La Cina teme nuove guerre commerciali con gli Usa
Che si tratti di Donald Trump o di Kalama Harris quale prossimo inquilino della Casa Bianca, la prospettiva di Pechino è quella di un ambiente più ostile, con una guerra commerciale sempre più profonda.
(Keystone-ATS) La Repubblica popolare, del resto, è stata citata come la più grande sfida strategica per l’America e, a prescindere da chi vincerà le elezioni presidenziali, lo scenario non cambierà.
La Cina dovrebbe prevedere un clima politico ancora più duro in arrivo e la stessa attesa dell’esito del voto Usa prima di diffondere venerdì il pacchetto di misure fiscali – stimato in non meno di 280 miliardi di dollari – per rilanciare l’economia mandarina ne è la prova.
Sia Harris sia Trump hanno promesso di essere più severi con Pechino, ma il tycoon ha assicurato dazi del 60% su tutti i beni cinesi in arrivo negli Usa. “A nostro avviso, la dimensione degli stimoli fiscali sarebbe circa del 10-20% più grande con una vittoria di Trump rispetto a uno scenario di vittoria di Harris”, ha scritto Ting Lu, capo economista del China Desk di Nomura.
Dopo il recente incontro tra il ministro degli Esteri Wang Yi e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, la lettura ufficiale cinese ha osservato che mantenere i legami “sulla strada giusta risiede nella guida dei due capi di Stato”.
Se con Harris è prevedibile una continuità politica dell’amministrazione di Joe Biden con il network delle alleanze e delle partnership, con Trump gli scenari potrebbero presentare, oltre a problemi, anche opportunità.
Oltre al possibile scontro con Ue e alleati asiatici su commercio e sicurezza (Nato in testa), a Pechino hanno infatti preso nota di altri fattori. In particolare, durante la Convention nazionale repubblicana di luglio, Trump aveva ragione quando ha avvertito che la Cina sta “circondando Taiwan” e che uno “spettro crescente di conflitto” incombe sull’isola.
Ma i presunti timori non gli hanno impedito di segnalare alla leadership comunista che potrebbe non intervenire militarmente se il Dragone lanciasse un’invasione. “Taiwan dovrebbe pagarci per la difesa”, aveva detto con toni poco consoni a un potenziale leader del mondo libero. Miele, invece, per le orecchie di Xi che da tempo sta facendo salire la tensione tra la Repubblica popolare e l’isola stato che intende difendere strenuamente la sua indipendenza.