La Borsa paga gli eccessi della bolla Internet
Cardine del sistema finanziario internazionale, le borse attraversano uno dei periodi più difficili della loro esistenza.
Il crollo dell’indice SMI induce a riflettere sui legami tra la finanza e l’economia reale.
I mercati finanziari stanno attraversando una crisi senza precedenti, alla quale non sfugge nemmeno il mercato svizzero. Dai suoi massimi livelli del 2000, l’indice SMI dei principali valori ha perso quasi il 60%. E non sembra che la tendenza possa cambiare presto.
Sullo sfondo di un nuovo conflitto in Iraq, l’opinione pubblica è stata scossa dal succedersi di annunci di massicci licenziamenti, da parte di aziende svizzere molto rinomate.
Mentre l’indice SMI prosegue la sua discesa, analizziamo, con sei domande, le relazioni esistenti fra i mercati finanziari e l’economia reale.
Qual è il ruolo della borsa nel circuito internazionale dei capitali? Qual è la sua utilità?
La borsa offre alle società che sono quotate un accesso al mercato internazionale dei capitali. Accedendovi, le aziende dispongono di un mezzo per aumentare i loro fondi propri.
Possono vendere delle azioni, il che corrisponde a una parte del loro capitale. O emettere delle obbligazioni, aumentando in tal modo il loro indebitamento. Con i fondi così raccolti, le aziende quotate possono finanziare la loro crescita, interna o esterna.
Si tratta di un’alternativa ai crediti concessi tradizionalmente dalle banche, che però non è priva di costrizioni. Come la pubblicazione dei conti a scadenze determinate, l’applicazione di standard contabili, il dovere di informare gli azionisti e via dicendo.
A quali problemi sono confrontate le aziende, in seguito al crollo dei mercati finanziari?
Il calo dei mercati limita l’accesso delle aziende ai mercati dei capitali. E mentre le società incontrano difficoltà a trovare nuovi fondi, vengono ridotte anche le loro linee di credito bancario, solitamente legate a un portafoglio di titoli.
«Quindi hanno più difficoltà a investire nei loro mezzi di produzione, a finanziare la loro crescita interna e le loro acquisizioni», spiega Philippe Rezzonico, responsabile della ricerca azionaria della banca Ferrier Lullin di Ginevra.
Con le prospettive economiche che si riducono e il calo dei benefici, le aziende si vedono inoltre obbligate a ridurre i loro costi.
L’indice SMI ha perso quasi il 60% rispetto ai massimi del 2000. Per quale ragione, dato che la crescita economica non ha subito una recessione marcata?
La fine dell’ultimo decennio è stata contrassegnata dall’emergenza di una forte bolla speculativa sui mercati finanziari. A metà dell’anno 2000, le azioni americane hanno cominciato a correggersi, trascinando con sé le altre piazze finanziarie del mondo.
«Stiamo ancora subendo gli effetti della bolla speculativa. Il livello di indebitamento delle aziende è ancora troppo alto e l’economia reale ne sta facendo le spese», ritiene l’esperto della banca ginevrina.
Si può prevedere quando si concluderà questo processo di aggiustamento?
Non ci sono referenze storiche per tracciare dei paralleli. La crisi del 1921 era più marcata, ma non è durata così a lungo. E la tendenza al ribasso che ha caratterizzato i mercati in queste ultime settimane è poco rassicurante.
«Non è detto che non si scoprano altri cadaveri nei bilanci di certe aziende. Ma il fallimento di società finanziarie farebbe ancor più danni dei recenti scandali finanziari. Uno scenario da non escludere, visti i segnali lanciati dal mercato», teme Philippe Rezzonico.
La crisi irachena non sarebbe che un paravento?
Sensibili alla psicologia degli attori, i mercati finanziari non apprezzano le incertezze. In quest’ottica, la crisi irachena non favorisce la loro evoluzione, ma non si può nemmeno imputarle tutta la responsabilità della crisi attuale.
Per Philippe Rezzonico «i problemi delle aziende, come pure i deficit pubblici, risalgono ai tempi della bolla speculativa, alla fine degli anni 90. Ora rimangono ancora da risolvere importanti problemi strutturali, prima che i mercati possano ripartire verso l’alto».
Di che natura sono questi problemi?
«A livello dei mezzi di produzione ci sono troppe capacità, per cui le aziende non sono pronte a investire in quel senso. E poi bisogna risanare l’importante indebitamento, sia delle aziende che delle economie domestiche», prosegue l’analista.
Questo risanamento comporterà essenzialmente una riduzione dei debiti e dei costi aziendali. Cosa che, visto il grado di ristrutturazione richiesto da una tale operazione, implica un nuovo degrado del clima sociale.
«Bisognerà ancora lasciar passare il 2003, prima che la situazione torni alla normalità», conclude Philipe Rezzonico.
swissinfo, Jean-Didier Revoin
(traduzione: Fabio Mariani)
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