hanno sfruttato schiavi, torturato e giustiziato». Quanto all’ammontare del risarcimento chiesto, Fagan non ha voluto indicare cifre precise, ma ha parlato di «alcune decine di miliardi di franchi».
Cause anche contro banche e ditte americane, inglesi, tedesche e francesi
Fagan ha anche detto che il 1° luglio verrà depositata, in un tribunale di Manhattan, una seconda causa collettiva contro banche e ditte americane, inglesi, tedesche e francesi, che pure non avrebbero rispettato le sanzioni dell’ONU.
Poi l’avvocato ha toccato qualche corda emotiva, dicendo di aver scelto la data del 17 giugno per inoltrare la prima denuncia, perché è il giorno in cui cade l’anniversario del massacro di Soweto; e aggiungendo di sentirsi anche lui personalmente colpevole di quanto accaduto in Sudafrica. «E questo mi ha indotto a chiedere giustizia per le vittime dell’apartheid».
Prudenza delle autorità
Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) non ha voluto commentare le affermazioni dell’avvocato Ed Fagan. Berna intende dapprima esaminarne il contenuto, secondo un portavoce.
«No comment» anche dalll’ambasciata sudafricana. La rappresentanza diplomatica si è limitata a dire che si pronuncerà quando avrà ricevuto direttive da Pretoria
Conferenza stampa a Soweto
In concomitanza con la presenza di Fagan a Zurigo, gli avvocati sudafricani che sostengono la denuncia collettiva hanno tenuto una conferenza stampa a Soweto, presso il memoriale dedicato a Hector Petersen, la prima vittima dell’insurrezione del 1976.
In Sudafrica si è costituito un gruppo di avvocati, storici e rappresentanti delle chiese per coordinare l’azione giudiziaria. Tuttavia la reazione del Sudafrica alla denuncia presentata da Fagan negli Stati Uniti è piuttosto tiepida.
La Svizzera e l’apartheid
Il regime dell’apartheid in Sudafrica è durato praticamente dal 1948 al 1993. Questa politica era costata al regime bianco sudafricano l’espulsione dal Commonwealth britannico nel 1961; e, dopo le sanguinose insurrezioni dei “ghetti” del 1976-1977, anche le dure sanzioni economiche decretate dalla comunità internazionale. La Svizzera aveva mantenuto un atteggiamento equivoco.
All’accondiscendenza degli istituti finanziari elvetici, che, soprattutto negli ultimi anni, diedero una boccata d’ossigeno al regime concedendogli la ristrutturazione dei debiti e la commercializzazione dei preziosi (diamanti e oro), con gli anni si sono aggiunte le rivelazioni sui contatti, ancora poco chiari, tra servizi segreti sudafricani e svizzeri.
Anche certi commerci particolari tra Svizzera e Sudafrica (gli aerei Pilatus e altri materiali “sensibili”) avevano sollevato sospetti e a volte anche accuse. Ma la principale giustificazione era (e rimane) che allora anche banche e imprese di molti altri paesi occidentali violavano le sanzioni imposte dai governi.
Le reazioni negative…
Da parte loro UBS e Credit Suisse hanno respinto le accuse di complicità nei crimini commessi durante il regime dell’Apartheid. I rispettivi portavoce hanno fatto sapere lunedì che le banche svizzere si sono sempre attenute alle direttive del governo elvetico nei loro rapporti con il Sud Africa. Prima di prendere una posizione ufficiale il Dipartimento federale degli esteri vuole studiare in dettaglio le accuse mosse da Fagan alle banche.
Tra i parlamentari le reazioni vanno dallo scetticismo sul fatto che Ed Fagan sia la persona giusta per far causa alle banche svizzere (la socialista Ruth Gaby Vermot) all’attacco diretto: la class-action non è altro che “il teatrino estivo di un maniaco di protagonismo” secondo il radicale Gerold Bührer.
…e quelle positive
Le organizzazioni non governative Jubilee Sud Africa e l’azione Piazza finanziaria Svizzera hanno invece reagito positivamente alla causa collettiva di Ed Fagan, definita una pietra miliare nella lotta per ottenere giustizia per le vittime dell’Apartheid. Unica riserva, la questione dei risarcimenti non dovrebbe essere unicamente giuridica ma anche politica.
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