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Pioggia di critiche sulla legge sulla radiotelevisione

Tra i temi più controversi, l'assegnazione dei proventi del canone alla SSR SRG idée suisse e la divisione degli introiti pubblicitari Keystone

Sul disegno di legge sulla radiotelevisione, la cui consultazione si è conclusa a fine aprile, sono piovute critiche da ogni dove. Gli articoli più contestati sono l'attribuzione del canone alla sola SRG SSR idée suisse e il divieto dello sponsoring.

La SSR, forte del suo mandato di servizio pubblico, si vede attribuire l’intero ricavato del canone – circa un miliardo di franchi – ma dovrà rinunciare a parte delle entrate pubblicitarie. Tutti gli altri media audiovisivi guadagnano in libertà, ma vedono sfumare la possibilità di spartirsi anche una piccola fetta della manna statale, ossia il canone.

Il fronte degli oppositori a questo disegno di legge, che il governo ha voluto nell’intento di liberalizzare il panorama radiotelevisivo svizzero, è tutt’altro che compatto.

Le critiche maggiori vengono dalla Romandia, dove la radio RSR e quelle regionali si sono ritrovate sulla stessa posizione (cosa mai accaduta finora). Esse ritengono che questa legge, con le restrizioni pubblicitarie, faccia il gioco delle grandi reti estere e che quindi sarà difficile battersi ad armi pari.

In particolare, le radio locali romande contestano il fatto che la SSR debba essere la sola beneficiaria del canone, cosa a cui la stessa SSR è pronta a rinunciare se venisse mantenuto lo statu quo. Le emittenti temono per il proprio futuro e ricordano che a livello di informazione locale svolgono un importante ruolo di servizio pubblico.

Tali timori non sono tuttavia condivisi dalle radio private della Svizzera tedesca, che si dicono soddisfatte del disegno di legge. Di parere opposto sono la Federazione dei giornalisti (FSG), l’Associazione delle televisioni indipendenti (Telesuisse), il PS e l’UDC. Chiedono che parte del canone vada anche ai privati, mentre i pareri divergono sulle restrizioni pubblicitarie.

La SSR è ovviamente soddisfatta di venir riconosciuta come il principale fornitore del servizio pubblico e approva il margine di manovra supplementare conferito ai privati. Tuttavia si oppone al divieto di pubblicità per i medicinali, al divieto delle televendite e dello sponsoring.

Al pari delle radio private della Svizzera tedesca, Comedia, il sindacato svizzero dei mass media (SSM), l’Unione sindacale (USS) e il PLR accolgono positivamente la separazione preconizzata dal governo. I primi tre vorrebbero però che una parte del canone andasse anche alle piccole emittenti non commerciali.

Anche le televisioni private svolgono in Svizzera un servizio pubblico, proprio come la SSR, ma non ricevono il becco d’un quattrino e non lo ricevranno neppure con la nuova legge sulla radiotelevisione. «Così non può piu andare avanti». La SSR non può prendersi tutto il canone. Le tv private sono arrabbiate con il ministro delle comunicazioni Moritz Leuenberger e annunciano battaglia.

Il testo di legge del governo «più che liberalizzare burocratizza». Se tutto andrà bene entrerà in vigore tra tre anni, ossia un decennio dopo l’arrivo sul mercato elvetico delle prime emittenti private regionali. «Troppo tardi!».

«Gli investimenti sono stati costanti in questi anni, ma altrettanto costanti sono risultati i deficit, divenuti strutturali». Eppure nella Svizzera tedesca le tv private raggiungono quotidianamente 2 milioni di persone. Un cittadino su due si informa attraverso i servizi delle private, che hanno rotto il monopolio informativo della SSR.

Il canone radiotelevisivo frutta 1,3 miliardi all’anno alla SSR, circa 4 milioni al giorno; «a noi zero franchi all’anno», ha detto il patron e factotum di Tele 24, Roger Schawinski, l’ex «radiopirata» di Pizzo Groppera che nel 1984 diede vita alla prima radio locale. «Abbiamo cercato fin qui di fare buon viso a cattivo gioco, ma adesso è ora di muoversi», andando se necessario fino alla disobbedienza civile.

«Per proseguire sono però indispensabili mezzi finanziari»: ad esempio 100 milioni all’anno, oppure il 10 percento delle entrate che la SSR ha a disposizione con il canone. Inoltre le tv private chiedono entro un anno norme sulla pubblicità uguali a quelle delle emittenti straniere che acquisiscono pubblicità sul mercato elvetico.

Per la prima volta le tv private hanno fornite cifre sulla loro gestione: Tele 24 e TeleZüri hanno avuto costi lo scorso anno per 34 milioni, segnando una perdite di 7 milioni (il deficit accumulato dal 1994 supera i 25 milioni). I costi di TeleBärn sono stati di 5 mio, con perdita di 1,6 mio (deficit accumulato 10 mio); quelli di Tele M1 6 mio, con perdite di 2 mio (deficit accumulato 7,2 mio). Eppure queste citate tv hanno creato direttamente 200 posti di lavoro, mentre nell’indotto risultano il doppio.

«Nella legge non ci sono prospettive di miglioramento per noi», ha dichiarato Schawisnki in una affollata conferenza stampa che ha visto mobilitate le telecamere di quasi tutte le tv private svizzere. «A giudicare dalle perdite si direbbe che non sappiamo gestire le nostre tv – gli ha fatto eco Albert Polo Stäheli, di TeleBärn -; eppure siamo creativi, innovativi e offriamo lavoro».

«È venuto il momento di lanciare l’allarme; non possiamo aspettare la legge, deve accadere qualcosa entro 12 mesi», ha proseguito l’esponente della tv bernese. Le reti private non sono più disponibili a pagare le spese di una politica fallimentare, iniziata con Adolf Ogi e proseguita da Moritz Leuenberger.

«La politica di Leuenberger non va, siamo sempre più svantaggiati rispetto alle tv della Germania», ha tuonato Schawinski, il quale ha reso noto che entro tre o quattro settimane farà sapere quanti perderanno il lavoro, essendo costretto a chiudere tre trasmissioni. «Certamente più di 16 persone tra giornalisti e tecnici. «Non mi aspettavo, quando ho iniziato nel 1984, di trovarmi in questa situazione». Se ci fosse una spartizione del canone, non solo non ci sarebbe alcun bisogno di tagli, ma si potrebbe pensare «anche a programmi per le minoranze» che vivono in Svizzera.

Su di un punto nella procedura di consultazione si registra quasi l’unanimità: le critiche alla struttura organizzativa. Gli organismi di controllo devono essere in mano a professionisti, non a mediatori nominati dal Consiglio federale.

swissinfo e agenzie

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