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Le sfide del Consiglio ONU per i diritti umani senza Stati Uniti  

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All'inizio di febbraio, gli Stati Uniti di Donald Trump hanno annunciato il loro ritiro totale dal Consiglio per i diritti umani Keystone / Salvatore Di Nolfi

La prima sessione dell'anno del principale organo delle Nazioni Unite per i diritti umani sarà caratterizzata dall'assenza degli Stati Uniti, da un budget limitato e da un riequilibrio delle forze. 

In un contesto geopolitico teso, il Consiglio per i diritti umani si riunisce oggi a Ginevra per la sua prima sessione dell’anno. Per sei settimane, fino al 4 aprile, i 47 Stati membri di questo organismo delle Nazioni Unite, responsabile della difesa dei diritti umani in tutto il mondo, esamineranno una lunga lista di Paesi e di questioni che richiedono la loro attenzione. 

I conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, e il futuro della Siria dopo oltre 13 anni di guerra civile, domineranno i dibattiti e faranno, tra l’altro, da sfondo alle decisioni del Consiglio. 

Ma ci sarà un grande assente. All’inizio di febbraio, gli Stati Uniti di Donald Trump hanno annunciato il loro ritiro totale dal Consiglio dei diritti umani. A questa decisione ha fatto seguito un boicottaggio israeliano del Consiglio. Washington, che aveva già rinunciato alla sua partecipazione durante il primo mandato del presidente repubblicano, critica l’organismo per il suo presunto “pregiudizio anti-Israele” e per l’inclusione di Stati colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani. 

Un duro colpo per il multilateralismo 

“È molto deplorevole che la prima potenza mondiale, che ha contribuito a plasmare l’ordine internazionale basato sui diritti umani, stia lasciando questo organismo”, afferma Vincent Chetail, professore di diritto internazionale presso il Geneva Graduate Institute. 

“Ma questo non cambierà fondamentalmente le cose”, aggiunge. Anche se si tratta di un altro colpo al multilateralismo, dall’inizio dell’anno gli Stati Uniti non erano che un semplice “osservatore” del Consiglio, senza diritto di voto. La grande differenza sarà che non prenderanno più parte ai dibattiti del Consiglio. 

Lo svizzero Jürg Lauber presiederà le riunioni del Consiglio.
Per la prima volta nella sua storia, la Svizzera, rappresentata dall’ambasciatore Jürg Lauber, presiederà le riunioni del Consiglio. Keystone / Salvatore Di Nolfi

Per la prima volta nella sua storia, la Svizzera, rappresentata dall’ambasciatore Jürg Lauber, presiederà le riunioni del Consiglio. Si tratta di un ruolo onorifico e di coordinamento, che comprende la nomina di esperti ed esperte negli organi investigativi incaricati dal Consiglio. 

Interrogato sull’impatto del ritiro degli Stati Uniti, Jürg Lauber ha dichiarato in una conferenza stampa che il Consiglio rimane “l’organo più importante per gli scambi intergovernativi sulle questioni relative ai diritti umani”. A suo avviso, questa valutazione è ampiamente condivisa all’interno della comunità internazionale. 

Jürg Lauber ha aggiunto di voler “incoraggiare tutti gli Stati a impegnarsi” in seno all’organismo, riconoscendo tuttavia che Washington è “una voce importante” in questo settore. 

Problema di liquidità 

Gli Stati Uniti finanziano un terzo delle Nazioni Unite. L’annuncio del mese scorso del congelamento degli aiuti allo sviluppo statunitensi ha scatenato un’ondata di panico nelle agenzie e nelle ONG dell’ONU che dipendono dai contributi americani. 

Sebbene il bilancio del Consiglio per i diritti umani non sia direttamente minacciato dai tagli finanziari di Donald Trump nel breve termine, è probabile che lo sia nel lungo periodo. Soprattutto perché l’organizzazione sta già affrontando una crisi di liquidità a causa degli arretrati nei pagamenti da parte degli Stati membri. 

“Più che l’uscita degli Stati Uniti dal Consiglio, saranno i tagli ai finanziamenti americani ad avere un impatto maggiore. Questo potrebbe rimescolare le carte in tavola a favore di Paesi ricchi come la Cina, che sono in grado di colmare il divario”, afferma Vincent Chetail. 

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Già l’anno scorso è stato necessario risparmiare, ad esempio sulla ritrasmissione di alcune riunioni. Sono stati effettuati tagli anche al budget per le missioni d’indagine approvate dal Consiglio. 

“La situazione delle casse delle Nazioni Unite impone alcuni limiti al lavoro del Consiglio”, ha riconosciuto Jürg Lauber. Pur affermando di non essere ancora in grado di commentare l’entità dei risparmi che dovranno essere realizzati entro il 2025, ha indicato che sta lavorando preventivamente sull’“efficienza” per ottimizzare le risorse. 

La partecipazione delle ONG, essenziale per il lavoro del Consiglio grazie alla loro esperienza sul campo, sarà probabilmente ostacolata dai tagli americani, poiché i viaggi a Ginevra sono costosi. 

Il ritorno della Cina

Durante l’ultima uscita degli Stati Uniti, tra il 2018 e il 2021, la Cina ha approfittato dell’assenza di Washington come peso massimo diplomatico per promuovere i propri ideali in materia di diritti umani, proponendo risoluzioni e intervenendo davanti al Consiglio. 

Pechino ha messo in discussione la natura universale di questi diritti fondamentali, sottolineando la sovranità nazionale e la libertà degli Stati di stabilire le proprie priorità in questo settore. La Cina ha affermato di dare priorità ai diritti collettivi della sua popolazione, in particolare quelli economici, piuttosto che ai diritti individuali, come quelli politici. Una posizione criticata dalle democrazie europee. 

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La Cina potrebbe ancora una volta puntare ad aumentare la propria influenza all’interno del Consiglio. Interrogato in proposito, un diplomatico europeo ritiene che, di fronte al ritiro degli Stati Uniti, “la Cina vorrà dimostrare di essere una buona allieva e un fattore di stabilità all’interno del mondo multilaterale. È quindi probabile che nelle prossime settimane cercherà di avanzare proposte in grado di ottenere ampie maggioranze”. 

Phil Lynch, direttore dell’International Service for Human Rights, una ONG di Ginevra, ritiene che “il disimpegno degli Stati Uniti apra certamente lo spazio ad altri Stati per perseguire i loro obiettivi e aumentare la loro influenza”. Questo può essere “positivo o negativo”, aggiunge. 

Il precedente ritiro di Washington ha aperto la strada ai Paesi dell’America Latina che si sono impegnati a combattere l’impunità per le violazioni dei diritti umani in Venezuela, afferma Phil Lynch. 

Nel 2019, un gruppo di Paesi sudamericani, tra cui Argentina, Brasile e Perù, ha sostenuto una risoluzione che chiede l’istituzione di una missione per indagare su abusi come esecuzioni sommarie e sparizioni forzate in Venezuela. 

Da parte sua, Vincent Chetail ritiene probabile che altri Stati – come la Cina e i Paesi europei – cercheranno di aumentare la loro influenza, ma bisognerà aspettare la fine della sessione per avere un’idea chiara del nuovo equilibrio di potere. 

A cura di Virginie Mangin 

Traduzione dall’inglese di Sara Ibrahim 

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