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Secco No ad abolizione canone radio-tv Billag

Il servizio pubblico di radio e tv in Svizzera continuerà ad essere finanziato con un canone obbligatorio: nella votazione popolare del 4 marzo, l'iniziativa che voleva abolirlo è infatti stata seccamente bocciata. Il direttore generale della SSR Gilles Marchand legge il risultato come un segnale forte per il servizio pubblico. Keystone

Il canone per finanziare radio e tv di servizio pubblico in Svizzera non si tocca. Più di 7 votanti su 10 e tutti i Cantoni hanno sonoramente bocciato domenica l'iniziativa "No Billag", che chiedeva di abolirlo. Approvato invece trionfalmente il Nuovo ordinamento finanziario, che rinnova il diritto della Confederazione di prelevare due imposte pari al 65% del gettito fiscale.


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Al termine di una lunga e infuocata campagna, il responso del popolo svizzero è stato chiaro e compatto: non si è registrata alcuna spaccatura tra le regioni linguistiche del Paese. L’iniziativa non ha trovato grazia nemmeno in Ticino, dove nei sondaggi della vigilia fautori e oppositori apparivano gomito a gomito: nel cantone italofono è stata spazzata via con un sorprendente 65,5% di no.

Sostenitori isolati

Gli introiti del canone sono utilizzati principalmente per finanziare le attività della Società svizzera di radiotelevisione (SSR). Una piccola parte serve anche a sostenere stazioni radiofoniche e televisive private che forniscono prestazioni di servizio pubblico.

swissinfo.ch SWI swissinfo.ch è un’unità aziendale della SSR. È finanziata per la metà tramite il canone radiotelevisivo “Billag” e per l’altra metà con un contributo della Confederazione, stanziato dal parlamento federale.

Lanciata dalle sezioni giovanili dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) e del Partito liberale radicale (PLR, destra), l’iniziativa “No Billag” – dal nome della società che riscuote il canone per conto della Confederazione – chiedeva che la Confederazione non riscuotesse più alcun canone a partire dal 1° gennaio 2019. Essa voleva inoltre vietare alla Confederazione di finanziare programmi radiofonici e televisivi in tempo di pace.

Tra i partiti nazionali rappresentati nel parlamento federale, l’iniziativa era sostenuta solo dall’UDC. In Ticino in suo favore si è fortemente battuta la Lega. In campo economico era sostenuta dall’Unione svizzera delle arti e mestieri, l’organizzazione ombrello delle piccole e medie imprese.

Il campo degli avversari era nettamente più vasto: contro l’iniziativa si sono mobilitati in modo massiccio non solo gli altri partiti e altre cerchie dell’economia, ma anche i settori della cultura, dello sport e della società civile.

Pagare quello che si consuma

I fautori dell’iniziativa rimproveravano al sistema del canone radiotelevisivo di essere ormai superato. A loro avviso, nell’era dello streaming e dei social network, gli individui dovrebbero poter scegliere liberamente ciò che consumano e non più pagare una tassa obbligatoria per finanziare dei programmi che probabilmente non guardano o non ascoltano.

Secondo i sostenitori dell’iniziativa, la loro proposta non avrebbe significato la morte del servizio pubblico. Quest’ultimo avrebbe potuto essere finanziato mediante la pubblicità e gli abbonamenti. Con l’abolizione del canone, il mercato audiovisivo sarebbe diventato più libero e competitivo, ciò che sarebbe andato a beneficio del pubblico.

Fine del servizio pubblico

Visibilmente, alla luce del 71,6% di no uscito oggi dalle urne, la stragrande maggioranza del popolo svizzero ha invece condiviso gli argomenti degli oppositori. Secondo questi ultimi, se fosse stata accettata, l’iniziativa avrebbe segnato la fine dell’audiovisivo svizzero, poiché un media non potrebbe sopravvivere senza aiuti statali in un mercato così piccolo e frammentato come quello svizzero.

Inoltre, a loro avviso, la fine del canone radiotelevisivo avrebbe segnato anche la fine di una certa idea di una Svizzera multiculturale. Senza aiuti statali, probabilmente non ci sarebbe più una copertura mediatica nelle aree periferiche o in quelle delle lingue minoritarie. L’abolizione del canone avrebbe rappresentato un duro colpo anche per il mondo culturale svizzero, soprattutto per il cinema.

Gli avversari dell’iniziativa “No Billag” evidenziavano anche un argomento economico. Con circa seimila dipendenti, la SSR è uno dei più grandi datori di lavoro del paese. La scomparsa di questa azienda avrebbe quindi provocato anche un terremoto economico, avvertivano

Quinta sconfitta

La disaffezione di una parte della popolazione nei confronti della SSR non si è mai concretizzata con un voto che abbia raccolto una maggioranza. L’iniziativa popolare “No Billag” è infatti il quinto testo contro il canone radiotelevisivo ad essere bocciato.

Una sola volta gli oppositori al canone si sono avvicinati alla vittoria: il 14 giugno 2015 il popolo ha accettato di stretta misura – con il 50,08% dei voti – la revisione della legge sulla radio e la TV che generalizzava l’obbligo del canone. La revisione prevedeva una diminuzione del canone per le economie domestiche, ma durante la campagna la discussione si è concentrata soprattutto sul servizio pubblico e i programmi.

Fino ad allora tutte le iniziative popolari su questo tema hanno fallito l’obiettivo. Nel 1982 è stato bocciato il testo dell’Anello degli indipendenti per l’indipendenza della radio, mentre nel 1994 l’iniziativa “per un regime liberale dei media e la soppressione dei monopoli” non è riuscita a raccogliere le firme necessarie. Neppure il testo dell’Organizzazione Svizzera Solidale (SOS) per la soppressione del canone è riuscito ad ottenere le 100’000 firme necessarie nel 2013. Una petizione che chiedeva di abbassare il canone a 200 franchi annui è invece stata scartata dal parlamento nel 2011.

Nel 1957 e 1967 il popolo aveva respinto l’idea di iscrivere nella Costituzione un articolo sulla radio e la televisione. È solo dal 1984 che il finanziamento dei media elettronici ha trovato una base costituzionale. Il monopolio della SSR è stato abolito nel 1983, quanto le emittenti private sono state autorizzate a diffondere programmi.

Fonte: ats

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Benché messo in ombra dai dibattiti sull’iniziativa No Billag durante la campagna in vista della votazione del 4 marzo, l’altro quesito sottoposto all’elettorato lo stesso giorno in realtà rivestiva un’importanza vitale per lo Stato federale. Il popolo elvetico era infatti chiamato a decidere se autorizzare la Confederazione a prelevare l’imposta federale diretta (IFD) e quella sul valore aggiunto (IVA) per altri 15 anni.

In gioco c’erano un po’ più di 43,5 miliardi di franchi, pari a quasi i due terzi del gettito fiscale. Se i votanti avessero rifiutato, lo Stato federale dal 1° gennaio 2021 non sarebbe più stato in grado di assolvere la maggior parte dei suoi compiti.

Ma questa ipotetica “madre di tutte le catastrofi”, come l’aveva definita il ministro svizzero delle finanze Ueli Maurer, non è stata minimamente sfiorata: con ben l’84,1% di sì al Nuovo ordinamento finanziario 2021, i votanti hanno rinnovato questi diritti di esazione alla Confederazione.

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