Quegli svizzeri che contribuirono a costruire l’Italia
Alla fine del XIX secolo gli svizzeri rappresentavano la seconda comunità straniera in Italia. Molti di loro hanno svolto un ruolo di primo piano nello sviluppo economico della Penisola.
«… Li svizari, homini Barbari, homini senza fede; havidi et alieni d’ogni humanità e nemici capitali di Roma e del nome italiano». Cinque secoli fa, nei Nuptiali, Marcantonio Altieri non era di certo tenero nei confronti dei soldati svizzeri, ‘rei’ di aver escluso i «Romani meritevoli» dalla guardia del Papa.
Fino a che punto l’opinione di Altieri fosse condivisa dalla popolazione romana non è dato a sapere. E neppure se questi svizzeri – pur sempre degli agguerriti mercenari – fossero veramente «havidi et alieni d’ogni humanità». Una cosa è però certa: tre secoli dopo Altieri i «nemici capitali di Roma e del nome italiano» fornirono un contributo importante nella costruzione dell’Italia, in particolare nei settori alberghiero, bancario e dell’industria tessile.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, nei primi decenni del XIX secolo la presenza svizzera era più forte nel Mezzogiorno. «I Borboni facevano capo ai reggimenti svizzeri e questo spiega in parte il legame venutosi a creare con l’Italia meridionale; inoltre è interessante rilevare che la comunità elvetica era composta soprattutto da svizzeri tedeschi di fede protestante», spiega lo storico Mauro Cerutti. Tra i primi pionieri, va citato Jean-Jacques Egg, giunto a Napoli nel 1812 con 100 famiglie zurighesi per creare a Piedimone d’Alife un cotonificio dotato dei primi telai meccanici.
Cotone
Molti industriali elvetici seguirono le orme di Egg, in particolare nel Salernitano, dove erano attive le famiglie Wenner, Züblin, Vonwiller, Meyer… Le loro manifatture erano tutt’altro che aneddotiche (il cotonificio Züblin e Vonwiller impiegava ad esempio ben 1’500 operai) nel contesto economico non solo meridionale, ma anche mondiale. Tanto che Salerno era a volte soprannominata la «Manchester delle Due Sicilie».
Nel nord, ed in particolare nel triangolo industriale Torino – Genova – Milano, l’arrivo degli imprenditori svizzeri del cotone è più tardivo e coincide con il periodo post-unitario, anche se già nel 1807 a Intra si ritrovano le tracce di una filatura fondata dai fratelli Müller di Zofingen.
«La presenza di cotonieri svizzeri è molto importante soprattutto nel Bergamasco e nel Torinese», osserva Cerutti, menzionando personaggi come Augusto Abegg, fondatore del Cotonificio Vallesusa, azienda che per molti anni ha avuto una posizione di primo piano in Italia. Alla fine del XIX secolo i cotonifici svizzeri erano 65, di cui 16 nella provincia di Bergamo e 14 nella provincia di Torino. Molte di queste aziende impiegavano da 1’000 a 2’500 operai, come rilevato dallo storico Georges Bonnant, che all’inizio degli anni ’70 aveva dedicato uno studio all’emigrazione svizzera in Italia.
Sempre in ambito industriale va menzionato anche il ruolo centrale svolto dalla Società finanziaria italo-svizzera, fondata a Ginevra nel 1902, che per diversi anni ha avuto un vero e proprio monopolio sulla produzione e la distribuzione di energia elettrica in tutto il Mezzogiorno, Sicilia esclusa.
Turismo
Gli svizzeri non si sono però limitati a sviluppare l’industria tessile.
«I migliori alberghi sono solamente quelli svizzeri», scriveva Gustave Flaubert, incaricato di compilare la voce «hôtel» nel Dizionario dei luoghi comuni. Un luogo comune, certo, ma che la dice lunga sul prestigio e sul ‘savoir faire’ acquisito dagli albergatori elvetici, precursori del turismo in Europa.
Un’esperienza che hanno esportato anche in Italia, dove hanno praticamente creato l’industria alberghiera nella seconda metà dell’Ottocento.
«Prima dell’inizio degli sport invernali, gli alberghi nelle Alpi svizzere, in Engadina ad esempio, dovevano chiudere durante la stagione fredda e quindi gli investimenti non fruttavano. Da qui è nata l’idea di continuare la stagione al sud, trasferendo il personale che altrimenti rimaneva disoccupato», osserva Cerutti.
I ‘palace’ italiani dell’epoca portano praticamente tutti la firma dei vari César Ritz, Alphonse Pfyffer, Joseph Bucher-Durrer, Adolf Angst… Alla fine dell’Ottocento, ben 48 grandi alberghi (senza contare quelli meno prestigiosi) erano in mani svizzere.
Uno sviluppo – quello del settore alberghiero – reso possibile anche grazie ai capitali dei banchieri privati svizzeri stabilitisi in Italia.
Banche
La presenza dei banchieri elvetici risale già al XVIII secolo. A Napoli, ad esempio, nel 1762 un emigrato turgoviese aveva fondato la Banca Meuricoffre, acquistata poi nel 1905 dal Credito italiano.
«Benché la banca sia in parte nata in Italia, penso ad esempio al Monte dei Paschi di Siena, le competenze degli svizzeri erano già riconosciute all’epoca», spiega Mauro Cerutti. I ginevrini De La Rüe, ad esempio, erano anche soprannominati i banchieri di Camillo Cavour. Furono loro a finanziare diverse opere importanti, come la linea ferroviaria Torino – Alessandria.
Con la rivoluzione industriale, che in Italia prende avvio solo attorno al 1890, entrano in gioco anche i grandi istituti elvetici.
La Basler Bankverein , l’Union financière di Ginevra e il Crédit Suisse, ad esempio, partecipano nel 1894 alla fondazione della Banca commerciale italiana, che assieme al Credito italiano (nel cui capitale figurano pure istituti svizzeri) contribuisce in modo importante all’industrializzazione del paese. Nei capitali del Credito italiano figurano anche istituti di origine svizzera, come la Banca Vonwiller di Milano, la Kuster di Torino e la Banca commerciale di Basilea.
Le banche elvetiche non si limitano ad osservare da lontano. Spesso la cooperazione è molto stretta. Il Crédit Suisse, del resto, delega il suo stesso presidente nel consiglio d’amministrazione della Banca commerciale italiana, Carl Abegg-Arter, alla testa di un impero del tessile con numerose ramificazioni in Italia, ricorda Cerutti.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, le attività svizzere in Italia subiscono un brusco arresto. Nel 1918, ad esempio, tutte le industrie tessili ‘elvetiche’ nel sud sono ormai passate in mani italiane. Malgrado tutto, i legami rimangono forti: 639 ditte di «una certa importanza» hanno capitali «interamente o essenzialmente elvetici», come emerge da un’inchiesta del 1918 della Legazione svizzera a Roma.
Queste relazioni erano così strette che il vicepresidente della Banca federale di Zurigo affermò che in nessun altro paese straniero, lavoro ed investimenti svizzeri erano così intrecciati come in Italia.
«Nel XIX secolo predominano il lavoro e le iniziative pionieristiche; conta soprattutto il dinamismo di alcune persone o gruppi familiari, anche perché i capitali accumulati sono ridotti», spiega Cerutti. «Partendo dal XX secolo, quando i capitali diventano più importanti, prevalgono invece gli interessi finanziari».
Per il XIX secolo e la prima parte del XX secolo non esistono statistiche precise sul numero di svizzeri che vivevano in Italia e all’estero in generale. All’epoca gli espatriati non erano ancora obbligati ad iscriversi presso le loro rappresentanze diplomatiche.
Nel 1898 la legazione svizzera aveva stimato in 15’000 il numero di cittadini elvetici che vivevano in Italia.
Dal censimento italiano del 1901, risultava invece che gli svizzeri erano la seconda comunità straniera nel paese, con un effettivo di 10’744 persone, dietro agli austriaci (10’922) e davanti ai tedeschi (10’715). Vent’anni prima il loro numero era invece di 12’104.
Secondo la legazione svizzera, le colonie più importanti erano quelle di Milano (5’000), Torino (2’200), Napoli (1’200), Livorno (1’200) e Roma (700).
Nel 2009, in Italia vivevano invece 48’638 svizzeri, di cui 38’672 in possesso della doppia cittadinanza. Negli ultimi 10 anni è stata constatata una continua progressione: nel 2000, ad esempio, erano infatti 41’140.
La comunità svizzera in Italia è la quarta in ordine di importanza. Solo in Francia (179’106 persone), Germania (76’565) e Stati Uniti (74’966) vivono più cittadini elvetici.
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