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Le sfumature di una legge

La coltura della canapa costituisce oggi per molti contadini in difficoltà un’ancora di salvezza. Keystone Archive

Canapa sì, canapa no? Tra il sì della Confederazione e il no dei cantoni la via sembra ormai tracciata verso l'apertura. Il paese appoggia la scelta. All'estero prevale lo scetticismo.

Si calcola che in Svizzera circa 500’000 persone consumino della canapa, 87’000 fumano quotidianamente. Inoltre la popolazione in genere si dimostra sempre più tollerante verso il fenomeno. Per questo il governo svizzero intende rispondere all’evoluzione sociale legalizzando il consumo, la distribuzione e la coltivazione per uso privato di canapa indiana.

Determinante per l’apertura verso una nuova concezione della legge sugli stupefacenti dovrebbe essere la maggiore età dell’acquirente e la dannosità per la salute. Il consumo di altre droghe e la coltivazione di canapa ad alto tasso di THC rimarrà comunque punibile.

La consigliera federale Ruth Dreifuss ha più volte suggerito di non voler sminuire i rischi del fumo, ma ha sottolineato come la repressione non sia riuscita a raggiungere dei traguardi significativi. Piuttosto dovrebbe venir rafforzata la prevenzione, seguendo i quattro pilastri della politica della droga elvetica. Questa prevede infatti, oltre a repressione, terapia e riduzione dei danni, anche la prevenzione.

Reazioni dall’estero

La linea permissiva elvetica non trova però solo consensi. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il controllo degli stupefacenti (INCB) l’ha criticata più volte, affermando che la Svizzera non rispetta ormai più la Convenzione internazionale in materia del 1961.

Nell’ultimo rapporto, pubblicato in febbraio, ha definito la politica svizzera come “errore storico”, puntando il dito contro qualsiasi passo verso la liberalizzazione delle droghe leggere. Trattare la canapa come le sigarette e l’alcol, si afferma, non può essere la strada giusta.

Il segretario dell’Agenzia, Herbert Schnaepe, ha spiegato a swissinfo i rischi di un’apertura in solitaria: “Soprattutto i paesi vicini che non intendono seguire la stessa strada non apprezzano questa evoluzione”.

Per altro, numerosi paesi hanno legalizzato il consumo di canapa, pur continuando a punire il commercio e la detenzione. Fra questi l’Italia, il Lussemburgo, il Portogallo e la Spagna. Anche il Belgio intende seguire questa linea. Diversa la situazione in Olanda dove i “coffee-shop” sono una realtà da anni.

Tolleranza selettiva

Ma in Svizzera non si è ancora arrivati alla liberalizzazione, malgrado la presenza di molti negozietti della canapa lo lasci pensare. Attualmente è ancora in vigore la legge del 1951. Vendere della canapa è quindi proibito e la repressione non si è fermata.

« In questi ultimi mesi la repressione è stata addirittura rafforzata – afferma Andrea Demarmels, giurista e membro della Coordinazione svizzera della canapa – forse le polizie cantonali hanno voluto dare un ultimo giro di vite prima della nuova legge”.

« Gli interventi non sono più numerosi – ribatte invece Christian Buschan dell’Ufficio federale di Polizia – ma è una lotta legata alle prospettive future. Da una parte molti consumatori pensano che la liberalizzazione sia già realizzata, dall’altra è però ancora in vigore la vecchia legge”.

Differenze regionali

L’Ufficio federale della polizia ricorda inoltre che la competenza esecutiva è dei cantoni. Così si notano delle differenze significative nelle varie realtà regionali. Le statistiche dimostrano che nella Svizzera romanda le autorità sono molto più restrittive nell’applicazione della legge.

Al contrario nella città di Basilea si è molto più tolleranti. Definendo delle regole per i rivenditori di prodotti a base di canapa, si sono in pratica create le basi legali per la vendita di droghe leggere.

L’eldorado ticinese

In Ticino addirittura, la diffusione dei negozi di canapa è da record. Sono una sessantina gli spacci che offrono prodotti ricavati dalla canapa: dallo shampoo alla birra, dal tessuto al leccalecca, si trova di tutto, ma l’interesse della clientela è soprattutto focalizzato sui “cuscinetti odorosi”. Si tratta di bustine contenenti i fiori della canapa, quelli buoni da fumare.

Malgrado la vendita sia tollerata, periodicamente delle retate della polizia portano a delle chiusure. Ma regolarmente i negozietti risorgono. Non solo nei centri, anche in periferia e soprattutto nelle zone di confine, dove la clientela della più restrittiva Italia si serve legalmente. Quotidianamente si registrano delle tecniche di ‘sdoganamento’ sempre più creative, come il lancio di pacchetti sospetti oltre le staccionate o sotto i cavalcavia del confine di Chiasso.

Gli operatori si tengono comunque coperti: “Bisogna attenersi alle regole e per non avere problemi”. Un’impiegata del ‘Big Budda’ di Chiasso afferma: “Noi informiamo i clienti su leggi e rischi, dichiariamo i nostri prodotti e controlliamo che abbiano almeno 18 anni”. Prodotti ad altra concentrazione come l’hashish o gli oli sono invece all’origine delle retate della polizia e non sarebbero in offerta.

Produzione e sicurezza

Ma il successo non bacia solo gli intraprendenti rivenditori di prodotti sopra o sotto il banco dei negozi: anche l’agricoltura, già provata da una redditività scarsa della terra elvetica, si avvicina con speranza alla nuova coltivazione.

Un ettaro coltivato – si conferma alla Coordinazione svizzera della canapa – permette un giro d’affari che può raggiungere il mezzo milione di franchi. Inoltre la pianta ha bisogno di poca cura rispetto alla frutta e alla verdura. Sono oltre 200, i contadini che osano coltivare la pianta, sia sui campi, sia in serra e il giro d’affari raggiungerebbe ormai il miliardo di franchi.

Lieto fine?

Comunque prima di arrivare ad una liberalizzazione controllata della vendita, il Consiglio nazionale deve ancora chinarsi sul tema. Le diverse visioni del problema torneranno a scontrarsi nell’emiciclo, dimostrando le differenze di veduta tra Svizzera romanda e tedesca, fra innovazione liberale e repressione tradizionale.

swissinfo

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