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“A Gaza gli operatori umanitari non sono eroi, ma vittime”

Persone coperte sdraieate a terra
Dei corpi giacciono vicino alle macerie dell'ospedale di Al-Shifa. KEYSTONE

Di ritorno da Gaza, la coordinatrice d'emergenza di Medici senza frontiere (MSF), Marie-Aure Perreaut Revial, denuncia gli attacchi sistematici contro il personale umanitario, qualche giorno dopo il decesso di sette persone affiliate a World Central Kitchen.

“Il personale umanitario è diventtato un bersaglio, come d’altronde il resto della popolazione civile”, testimonia Marie-Aure Perreaut Revial, coordinatrice d’emergenza di Medici senza frontiere (MSF), recentemente rientrata a Ginevra da Gaza.

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Settimana scorsa, un attacco israeliano ha ucciso sette collaboratori di World Central Kitchen (WCK). L’ONG stava consegnando degli alimenti nella Striscia di Gaza, dove 1,1 milioni di abitanti rischiano di ritrovarsi in una situazione di carestia. Un evento che si iscrive in un contesto di ostruzione dell’aiuto umanitario nei territori palestinesi.  

Medici senza frontiere (MSF), che conta un personale di circa 400 persone a Gaza, denuncia gli attacchi ripetuti nei confronti dei suoi collaboratori e collaboratrici. Da ottobre, almeno 196 operatori e operatrici umanitari sono stati uccisi nell’enclave palestinese, tra cui cinque collaboratori di MSF. Secondo Hamas, più di 33’000 persone sono morte. L’ONU ritiene che il 70% delle vittime siano donne e bambini.

Perreaut Revial ha discusso con SWI swissinfo del quotidiano con cui si confrontano lei e il personale di MSF a Gaza.

SWI swissinfo.ch: Lei ha lavorato per MSF in Etiopia, in Congo, in Pakistan, in Sudan. Ci sono aspetti che rendono Gaza diversa?

Marie-Aure Perreaut Revial: La sofferenza umana è presente in ogni missione e non si possono fare paragoni. In quanto coordinatrice d’emergenza, tuttavia, non ho mai avuto tanta paura per la sicurezza della mia squadra. Ogni volta che suona il telefono, trattengo il respiro all’idea di aver perso un altro collega. Questa angoscia permanente è specifica di Gaza, dove le operatrici e gli operatori umanitari sono diventati bersagli, così come la popolazione civile.

Primo piano
Marie-Aure Perreaut Revial. MSF/Julien Dewarichet

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha definito l’attacco che ha ucciso sei collaboratori e una collaboratrice di WCK come “non intenzionale”, ma secondo MSF si tratta di un atto deliberato. Perché?

Gli impiegati e le impiegate di WCK, con cui collaboriamo strettamente, erano chiaramente identificabili. Il loro percorso era coordinato con l’esercito israeliano e le loro identità erano note. Questa procedura è seguita da tutte le collaboratrici e i collaboratori umanitari, quelli di MSF inclusi. Condividiamo costantemente le coordinate GPS e notifichiamo ogni movimento. Se si muore sotto un missile, nessuno può affermare si tratti di un errore.

Tuttavia, gli ospedali in cui operiamo, i nostri convogli e anche i rifugi in cui dormiamo sono costantemente dei bersagli. Dopo la distruzione dell’ospedale Al-Shifa, a nord di Gaza, è il turno dell’ospedale di Aqsa, in cui lavora MSF, di essere colpito da attacchi israeliani. In questi ultimi sei mesi, quasi 200 operatrici e operatori umanitari sono stati uccisi a Gaza, di cui cinque di MSF. Sono cifre così elevate che lasciano aperte solo due conclusioni: o gli attacchi sono intenzionali, oppure sono rivelatori di una pericolosissima incompetenza.

Sul posto, MSF si coordina con organizzazioni palestinesi, come la Mezzaluna rossa palestinese. Quali contatti ha con la parte israeliana?

Non c’è nessuna linea di contatto con l’esercito israeliano, una situazione senza precedenti rispetto ai conflitti in cui operiamo abitualmente. Siamo quindi obbligati a passare da interlocutori terzi, il che complica considerevolmente la gestione della nostra sicurezza. Per ciò che riguarda la presenza umanitaria israeliana, è inesistente.  

Dop l’attacco, WCK e diverse altre organizzazioni hanno interrotto le loro attività a Gaza. Cosa fa MSF?

Per ora manteniamo le nostre capacità operazionali a Gaza, ma le rivalutiamo di continuo. In novembre, abbiamo provato a stabilire dei limiti alla presenza del nostro personale internazionale. Oggi, tutte questi limiti sono stati superati.

Non c’è nessun luogo sicuro a Gaza in cui il personale umanitario possa lavorare. È qualcosa che non ho mai sperimentato in tutta la mia carriera. Ci si domanda di continuo: quale sarà il prossimo ospedale bombardato? Andare a Gaza, significa accettare la possibilità che non si tornerà indietro.

In queste condizioni, l’aiuto umanitario può davvero continuare?

La domanda non è se può continuare, ma se può iniziare. Dopo sei mesi d’intervento, non riusciamo ad aiutare la popolazione civile. La crisi è troppo grande. Nessun sistema sanitario al mondo ha le capacità di affrontare un simile massacro.

La risposta umanitaria a Gaza oggi è un’illusione. Non riusciamo a raggiungere i e le pazienti senza essere attaccati. A Gaza, gli operatori umanitari non sono eroi, ma vittime.

Il settore umanitario accusa Israele di aggirare le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali, ad esempio smantellando l’UNRWA per introdurre un sistema parallelo di consegna umanitaria sotto controllo israeliano. È anche una sua constatazione?

In effetti, Israele respinge l’ONU e anche tutte le organizzazioni internazionali. Diversi donatori, tra cui la Svizzera, hanno sospeso il finanziamento all’UNRWA, che Israele accusa di complicità nei crimini perpetrati da Hamas. Ciononostante, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi è la spina dorsale della società di Gaza. Garantisce servizi di base, come la distribuzione di cibo, l’accesso alle cure o la gestione dei rifiuti e delle fognature. È semplicemente impossibile da sostituire, tanto più che nessun aiuto arriva a Gaza da parte israeliana, malgrado quanto affermino le autorità.

La comunità internazionale fa abbastanza per proteggere il personale umanitario?

Assolutamente no. Le condizioni di lavoro a Gaza sono senza precedenti. Tutte le strutture sanitarie di Gaza in cui ho lavorato lo scorso novembre sono state evacuate. Malgrado ciò e la morte di 200 operatrici e operatori umanitari, non osserviamo l’indignazione della comunità internazionale, né si sentono appelli per delle inchieste indipendenti che determinino le responsabilità, anche negli attacchi che hanno preso di mira e ucciso personale di MSF.

La risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU per un cessate il fuoco dà speranza a Gaza?

La risoluzione è arrivata troppo tardi e non è stata ancora implementata. Sono solo parole sulla carta, mentre a Gaza continuano a piovere bombe. Nell’enclave si arriva a dire che le persone più fortunate sono quelle che sono già morte.

Del diritto internazionale resterà un guscio vuoto, secondo lei?

Purtroppo, è la grande conseguenza che si sta delineando sullo sfondo del conflitto. Il numero di violazioni flagranti e documentate del diritto internazionale è ormai incalcolabile. Questa guerra è condotta senza regole, fa completa astrazione del diritto internazionale al punto che i crimini di guerra sono banalizzati. Con l’impunità, la credibilità e l’avvenire del diritto internazionale vacillano.

A cura di Virginie Mangin/livm

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