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La Forza del gigante americano prevale sul Diritto

Secondo l'avvocato Paolo Bernasconi la diplomazia elvetica ha lavorato molto, ma invano nel caso UBS. Keystone

L'avvocato Paolo Bernasconi, uno dei massimi esperti del settore finanziario e co-autore del più importante manuale sul segreto bancario svizzero, ricostruisce le tappe salienti che hanno portato all'accordo fra UBS e autorità giudiziarie americane.

Il Procuratore Pubblico Alexander Acosta ha firmato il 18 febbraio l’accordo mediante il quale UBS si impegna davanti al Governo americano a mettere a disposizione una serie di nominativi di suoi clienti statunitensi, riconoscendo di avere commesso in modo continuativo dal 2000 al 2007 violazioni per frodare gli Stati Uniti e le sue istanze amministrative.

Il giorno dopo, lo stesso Procuratore Acosta firma un’istanza di fronte allo stesso Tribunale a Miami, chiedendo di obbligare UBS a fornire tutti i nomi dei contribuenti statunitensi che hanno beneficiato dell’appoggio della banca per violare i propri obblighi fiscali americani. Quale principale motivazione per convincere il Tribunale di Miami viene allegata la lunga confessione firmata da UBS il giorno prima davanti allo stesso Tribunale.

Il decreto John Doe

Il 1. luglio 2008 il Tribunale di Miami aveva emanato un decreto a carico di UBS che nel gergo giudiziario americano viene denominato “John Doe”. Si tratta di un tipico provvedimento procedurale, mediante il quale il tribunale ordina al destinatario di mettere a disposizione documenti oppure informazioni, avvertendo che il destinatario si espone ad una sanzione qualora non dovesse adempiere al decreto.

Nel caso dell’UBS, il decreto rappresentava una novità storica, poiché per la prima volta veniva notificato ad una banca avente la sua sede centrale fuori dagli Stati Uniti. Ciò non impediva però, secondo il Tribunale di Miami, che UBS dovesse fornirgli la lista di tutti i contribuenti americani sospettati, indipendentemente dal paese in cui costoro avessero depositato i propri averi rispettivamente aperto il proprio conto. Bastava che il conto fosse stato aperto presso una banca appartenente al Gruppo UBS.

Un’altra particolarità era costituita dal fatto che UBS veniva obbligata a produrre informazioni non riguardo ad un gruppo di persone ben identificate con nome e cognome, bensì riguardo ad una categoria di persone. La categoria venne individuata come quella delle persone che erano sospettate di avere violato le norme fiscali americane.

I mezzi di prova a carico di UBS

A sostegno del decreto emanato il 1. luglio 2008, il Tribunale aveva ricevuto un’importante serie di mezzi di prova che diverse autorità americane avevano raccolto durante anni di osservazione delle attività di funzionari di USB sul territorio americano, cui si erano aggiunti documenti messi a disposizione da diverse agenzie governative, nonché la deposizione auto-accusatoria dell’ex dirigente di UBS Bradley Birkenfeld.

Il rapporto di oltre cento pagine della Commissione senatoriale d’inchiesta pubblicato il 7 luglio 2008 rese accessibili mondialmente i mezzi di prova a carico di UBS.

La Convenzione contro la doppia imposizione

Confrontato con la gravità del provvedimento e specialmente con la gravità del pregiudizio che un simile provvedimento poteva rappresentare nel futuro, il Governo svizzero rammentò agli Stati Uniti l’esistenza di un accordo fra i due Stati che, appunto, disciplinava le modalità di raccolta sul territorio svizzero di informazioni necessarie per l’autorità fiscale americana. Si tratta della Convenzione contro la doppia imposizione stipulata nel 1956 e riveduta nel 1996 dopo anni di negoziati.

La Convenzione, analogamente a tutte quelle stipulate dalla Svizzera con quasi un centinaio di paesi, contiene una clausola che disciplina in particolare lo scambio di informazioni fra le autorità fiscali dei due paesi. L’iniziativa diplomatica ebbe successo: il Tribunale di Miami accettò di sospendere l’intimazione del decreto “John Doe”. Pertanto, il decreto non diventava esecutivo.

In questo modo si voleva dare il tempo alle autorità svizzere di esaminare le domande presentate da parte dell’agenzia fiscale americana (IRS) all’Amministrazione federale delle contribuzioni, in data 7 agosto 2008. In alcuni casi, l’Amministrazione fiscale svizzera accettò la tesi americana e obbligò UBS a produrre i documenti riguardanti determinati contribuenti americani e decise di trasmetterli al fisco americano.

I ricorsi al Tribunale federale amministrativo

I contribuenti però interposero ricorso al Tribunale federale amministrativo (TAF), facendo valere numerose obiezioni. Il TAF sta ancora esaminando questi ricorsi: la sentenza potrebbe essere pronunciata nel prossimo mese di aprile.

Troppo tardi per le autorità americane; per cui riuscirono a indurre UBS a firmare l’ormai storico accordo del 18 febbraio scorso. Ed ecco quella che, salvo nuove rivelazioni, rappresenta una sorpresa: il giorno successivo, lo stesso Procuratore Acosta chiede allo stesso Tribunale di Miami di riattivare l’esecutività del suddetto decreto emanato il 1. luglio 2008.

Nel decreto di allora, come nel decreto di ieri, non figura il nome di nessun un cliente, bensì semplicemente una categoria di clienti. Ma non figura nemmeno il numero. Dal momento che questo numero (52’000) circola sulle prime pagine del Wall Street Journal e del Financial Times è facile ritenere che alla cifra di ventimila clienti menzionata nel Rapporto della Commissione senatoriale americana l’efficientissimo fisco USA ne abbia aggiunti ancora circa trentamila.

Un nuovo colpo di scena

Ma i colpi di scena in questa intricata vicenda non erano finiti. Con una decisione a sorpresa, il 20 febbraio, il TAF ha provvisoriamente vietato all’autorità federale dei mercati finanziari (FINMA) ed all’amministrazione fiscale federale la consegna di documenti bancari di otto clienti UBS all’agenzia fiscale americana.

Troppo tardi anche in questo caso, poiché la FINMA avrebbe già trasmesso il 18 febbraio le informazioni ricevute da UBS riguardo ad un primo gruppo di clienti sospettati di frode fiscale negli Stati Uniti. FINMA e UBS hanno tempo fino al 24 febbraio per prendere posizione sulla decisione del TAF.

La Forza e il Diritto

La diplomazia elvetica ha sempre lavorato sodo nel tentativo di ricondurre sui binari della norma giuridica e di procedure garantiste quanto estenuanti, l’irruenza del pragmatismo statunitense. Basti pensare alla famosa Convenzione XVI che ha permesso di soddisfare le richieste americane senza violare il segreto bancario nel campo delle norme contro l’insider trading.

Anche questa volta la diplomazia svizzera ha lavorato molto. Ma invano: poiché la Forza ha capito che molti, troppi, usavano il Diritto per farsi beffa del gigante USA, il quale ha a disposizione, oltre alle multe colossali, anche la revoca del riconoscimento nei confronti di UBS della qualifica di Qualified Intermediary (QI), grazie alla quale circa settemila banche straniere possono operare in territorio americano, specialmente sulla Borsa americana. La revoca di questo riconoscimento avrebbe risultati disastrosi per una banca di dimensioni internazionali.

Ne sa qualcosa la LGT del Liechtenstein, dove, per evitare la revoca della licenza, il prezzo finora pagato è stato quello di un Trattato, imposto dagli USA al Liechtenstein nel dicembre scorso.

In base a questo trattato il fisco americano ha facoltà di ottenere informazioni e documenti bancari riguardanti contribuenti statunitensi non solo per il perseguimento della frode e della sottrazione fiscale, ma anche per completare gli accertamenti in vista della tassazione.

Avv. Paolo Bernasconi, Lugano

Paolo Bernasconi, avvocato e professore di diritto, è uno dei massimi esperti in campo finanziario e bancario.

Nella sua attività professionale svolge anche funzioni di investigatore speciale, esperto giuridico permanente e consulente scientifico per varie organizzazioni internazionali e governi, per il Dipartimento federale delle finanze e per diverse autorità cantonali.

È stato anche membro della Commissione d’esperti per le Direttive contro il riciclaggio di denaro della Commissione federale delle banche, per la Legge federale sulle borse e la Legge federale sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale.

18 febbraio:

Accordo extragiudiziale fra UBS e il Dipartimento federale di giustizia americano.

UBS è obbligata a fornire i dati di 250-300 clienti alle autorità americane e a pagare 780 milioni di dollari per evitare un procedimento penale.

L’accordo è approvato dall’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziaria (FINMA).

19 febbraio:

Il Dipartimento federale di giustizia americano inoltra una denuncia civile contro la banca svizzera per obbligarla a comunicare l’identità di 52’000 titolari di “conti segreti illegali”, per un totale di 14,8 miliardi di dollari.

Del caso si occuperà la Corte federale di Miami, in Florida. UBS ha tempo fino al 30 aprile per presentare la sua difesa.

20 febbraio

Il Tribunale amministrativo federale (TAF) vieta provvisoriamente alla FINMA la consegna di documenti bancari di otto clienti UBS alle autorità fiscali americane.

Il TAF accoglie una denuncia collettiva presentata precauzionalmente il 18 febbraio contro la decisione della FINMA, che pregiudicherebbe le conclusioni della procedura penale in corso negli USA.

La FINMA risponde di aver già tuttavia trasmesso i dati alle autorità americane il 18 febbraio.

24 febbraio:

Lo studio di avvocatura Rüd Winkler Partner, legale degli otto clienti che si sono rivolti al TAF, inoltra una denuncia penale presso il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) contro i vertici di UBS e la FINMA.

La denuncia coinvolge pure il presidente del consiglio di amministrazione di UBS Peter Kurer e il presidente della FINMA Eugen Haltiner, accusati di aver violato il segreto bancario con la trasmissione di dati alle autorità fiscali americane.

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