I lavoratori sloveni non preoccupano l’Italia

La libera circolazione delle persone tra Italia e Slovenia, prevista non prima del 2006, non suscita timori nella zona di confine.
Non solo le autorità regionali e le imprese, ma anche i sindacati chiedono che le frontiere vengano aperte il più presto possibile.
«Confine di Stato, limite invalicabile»: in Piazza della Transalpina, la piazza di Gorizia sulla linea di confine italo-slovena che il 1° maggio del 2004 assurse a simbolo della ritrovata unità europea, la frontiera è ancora una realtà ben tangibile.
La barriera che fino allo scorso anno divideva la piazza in due non c’è più, ma solo su un tratto di una trentina di metri…
«La permeabilità della frontiera non è aumentata come ci si aspettava», ci dice Dusko Udovic, giornalista di Primorski Dnevnik, quotidiano della minoranza di origine slovena in Italia.
Merci, servizi e capitali possono circolare liberamente tra Slovenia ed Italia. I lavoratori invece no: gli sloveni sono di fatto ancora considerati come extracomunitari e per chi vuole lavorare come dipendente in Italia è cambiato poco o nulla.
Frontiere chiuse almeno fino al 2006
Al pari della maggior parte degli altri Paesi dell’Europa dei 15, anche l’Italia ha infatti adottato una moratoria sulla libera circolazione dei lavoratori dipendenti dei dieci nuovi membri dell’UE.
In pratica le frontiere rimarranno chiuse almeno fino al maggio del 2006. Le autorità italiane potranno poi prolungare questo periodo dapprima per un massimo di cinque anni.
L’unico cambiamento concerne l’introduzione di un sistema di contingenti: annualmente il mercato del lavoro italiano è stato aperto a 20’000 lavoratori provenienti dai 10 nuovi paesi dell’Unione.
Una moratoria contestata
Un’apertura a tappe, insomma, simile a quella che la Svizzera ha adottato coi 15 e che vorrebbe applicare ai dieci nuovi membri dell’UE, a patto che il 25 settembre prossimo la popolazione accetti l’estensione dell’accordo di libera circolazione.
Però, contrariamente a quanto succede in Svizzera, dove tutti insistono sulla necessità di un’apertura controllata e progessiva del mercato del lavoro, la moratoria decisa dal Governo italiano in Friuli Venezia Giulia, l’unica regione italiana che confina con uno dei dieci nuovi membri, non soddisfa nessuno. Non solo le autorità e gli imprenditori della regione, ma anche i sindacati, tutti concordano nel dire: «Apriamo subito le frontiere, perlomeno con la Slovenia».
Le imprese della regione chiedono di poter disporre di un bacino di manodopera più ampio. Una richiesta appoggiata anche dalle autorità locali, secondo le quali, inoltre, la «moratoria è dannosa perché rende più difficile la regolarizzazione dei lavoratori transfrontalieri», dice a swissinfo Riccardo Illy, presidente della regione Friuli Venezia Giulia.
Non esistendo un permesso di frontaliero, chi trova un impiego oltreconfine deve – per poter ottenere un permesso di lavoro – avere anche una residenza in Italia. Una situazione che da sempre ha spinto molti sulla strada del lavoro nero: secondo le valutazioni dei sindacati, ogni giorno circa 15’000 tra sloveni e croati varcano quotidianamente il confine, ma solo un migliaio di loro ha un contratto di lavoro regolare.
Lotta al lavoro nero
Ed è nell’ottica di lottare contro il lavoro nero che anche i sindacati chiedono a gran voce l’apertura da subito del mercato del lavoro italiano.
«Aprire le frontiere contribuirebbe sicuramente a far emergere questo fenomeno e permetterebbe di regolarizzare la situazione di molti lavoratori», afferma Roberto Treu, presidente del Consiglio sindacale interregionale (CSI) Friuli Venezia Giulia/Slovenia.
«Ancora prima dell’entrata della Slovenia nell’UE avevo chiesto al Governo di adottare misure bilaterali per porre fine a questa situazione», aggiunge Riccardo Illy. «Il Governo non mi ha però risposto, creando a mio parere un danno a sé stesso, perché è chiaro che lavorando in nero non vengono pagate le imposte, gli oneri previdenziali, l’IVA…».
Nessun timore d’invasione
E la tanto paventata «invasione da est»? «È una paura totalmente infondata», prosegue Illy, «l’economia di questi paesi sta crescendo a tassi doppi rispetto a quelli dei 15 e la disoccupazione è bassa. L’unico problema potrebbe essere costituito dalla Polonia, che ha ancora molti occupati nell’agricoltura».
Un problema che non si pone in Slovenia, dove del resto le retribuzioni sono in costante crescita: «Nel 1992 il salario medio sloveno raggiungeva il 30% di quello italiano, oggi circa il 60%», dice a swissinfo Brane Misic, segretario esecutivo del sindacato sloveno ZSSS.
E l’economia slovena sta facendo passi da gigante: nel 2004, il prodotto interno lordo reale è progredito del 4,6% rispetto all’anno precedente, un aumento da far invidia all’Italia (+1,2%) e a tutti i vecchi paesi membri dell’UE.
«In Slovenia non esiste un problema di emigrazione ma piuttosto un problema di immigrazione», osserva il dott. Ugo Poli, di Informest, un centro di servizi per la cooperazione economica internazionale coi paesi dell’est basato a Gorizia. In altre parole, per poter star dietro alla crescita economica, la Slovenia più che esportare manodopera deve importarne.
swissinfo, da Gorizia Daniele Mariani
3’767 erano i cittadini sloveni con regolare permesso di soggiorno presenti sul territorio italiano al primo gennaio 2003
2’651 dei quali per motivi di lavoro (fonte Istat)
3’225 di loro vivevano nella regione del Nord-est
15’000 i lavoratori sloveni e croati che si stima varchino quotidianamente la frontiera per lavorare in Italia
8-9’000 dei quali sloveni
Secondo una valutazione dei sindacati, il 90% di loro lavora in nero
Tra Slovenia ed Italia è in vigore la libera circolazione dei beni, dei servizi e dei capitali, mentre per la libera circolazione dei lavoratori Roma ha adottato nei confronti dei dieci nuovi paesi dell’UE una moratoria che rimarrà in vigore al più tardi fino al 2011.
Le autorità italiane potrebbero però abrogare questa moratoria anche per un solo Stato ed è quanto chiedono che venga fatto da subito almeno nei confronti della Slovenia le autorità, i sindacati e gli imprenditori del Friuli Venezia Giulia.
Non esistendo un permesso di lavoro transfrontaliero, molti sloveni per poter lavorare in Italia sono costretti a ricorrere al lavoro nero. Una situazione che cambierebbe se entrasse in vigore la libera circolazione dei lavoratori.

In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.