Sudan, quel che c’è da sapere sui negoziati in Svizzera
Delle riunioni sul Sudan sono previste a partire da mercoledì nella regione di Ginevra. Condotte dagli Stati Uniti e co-organizzate dalla Svizzera, le discussioni hanno lo scopo di raggiungere un cessate il fuoco dopo 16 mesi di conflitto. Tuttavia, dei dubbi persistono sulla presenza dei rappresentanti dei due campi che si affrontano.
L’annuncio, poi il silenzio radio. Washington ha ufficializzato, a fine luglio, lo svolgersi di negoziati di pace sul Sudan in Svizzera, ma in seguito ben pochi dettagli sono emersi nella stampa riguardo al luogo degli incontri, le loro possibilità di successo e soprattutto la presenza delle parti implicate nel conflitto. Da 16 mesi, la guerra ha costretto alla fuga quasi 11 milioni di persone all’interno del Paese.
Mercoledì, giorno del previsto inizio dei negoziati congiuntamente organizzati dalla Svizzera e dall’Arabia Saudita, emerge un’immagine più chiara. Ecco quel che c’è da sapere in cinque domande e risposte.
Cosa sta succedendo in Sudan?
Nell’aprile del 2023, il Paese è sprofondato in una violenta guerra civile che oppone l’esercito sudanese, guidato dal generale Abdel Fattah al-Buhran, e le Rapid Support Forces (RSF), forze paramilitari dirette dal generale Mohamed Hamdane Daglo, ex braccio destro del suo rivale.
Insieme, nel 2019, i militari avevano orchestrato un colpo di Stato, mettendo fine a 30 anni di regime autocratico. È stato quindi instaurato un governo di transizione, ma il Paese è tornato in mano a un consiglio militare nel 2021. I due generali ne facevano parte e hanno finito per affrontarsi.
Entrambi cercano di ottenere il potere e gestire le ricchezze del Paese, il cui suolo è ricco di oro e petrolio.
Nel corso dei 16 ultimi mesi, decine di migliaia di sudanesi hanno perso la vita e 11 milioni di persone sono dovute fuggire, spesso a più riprese. Secondo le Nazioni Unite, sono due milioni quelle che hanno lasciato il Paese.
Sul posto, gli aiuti umanitari arrivano con il contagocce. L’accesso è fortemente ostacolato e le fonti di finanziamento mancano. Il Paese sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del pianeta, nonché una delle più ignorate, sottolineano le agenzie umanitarie dell’ONU, che criticano la comunità internazionale per la sua inazione. Circa 25 milioni di persone, ovvero più della metà della popolazione sudanese, ha bisogno di aiuto.
Ancora martedì, davanti ai giornalisti e alle giornaliste del Palazzo delle Nazioni, diversi rappresentanti dell’ONU hanno descritto gli orrori che vive quotidianamente la popolazione civile, tra cui bambine e bambini, non risparmiati dalla fame, dalle bombe e dalle violenze sessuali.
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Collegamento esternoSu cosa vertono i negoziati?
Le discussioni che devono cominciare mercoledì, in un luogo segreto non lontano da Ginevra, riguarderanno un eventuale cessate il fuoco e un migliore accesso agli aiuti umanitari.
Si tratta di un nuovo formato, guidato dagli Stati Uniti con il sostegno della Svizzera e dell’Arabia Saudita. Washington ha evocato delle ragioni umanitarie per giustificare il suo impegno, che fa seguito a precedenti cicli di negoziati infruttuosi organizzati a Gedda, in Arabia Saudita.
Le discussioni potrebbero durare fino a dieci giorni e potrebbero continuare con un secondo round negoziale.
Perché i negoziati sul Sudan si tengono in Svizzera?
La Svizzera vanta una lunga esperienza nell’ospitare negoziati di pace, in particolare grazie alla sua neutralità. Il Paese potrebbe anche portare il suo contributo sulle questioni umanitarie, ha sottolineato l’inviato statunitense Tom Perriello durante una conferenza stampa lunedì a Ginevra.
La presenza della sede europea delle Nazioni Unite, da cui è coordinata l’azione umanitaria, è senza dubbio un’altra ragione. In luglio, rappresentanti delle RSF e dell’esercito sudanese si erano recati a Ginevra, rispondendo all’invito dell’inviato dell’ONU per il Sudan, Ramtane Lamamra.
Le due parti non si erano però incontrate durante queste discussioni indirette sull’aiuto umanitario e la protezione della popolazione civile.
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Chi parteciperà?
È la grande domanda che resta in sospeso. Al momento non è chiaro se i due campi rivali si recheranno in Svizzera per discutere.
L’esercito sudanese aveva indicato alla fine della scorsa settimana di non voler partecipare a questo round negoziale, mettendo come condizione alla sua partecipazione il ritiro delle RSF dalle città che quest’ultima controlla. Contestava anche la presenza degli Emirati Arabi Uniti come Paese osservatore e la creazione di un formato diverso da quello utilizzato finora dall’Arabia Saudita.
“Non abbiamo perso la speranza che l’esercito sia presente alle discussioni”, ha però affermato Perriello, indicando che i negoziati saranno “un’estensione” degli incontri svoltisi in Arabia Saudita.
Da parte loro, le RSF si sono impegnate a partecipare. I suoi rappresentanti non erano però ancora arrivati in Svizzera lunedì pomeriggio, ha dichiarato l’inviato statunitense.
Le discussioni dovrebbero comunque tenersi anche in assenza di una delle parti, anche se Perriello ha riconosciuto che si tratterebbe in quel caso di discussioni tecniche e non di una mediazione formale, e ciò complicherebbe i progressi verso un cessate il fuoco.
L’ONU e l’Unione Africana dovrebbero essere presenti come osservatori, così come l’Arabia Saudita e l’Egitto.
Quali risultati ci si attende?
Gli obbiettivi dichiarati sono la stesura di un piano per un cessate il fuoco e un migliore accesso al Paese per gli aiuti umanitari.
“È improbabile che risolveremo tutti i problemi questa settimana”, ha ammesso Perriello.
Interpellato la settimana scorsa dalla Radiotelevisione della Svizzera francese RTS, Marc Lavergne, direttore di ricerca emerito presso il Centro nazionale della ricerca scientifica francese (CNRS), ha sottolineato che “è un segnale positivo vedere gli Stati Uniti mettere il loro peso sulla bilancia”, interrogandosi però se questo possa bastare. “La situazione è estremamente complessa e finora nessuna delle iniziative per far sedere attorno allo stesso tavolo i protagonisti ha avuto successo”, ha aggiunto.
Secondo lui, questo conflitto è particolarmente difficile da risolvere, poiché si tratta di “una guerra di interessi” in cui i due campi cercano di accaparrarsi le ricchezze del Sudan. “Penso che la diplomazia sia un po’ sguarnita di fronte a tali problematiche”, ha detto.
Tuttavia, non si tratta di risolvere il conflitto politico. Questo è un ambito in cui l’Unione Africana è impegnata con il sostegno di Washington, ha dichiarato Tom Perriello. Secondo quest’ultimo spetta al popolo, non ai generali, risolvere questo aspetto.
A cura di Virginie Mangin
Traduzione dal francese: Zeno Zoccatelli. Revisione: Sara Ibrahim
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