Ingerenza umanitaria: un diritto o un dovere?
Mentre il suo popolo è ancora in ginocchio dopo il passaggio del ciclone Nargis, la giunta militare birmana continua ad ostacolare l'azione dei soccorsi internazionali. Per alcuni Stati europei, l'aiuto umanitario non va più offerto, bensì imposto.
A undici giorni dal devastante ciclone che ha spazzato la capitale Yangon e il delta dell’Irrawaddy, il numero delle vittime in Birmania non cessa di crescere. Secondo l’ultimo bilancio ufficiale, i morti e i dispersi sono oltre 60’000. Molti di più per gli osservatori internazionali, che avanzano la stima di 100’000 persone.
Tuttavia, nonostante la radio pubblica nazionale parli di «una delle peggiori catastrofi naturali della storia recente», la giunta al potere continua a dar prova di un’arrogante e paranoica chiusura. L’arroganza di chi crede di poter gestire da solo una crisi dai contorni apocalittici (nemmeno lo tsunami del 2004 aveva provocato così tanti danni in Birmania) e la paranoia di chi vede nei soccorritori stranieri una minaccia per la stabilità del paese.
Un atteggiamento condannato dalla comunità internazionale, che dopo aver invitato i generali a favorire l’accesso di personale estero ai luoghi sinistrati, ha rammentato che la cooperazione internazionale non è un’opzione da prendere o lasciare a piacimento.
Imporre gli aiuti
Alcuni esperti delle Nazioni Unite, tra cui l’incaricato speciale per i diritti dei profughi interni, lo svizzero Walter Kälin, hanno chiesto alle autorità di Yangon di levare ogni tipo di barriera che impedisce alle vittime di far valer il diritto di ricevere un aiuto d’urgenza.
L’obbligo di cooperare sul piano internazionale – hanno sottolineato – è iscritto in diversi trattati, tra cui la Carta dell’ONU, la Convenzione sui diritti dell’infanzia e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Il primo ministro danese si è spinto oltre, affermando che di fronte a gravi crisi umanitarie la comunità internazionale dovrebbe poter imporre il suo aiuto. «È inaccettabile – sostiene Anders Fogh Rasmussen – che una dittatura militare ponga degli ostacoli agli sforzi destinati ad aiutare centinaia di migliaia di persone nel bisogno».
La Francia, sostenuta da Germania e Gran Bretagna, ha dal canto suo sollecitato l’applicazione alla Birmania del principio della “responsabilità di proteggere” i cittadini. La richiesta, che consentirebbe di aiutare la popolazione senza l’accordo della giunta al potere, sarà sottoposta al Consiglio di sicurezza dell’ONU, ha indicato Rama Yade, responsabile del governo francese per i diritti umani.
Parole esplicite anche da parte del rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Unione europea Javier Solana, per il quale vanno utilizzati «tutti i mezzi a disposizione» per far giungere gli aiuti umanitari alla popolazione birmana. Senza escludere un ricorso alla forza.
L’obbligo di proteggere la vita
Il concetto dell’ingerenza umanitaria è una questione su cui la comunità internazionale si è interrogata a lungo, spiega a swissinfo Andrea Bianchi, professore presso l’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra. «Si tratta di un diritto, ma secondo alcuni è pure un dovere: bisognerebbe poter intervenire anche di fronte ad uno Stato recalcitrante».
«Personalmente vedo ancora molti limiti alla dottrina dell’ingerenza umanitaria in via coercitiva, anche perché l’imposizione degli aiuti contro il volere dello Stato non raccoglie l’unanimità». Ad opporsi, ricorda Bianchi, non sono esclusivamente i paesi bollati comunemente come “totalitari”. «Nel 2005, all’indomani dell’uragano Katrina, gli Stati Uniti hanno ad esempio rifiutato gli aiuti dell’ONU».
Da un punto di vista legale, osserva la portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) Carla Haddad, il Diritto internazionale umanitario non conferisce a Stati terzi o a organizzazioni umanitarie il diritto di fornire assistenza alle popolazioni colpite, senza l’autorizzazione dello Stato interessato».
«In virtù delle convenzioni sui diritti umani – puntualizza – lo Stato interessato ha però degli obblighi di fronte alla popolazione. In particolare, deve proteggere il diritto alla vita, alla salute, all’alimentazione. Nel caso particolare della Birmania, ha l’obbligo di prendere dei provvedimenti per ridurre la mortalità e limitare il rischio di epidemie».
Violare lo spazio aereo
Per il professor Andrea Bianchi, l’unica soluzione per aggirare l’ostacolo in Birmania sarebbe una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. «Il consiglio dovrebbe dichiarare che la situazione nel paese asiatico rappresenta una minaccia per la pace internazionale. Questa manovra, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, imporrebbe in modo coercitivo la consegna di aiuti».
«Se il regime dovesse ostinarsi a non dare il suo consenso, si potrebbe immaginare un lancio di aiuti umanitari da parte di aerei che violano lo spazio aereo birmano, come già si è fatto in passato in Bosnia o in Somalia».
«Non sarei ad ogni modo sorpreso – conclude – di assistere ad un’apertura della giunta, ora che il referendum sulla nuova Costituzione è passato».
swissinfo, Luigi Jorio
Nonostante le restrizioni imposte dalle autorità birmane per entrare nel paese, la Direzione per lo sviluppo e la cooperazione (DSC) ha comunicato che sei suoi collaboratori si troveranno su suolo birmano a partire da giovedì 15 maggio.
Mercoledì, un aereo noleggiato dall’Aiuto umanitario della Confederazione è partito alla volta di Yangon con un carico di materiale destinato alla costruzione di ripari (tende, teloni, utensili da cucina, materiale per la purificazione dei pozzi d’acqua).
Sul posto il trasferimento del materiale e la sua distribuzione avverrà sotto la responsabilità degli esperti svizzeri, in collaborazione con le agenzie dell’ONU e con partner di fiducia, sottolinea la DSC.
Altro personale elvetico (medici, specialisti in logistica e in approvvigionamento idrico) è tuttora bloccato in Thailandia, in attesa di un visto.
Finora, la Svizzera ha stanziato complessivamente 1,5 milioni di franchi in favore dei sinistrati birmani.
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