La politica umanitaria tra cooperazione e concorrenza
Il Congresso degli svizzeri all'estero, riunitosi questo fine settimana a Ginevra, era dedicato al tema dell'azione umanitaria.
Tema che ha offerto l’occasione per un dibattito e per qualche slancio poetico della presidente della Confederazione.
Proseguendo nella sua lettura di stampo repubblicano dei miti fondatori della Svizzera, la presidente della Confederazione ha invocato sabato, davanti ai circa 500 partecipanti al congresso degli svizzeri all’estero, i principi di solidarietà e di cooperazione che a suo avviso costituiscono l’essenza del patto del Rütli.
Micheline Calmy-Rey ha opposto questi principi a quelli enunciati lo stesso giorno a Basilea dal ministro della giustizia Christoph Blocher e dal suo partito, l’Unione democratica di centro.
Il riferimento alla storia e alla mitologia nazionale svizzere ha permesso alla presidente della Confederazione di sottolineare anche il forte legame tra Ginevra, capitale della politica umanitaria, e il resto del paese.
Aiuto sul terreno
L’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) voleva però discutere dell’azione umanitaria anche in termini più concreti. Lo ha fatto organizzando un dibattito che voleva essere pragmatico, «al di là delle questioni ideologiche e dei discorsi».
Per inquadrare la questione, Walter Fust ha spiegato che prima di intervenire in caso di catastrofe l’agenzia che dirige – la Direzione svizzera per lo sviluppo e la cooperazione (DSC) – organizza un primo incontro con gli altri partner svizzeri, tra cui le ONG finanziate soprattutto da donazioni private.
«Se le donazioni private sono insufficienti, allora possiamo dare il nostro sostegno finanziario. Ma l’aiuto diretto alle vittime è assunto normalmente dalle ONG. E la concorrenza fra organizzazioni permette di stabilire qual è la più efficace», spiega il direttore della DSC.
Il mondo dell’aiuto umanitario si muove dunque tra cooperazione e concorrenza, coordinazione e libertà d’azione. Importante rimane la sorte delle vittime e l’efficacia dell’aiuto sul territorio, come hanno ribadito tutti i partecipanti al dibattito.
Critiche mascherate
Rimane il fatto che questi bei principi non sono sempre rispettati. Abbozzando una critica, Walter Fust ha posto l’attenzione su alcune ONG – senza nominarle – molto presenti nei media ma quasi assenti sul terreno.
Hans Lunshof, dell’Alto commissariato per i rifugiati, ha criticato dal canto suo l’avarizia dei paesi ricchi, le cui promesse di donazione faticano a concretizzarsi.
Da parte sua la rappresentante di Medici senza frontiere Svizzera ha ricordato l’esistenza di crisi dimenticate, come quella che colpisce attualmente la Somalia. «Migliaia di persone in fuga dai combattimenti sono quasi completamente prive di aiuti», ha affermato Isabelle Segui-Bitz.
E come spesso accade, molte critiche si sono appuntate sulla visione selettiva della stampa. «Il mondo e la sua complessità vanno ben al di là del riflesso presentato dai media», ha precisato Peter Brey, di Terre des Hommes.
Nessuno partecipante ha invece ricordato che i giornalisti sono spesso i soli a denunciare le incoerenze e il cattivo funzionamento degli aiuti internazionali, com’è stato il caso dopo lo tsunami del 2003 nell’Asia meridionale.
Gli oratori hanno tuttavia sottolineato che gli attori del settore umanitario non lavorano al di fuori di ogni controllo. In Svizzera esiste per esempio la Zewo, una fondazione abilitata a certificare le associazioni di utilità pubblica che raccolgono delle donazioni.
Il boom delle ONG
Resta il fatto che la Zewo fornisce il suo marchio di qualità solo a 500 delle circa 1500 ONG che in Svizzera operano nell’ambito dell’aiuto umanitario e dell’aiuto allo sviluppo.
«Questa proliferazione dimostra il dinamismo della società civile elvetica», ha rilevato Peter Brey. «Ciò che importa è però sapere se le ONG hanno una dimensione sufficiente per agire e la capacità di imparare dai propri errori».
Il rappresentante di Terre des Hommes, al pari di Walter Fust, diffida comunque dell’idea di creare una struttura che metta ordine nel variegato mondo delle ONG, perché rischierebbe di sfociare in una burocrazia inefficace.
La carità non basta
I partecipanti al dibattito non si sono invece dilungati sulle ragioni della proliferazione delle ONG. Un fatto che spiace al sociologo Jean Rossiaud, ex-insegnante nel programma di formazione continua per l’aiuto umanitario dell’Università di Ginevra.
«Stiamo assistendo ad uno spostamento della politica di aiuto allo sviluppo verso le azioni umanitarie. Il discorso sulla catastrofe rimpiazza quello sul progresso», nota Rossiaud.
«Ora, queste catastrofi umanitarie sono spesso il risultato del cattivo sviluppo dei paesi del Nord, uno sviluppo che è all’origine sia del riscaldamento del clima, sia delle guerre per il controllo delle risorse», afferma il sociologo, candidato al parlamento federale per il Partito ecologista svizzero. «Piuttosto che affrontare i problemi alla radice, preferiamo fare la carità».
swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione dal francese e adattamento: Andrea Tognina)
Come ricordato da Micheline Calmy-Rey nel suo discorso in occasione del Congresso degli svizzeri all’estero, negli ultimi 15 anni i conflitti tra stati sono diminuiti.
Le violenze sono però cresciute all’interno degli stati. Il numero di persone che fugge dalle guerre civili è passato nello stesso arco di tempo da 3 a 23 milioni.
Tra il 1985 e il 2005 il numero di catastrofi tecnologiche è passato da 50 a 150 l’anno.
L’Africa, colpita sia dalle catastrofi naturali, sia dalle guerre, resta il continente più fragile, ha rammentato la presidente della Confederazione.
Il Medio Oriente continua ad essere minato dal conflitto israelo-palestinese, che influisce pesantemente, come ha osservato Calmy-Rey, sui rapporti tra oriente e occidente.
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