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Sempre più ditte svizzere producono all’estero

Per risparmiare, molte ditte trasferiscono la produzione all'estero Keystone Archive

Un numero crescente di industrie svizzere hanno trasferito all'estero parte o tutta la loro produzione: lo dimostra lo studio dell'Università di san Gallo.

Del centinaio di società analizzate, soltanto il 37 percento continuano a produrre in Svizzera.

Lo studio, effettuato dall’Istituto per il management tecnologico dell’Università di San Gallo, prova che la maggior parte delle ditte hanno già spostato i settori produttivi nelle loro filiali nell’Europa orientale, in Asia o negli Stati Uniti.

«Quello dei costi è un fattore importante», afferma Elgar Fleisch, co-autore dello studio, «ma ci sono anche molte ditte che vogliono essere meglio rappresentate sui nuovi mercati e quindi vi trasferiscono i loro impianti produttivi».

«E oltre alla produzione, le ditte hanno pure la tendenza di trasferire all’estero anche i posti di lavoro nei settori della ricerca e dello sviluppo legati alla loro attività», ha confermato a swissinfo il professore sangallese.

La maggior parte delle ditte prese in considerazione nello studio sono attive nei settori delle macchine, delle automobili, dell’elettronica, della chimica e della farmaceutica. La loro cifra d’affari varia da 150 milioni a 1 miliardo di franchi all’anno.

Perdita di impieghi

Le statistiche indicano che, dall’inizio degli anni 90, il numero di posti di lavoro nell’industria manifatturiera svizzera è calato del 25 percento.

«Una delle conclusioni di questo studio», commenta il professor Fleisch, «è che le industrie che hanno trasferito all’estero la produzione o altre funzioni all’estero, vogliono rimanervi. In altre parole, il trasferimento è definitivo».

Swiss Engineering, l’associazione che rappresenta 15’000 ingegneri e architetti, si dice preoccupata per l’irreversibilità dei trasferimenti.

«Lo studio non fa che confermare i timori che avevamo già espresso, che sempre più ditte trasferiscono la loro produzione all’estero», afferma il segretario generale dell’associazione, Andreas Hugi.

Hugi mette pure in guardia contro il fatto che le scuole superiori hanno difficoltà ad attirare futuri ingegneri, poiché in genere gli studenti esitano a intraprendere studi che, una volta ottenuto il diploma, non garantiscono loro un posto di lavoro in Svizzera.

Le piccole come le grandi

Lo studio mette in risalto anche il numero crescente di piccole e medie imprese che hanno intenzione di trasferire all’estero la produzione.

«Un quarto delle ditte che non l’hanno ancora spostata, si sono dichiarate intenzionate a farlo nei prossimi 5 anni. E per la maggior parte si tratta di piccole e medie imprese», specifica il professor Fleisch.

«Le piccole imprese, quindi, non fanno che seguire le grandi.»

Secondo Hugi, la sua associazione riconosce il beneficio economico delle ditte a trasferire la produzione in quelle parti del mondo, dove i salari e i costi sono molto più bassi che in Svizzera.

Ma, afferma, c’è il rischio che la Svizzera ci rimetta, se non fa qualcosa per riconquistare le sue prerogative nel campo della concorrenzialità e della creatività.

«La Svizzera non è più al centro rinnovamento, come una volta», dice Hugi, «per cui non bisogna stupirsi che le imprese siano attratte da paesi molto innovativi come la Cina e l’India».

«In conclusione, la Svizzera sta diventando come un secondo principato di Monaco, una piazza per sole istituti finanziari. E non è una buona soluzione, perché il paese ha tanto bisogno di industrie quanto di banche.»

swissinfo, Ramsey Zarifeh
(traduzione dall’inglese: Fabio Mariani)

Lo studio, che ha preso in esame 112 ditte svizzere, mostra che un numero crescente di piccole e medie imprese intendono trasferire la produzione all’estero.
Solo il 37 percento delle ditte considerate dallo studio mantengono la produzione in Svizzera.

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