“Il Consiglio d’Europa deve riconoscere il diritto a un ambiente sano”
La condanna della Svizzera per inazione climatica ha creato un effetto a catena sul diritto internazionale. Più di 400 organizzazioni della società civile chiedono al Consiglio d'Europa di riconoscere il diritto a un ambiente sano. Intervista a David R. Boyd, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l'ambiente.
La protezione del clima è un nuovo diritto fondamentale? Il 9 aprile, la Svizzera è diventata il primo Stato al mondo condannato per inazione climatica da una corte internazionale. Nella sua sentenza, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha stabilito che il Paese viola i diritti umani delle donne anziane.
Un verdetto vincolante, che crea un precedente per l’insieme dei Paesi europei e che potrebbe ridisegnare il diritto ambientale internazionale. Da allora, più di 400 ONG e istituti di ricerca chiedono di iscrivere il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibileCollegamento esterno nella Convenzione europea dei diritti umani, adottando un protocollo aggiuntivo. Questo diritto è già riconosciuto dal Consiglio dei diritti umani e dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, rispettivamente dall’ottobre 2021 e dal giugno 2022.
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Anche la Corte internazionale di giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, si sta preparando a emettere un parere consultivo sugli obblighi degli Stati in relazione al cambiamento climatico. In che modo il verdetto della CEDU influenzerà il diritto internazionale?
Lo abbiamo chiesto al relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l’ambiente, David R. Boyd, che ha risposto a SWI swissinfo.ch via e-mail, nel bel mezzo di un viaggio diplomatico – l’ultimo del suo mandato, che termina il 1° maggio.
SWI swissinfo.ch: La CEDU ha condannato la Svizzera per aver violato i diritti delle donne anziane a causa dell’inadeguatezza della sua politica climatica. In che modo questa decisione fa chiarezza sul diritto a un ambiente sano?
David R. Boyd: Questa sentenza è storica! È la prima volta che un tribunale internazionale condanna uno Stato per aver violato i diritti umani perché non ha intrapreso azioni sufficienti per far fronte all’emergenza climatica. Questo precedente condizionerà le cause legali sul clima in Europa e in tutto il mondo, che chiedono un’azione climatica urgente, ambiziosa ed equa.
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Sentenza CEDU, la politica climatica della Svizzera viola i diritti umani
Tuttavia, poiché il sistema europeo dei diritti umani non riconosce il diritto a un ambiente sano, la CEDU non ha affrontato esplicitamente tale questione. Si tratta di un’omissione flagrante e problematica che dovrebbe essere rapidamente corretta dal Consiglio d’Europa, ad esempio adottando un protocollo aggiuntivo.
Non ci sono scuse al fatto che l’Europa possiede l’unico sistema regionale di diritti umani al mondo che non riconosce il diritto a un ambiente sano. Tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno votato a favore della risoluzione delle Nazioni Unite che riconosce questo diritto nel 2022.
Quali sono le implicazioni di questa decisione per il diritto ambientale internazionale e per il sistema delle Nazioni Unite?
Il tallone d’Achille del diritto internazionale sul clima, che comprende la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e l’Accordo di Parigi, è la mancanza di meccanismi efficaci per stabilire le responsabilità. Gli Stati possono costantemente evitare di rispettare gli impegni assunti in materia di clima – e lo hanno fatto – ma raramente sono stati chiamati a risponderne. Questo è esattamente ciò che è accaduto in Svizzera.
Nel caso delle “Anziane per il clima”, la CEDU ha basato il suo verdetto su processi climatici tenutisi a livello nazionale, come quelli di Urgenda nei Paesi Bassi e di Neubauer in Germania. Questi hanno portato alla condanna dei due Paesi per violazione dei diritti umani, a causa dell’inadeguatezza delle loro azioni per il clima.
La decisione della CEDU è un passo fondamentale per responsabilizzare gli Stati e dimostra l’importanza di approcci basati sui diritti umani per far fronte alla crisi climatica.
Concretamente, come si può attuare e regolamentare il diritto a un ambiente sano a livello internazionale?
Il diritto a un ambiente sano dovrebbe essere legalmente riconosciuto da tutti gli Stati attraverso le loro costituzioni e legislazioni nazionali (ad oggi, ciò avviene in 161 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite). Successivamente, vanno attuate delle misure per rispettare il diritto a un ambiente sano.
Queste includono la riduzione delle emissioni di gas serra, il miglioramento della qualità dell’aria, la garanzia dell’accesso all’acqua potabile e in quantità sufficiente, la garanzia dell’accesso a un cibo sano e prodotto in modo sostenibile, la riduzione e l’eliminazione dell’esposizione a sostanze tossiche, nonché la conservazione, la protezione e il ripristino della biodiversità.
“Non ci sono scuse al fatto che l’Europa possiede l’unico sistema regionale di diritti umani al mondo che non riconosce il diritto a un ambiente sano.”
Anche gli elementi procedurali del diritto a un ambiente sano sono importanti, come l’accesso alle informazioni sull’ambiente, la partecipazione pubblica al processo decisionale, l’accesso alla giustizia attraverso delle possibilità di ricorso efficaci e la protezione di chi difende i diritti umani in ambito ambientale.
Non si tratta di opzioni, ma di obblighi per gli Stati. Ho descritto questi passi dettagliati in una serie di sei rapporti alle Nazioni Unite su aria, acqua, alimentazione, sostanze tossiche, biodiversità e clima. La persona che mi ha succeduto, Astrid Puentes, continuerà a monitorare e a riferire sull’attuazione di questi obblighi.
La sentenza della CEDU costituisce un precedente per tutti i Paesi europei. I tribunali sono pronti a gestire così tante cause legali?
L’emergenza climatica è una minaccia esistenziale per il futuro dell’umanità, ecco perché queste cause sono così importanti. Il numero di azioni legali legate al clima è stato, e continuerà ad essere, una minima parte del numero totale di cause trattate dai tribunali. È importante sottolineare che se gli Stati e le aziende rispettassero i loro obblighi in materia di diritti umani e di ambiente, le cause climatiche sarebbero superflue!
E se la popolazione dovesse opporsi a norme ambientali più severe?
La maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole alle misure di protezione dell’ambiente, ma i Governi hanno concepito e attuato male le loro politiche climatiche e ambientali. Un approccio più popolare, più equo e più efficace sarebbe quello di considerare le aziende e le grandi imprese che generano una quota sproporzionata di emissioni di gas serra.
Si stima che l’1% delle persone più ricche generi lo stesso volume di emissioni del 66% più povero. L’attuazione di un approccio alla politica climatica e ambientale basato sui diritti umani consentirebbe di colpire le persone ricche e proteggere quelle povere. Ad esempio, vietando jet e yacht privati e concedendo riduzioni sulla tassa sul CO2 alle famiglie a basso e medio reddito.
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Danimarca, Francia e Nuova Zelanda hanno rinunciato a norme più severe sull’esplorazione dei combustibili fossili per timore di cause legali intentate dalle aziende. Come si può conciliare il rafforzamento delle leggi ambientali con gli interessi economici delle imprese?
Nei casi di Danimarca, Francia e Nuova Zelanda, i timori specifici riguardavano la minaccia che le controversie tra investitori e Stati venissero risolte attraverso l’arbitrato internazionale [un meccanismo di arbitrato a porte chiuse tra Governi e aziende, ndr].
Come ho spiegato in un rapportoCollegamento esterno all’Assemblea generale, questo sistema deve essere eliminato, per riportare gli investitori stranieri su un piano di parità con gli investitori nazionali nei tribunali nazionali. Altrimenti, i Paesi continueranno a essere tenuti in ostaggio a suon di centinaia di miliardi di dollari, semplicemente perché hanno adottato misure per far fronte alla crisi climatica e ambientale.
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“Sono i Governi a dover affrontare la crisi climatica, non i tribunali”
I casi dei Paesi Bassi e della Germania, che hanno pagato miliardi di euro come risarcimento agli investitori stranieri per la loro decisione di eliminare gradualmente l’elettricità prodotta dal carbone, illustrano la natura disastrosa e perversa di questo sistema. Invece di far pagare chi inquina, i Governi pagano chi inquina! I Governi devono anteporre i diritti umani, la salute e l’ambiente al profitto e agli interessi privati.
Ha intrapreso la sua ultima missione diplomatica come relatore speciale. Durante i sei anni del suo mandato, le Nazioni Unite hanno riconosciuto il diritto a un ambiente sano, ma la crisi climatica è peggiorata. Qual è il suo punto di vista sulla situazione attuale?
Rimango ottimista! La società sta subendo profondi cambiamenti, come la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Nella maggior parte degli Stati, le centrali elettriche a carbone stanno chiudendo. La produzione di energia solare ed eolica sta crescendo in modo esponenziale, a velocità che superano anche le proiezioni più ottimistiche. Durante le mie missioni in Portogallo e in Cile ho appreso dei notevoli progressi compiuti da questi Paesi nel campo delle energie rinnovabili.
Nel corso della mia missione in Botswana ho trovato un Governo ricettivo alla mia proposta di trasformare il Paese in una superpotenza solare, sfruttando il suo immenso potenziale. La struttura delle città si sta evolvendo per anteporre le persone ai veicoli privati, dopo un secolo di disastrosa cultura dell’automobile. Questo progresso sta avvenendo nonostante la feroce opposizione di potenti interessi privati, ma la trasformazione è inevitabile e migliorerà la nostra qualità di vita.
A cura di Virginie Mangin
Traduzione di Luigi Jorio
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