In un contesto internazionale in cui buona parte delle frontiere erano chiuse per gli ebrei intenzionati a lasciare i territori occupati dai nazisti, una rete di sostegno in Svizzera riuscì a procurare migliaia di passaporti di paesi latino-americani, che garantivano perlomeno una certa protezione ai detentori e in alcuni casi resero possibile l'emigrazione. Nella foto il manifesto della mostra al Museo ebraico di Basilea.
juedisches-museum.ch
Passaporto del Paraguay per Meyer ed Eva Cats e i loro tre figli, compilato dal console polacco Konstanty Rokicki e firmato dal console onorario del Paraguay Rudolf Hügli. La famiglia Cats fu internata a Bergen-Belsen e liberata nel 1945.
Archiv für Zeitgeschichte der ETH Zürich / NL Marcus Cohn / 15.
In una busta conservata all'Archivio federale di Berna, che porta il nome di Chaim Eiss, si trovano dieci fogli su cui sono cucite foto per passaporto. Chaim Eiss era sarto a Zurigo e faceva parte della rete di sostegno che procurava passaporti a ebrei nelle aree occupate dai nazisti. Le foto furono confiscate dalla polizia elvetica nel 1943. Le persone raffigurate non ottennero un passaporto e presumibilmente non sopravvissero all'Olocausto.
Schweizerisches Bundesarchiv, Bern
Il console onorario del Paraguay Rudolf Hügli era sorvegliato dalla polizia svizzera. Nell'annotazione si parla dei compensi richiesti da Hügli per la consegna dei passaporti, in base alla testimonianza di un acquirente olandese, tale Theodorus Lusink. Nel settembre 1943 Hügli perse i suoi privilegi diplomatici su decisione del Consiglio federale.
Schweizerisches Bundesarchiv
Le comunità ebraiche svizzere raccoglievano regolarmente soldi per aiutare i correligionari in fuga dal nazismo e i profughi ebrei in Svizzera. Forse dalla cassetta dell'Aiuto israelitico di Basilea passarono anche soldi destinati a finanziari i passaporti latino-americani.
Ho-phi Visual Production
Lettera di accompagnamento del passaporto inviato da Rudolf Hügli a Leo Weingort a Leopoli, in Ucraina nel maggio 1941. Hügli consigliava a Weingort di procurarsi un visto di transito giapponese, per raggiungere il Paraguay passando da Kobe, in Giappone.
Jewish Historical Institute in Warschau
Ottenuto il passaporto paraguaiano nel maggio 1941, Leo Weingart attese che anche la fidanzata Ester ottenesse documenti di identità del paese sudamericano. Quando i documenti arrivarono era ormai troppo tardi per raggiungere Kobe. Leo ed Ester furono internati nel campo di Vittel e deportati in seguito ad Auschwitz, dove furono entrambi assassinati.
Yehudit Kushelevsky, Privatbesitz.
Telegramma di ringraziamento inviato dall'Aguda, un'organizzazione di sostegno agli ebrei ortodossi a Chaim Eiss nell'aprile 1943.
Eiss Archive of the Auschwitz Museum
Centinaia di ebrei dell'Europa centro-orientale sfuggirono allo sterminio nazista grazie a passaporti latino-americani, procurati da ambienti diplomatici in Svizzera. La vicenda, poco conosciuta, è raccontata da una mostra nel Museo ebraico di Basilea.
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Ho studiato graphic design a Zurigo e Londra, dal 1997 al 2002. Da allora ho lavorato come graphic designer, art director, photo editor e illustratrice.
Andrea Tognina (testo) e Helen James (redazione fotografica)
Dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler in Germania, centinaia di migliaia di ebrei cercarono scampo all’estero, in particolare negli Stati Uniti, in Palestina e in America latina. Ma quando dal 1938 molti paesi chiusero le loro frontiere ai profughi ebrei, il possesso di determinati passaporti e visti divenne un fattore decisivo per la sopravvivenza.
“Quando in Germania nel 1938 iniziò la persecuzione degli ebrei, il mio ufficio venne letteralmente preso d’assalto da ebrei che speravano di salvare dei familiari grazie a un visto per la Repubblica del Paraguay”, dichiarava qualche anno dopo Rudolf Hügli, notaio bernese e console onorario del Paraguay in Svizzera, alla polizia elvetica.
Rete di sostegno
Di fronte a questa situazione, in varie città svizzere si formò una rete di sostegno, che mirava a ottenere per gli ebrei nelle zone occupate dai nazisti passaporti di paesi latinoamericani. L’azione, che poteva contare sull’appoggio dell’ambasciata in Svizzera del governo polacco in esilio, ebbe all’inizio carattere piuttosto spontaneo e sporadico.
Attorno al 1942, quando il coordinamento fu assunto da Abraham Silberschein, ex deputato al parlamento polacco e delegato al Congresso mondiale ebraico a Ginevra, l’iniziativa assunse dimensioni più importanti.
Con il sostegno di donatori privati e la collaborazione di organizzazioni caritatevoli ebraiche, la rete riuscì a raccogliere vari milioni di franchi, destinati a pagare i consolati che fornivano le false attestazioni di cittadinanza.
“La nostra speranza è che la mostra induca gli storici a occuparsene in maniera più approfondita” Naomi Lubrich, Museo ebraico
Tra aiuto e lucro
I passaporti, salvo eccezioni, non erano ceduti gratuitamente. Hügli per esempio, che fornì migliaia di passaporti, riscuoteva 500 franchi a documento. Altri diplomatici esigevano tra i 1000 e i 2000 franchi, un avvocato di Zurigo arrivò a chiedere fino a 600’000 franchi per i suoi servizi.
Gli ebrei nei territori occupati dai nazisti che riuscivano a ottenere un simile passaporto godevano di una certa protezione, in quanto presunti cittadini di un paese latino-americano neutrale. Molti di loro furono trasferiti dai tedeschi in campi di internamento, in particolare a Vittel, in Francia, e Bergen-Belsen, in Germania, sfuggendo almeno temporaneamente allo sterminio.
Nel 1943, la rete di sostegno in Svizzera fu smantellata dalla polizia. Le autorità elvetiche confiscarono documenti e fotografie, mettendo in stato di fermo le persone più attive della rete. La Svizzera evitò tuttavia di avviare una procedura giudiziaria, forse per timore delle reazioni tedesche.
“La nostra speranza è che la mostra, in cui molti documenti sono presentati per la prima volta al pubblico, induca gli storici a occuparsene in maniera più approfondita.”
La mostra Collegamento esterno“Pässe, Profiteure, Polizei” (passaporti, profittatori, polizia), allestita dal Museo ebraico della Svizzera di Basilea in collaborazione dell’Archiv für Zeitgeschichte (archivio per la storia contemporanea) del Politecnico federale di Zurigo, è ospitata nella galleria del museo al Petersgraben 31 di Basilea. I testi sono in tedesco, francese e inglese. È prevista prossimamente la pubblicazione di un catalogo.
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