L’oro è sempre prezioso
Il prezzo dell'oro sale continuamente, mentre il dollaro s'indebolisce e negli Stati Uniti si prospetta un aumento dell'inflazione.
«Il metallo giallo rimane la migliore alternativa al dollaro e uno degli investimenti più redditizi», ha affermato martedì sera a Zurigo James Turk, fondatore della società GoldMoney, in occasione di una conferenza di analisti finanziari.
A titolo di esempio, la Banca nazionale indiana ha acquistato la scorsa settimana circa 200 tonnellate d’oro dal Fondo monetario internazionale.
Dal canto suo, l’Istituto centrale elvetico ha realizzato nel periodo compreso tra l’inizio dell’anno e il mese di settembre un utile di quasi sette miliardi di franchi, in larga misura legato all’aumento di valore delle proprie riserve auree.
Nel 2009, il prezzo dell’oro è aumentato di circa un terzo: un’oncia è arrivata a valere 1’142 franchi. Questa evoluzione si spiega con il deprezzamento del dollaro – che quest’anno perso il 6,5% del proprio valore nei confronti dell’euro – e con la ricerca, da parte degli investitori, di beni-rifugio contro la crisi finanziaria.
Rischio d’inflazione
Dai dati presentati da Turk risulta che, dal 2001, l’oro ha superato il dollaro di circa il 16%; nel medesimo periodo, il suo valore nei confronti di euro e franco svizzero è cresciuto di circa il 10%.
Gli investitori si sono concentrati sull’oro per tutelarsi, dal momento che i governi e le banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato le spese e diminuito notevolmente il costo del denaro per aiutare l’economia a uscire dalla recessione. «Non possiamo appoggiarci sulle banche nazionali: dobbiamo proteggerci da soli facendo affidamento su beni sicuri», rileva Turk.
Gli Stati Uniti sono attualmente confrontati alla reale minaccia di un’inflazione galoppante: «La vera incognita è sapere quando il dollaro crollerà», sottolinea Turk. A suo parere, l’attuale situazione in America è simile a quella verificatasi nel 1991 in Argentina. «La causa è la medesima: troppe spese pubbliche».
La corsa all’oro
L’investitore statunitense Robert Landis, membro di Golden Sextant, ha affermato martedì a Zurigo che la decisione del governo statunitense di salvare alcune tra le maggiori istituzioni finanziarie del paese significa che «le perdite delle banche sono ora diventate le perdite dello Stato».
Gli investitori stranieri, per esempio la Cina, continuano dal canto loro a prestare denaro agli Stati Uniti, prolungando de facto l’attuale sistema economico. Ciononostante, secondo Landis, «a un certo momento anch’essi sposteranno la loro attenzione verso l’oro».
«L’oro è una sorta di moneta naturale e costituisce un potente simbolo di proprietà privata», ha affermato, prima di aggiungere: «Il denaro non deve essere controllato dai governi».
Tony Deden, un investitore attivo a Zurigo, mira innanzitutto a preservare i capitali dei propri clienti. A questo proposito, osserva, più del 45% dei propri investimenti è costituito dai metalli preziosi. «Preferisco l’oro perché ho sempre meno fiducia nel denaro».
Neil MacLucas, swissinfo.ch, Zurigo
L’attrazione che l’oro esercita in tutto il mondo è dovuta a diversi fattori, segnatamente la sua rarità e stabilità. Dal 1492, l’offerta di tale metallo non è mai aumentata di oltre il 5% all’anno e nell’ultimo secolo il tasso di crescita è rimasto costante al 2%.
Attualmente la disponibilità totale è di circa 4 miliardi di once, di cui il 25% detenuto dalle banche centrali e il resto da privati cittadini. Nell’ottica dell’economia politica, quando l’oro era legato alle monete nazionali, la relativa stabilità della sua offerta serviva da strumento di controllo sull’inflazione ed esercitava un influsso moderato sui conti della bilancia dei pagamenti.
L’oro è stato inoltre utilizzato come moneta mondiale di fatto, dato che i paesi (o i mercanti) non disponevano di un altro mezzo comune di scambio. Come tale, ha quindi stimolato la crescita del commercio internazionale, contribuendo all’efficienza economica e alla prosperità.
Fonte: Credit Suisse
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