Il nuovo accordo sui frontalieri non fa l’unanimità
La nuova intesa sull'imposizione dei lavoratori frontalieri è entrata in vigore il 17 luglio 2023. Da una prima analisi politica ed economica porterebbe a un riequilibrio del mercato del lavoro transfrontaliero aumentando anche le entrate fiscali. Ma in Ticino ha anche effetti negativi.
“A prima vista – secondo Andrea Puglia, dell’Ufficio frontalieri del sindacato OCST –l’Italia ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, che erano sostanzialmente tre”.
Il primo, aumentare le entrate fiscali con la tassazione della manodopera frontaliera. Questo punto è evidente a tutti: i nuovi frontalieri, contrariamente a prima, pagheranno le tasse anche in Italia.
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Il secondo obiettivo, secondo Puglia, era frenare l’afflusso di manodopera verso l’estero, in questo caso verso il Ticino in un momento in cui l’Italia, come la Svizzera, soffre della carenza di personale in certi settori. Obiettivo raggiunto visto che le nuove regole rendono meno attrattivo il mercato del lavoro ticinese.
“A prima vista l’Italia ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, che erano sostanzialmente tre”.
Andrea Puglia, dell’Ufficio frontalieri del sindacato OCST
Il terzo obiettivo era mantenere i ristorni per i comuni di frontiera. Anche questo obiettivo è stato parzialmente raggiunto grazie alle disposizioni transitorie, che prevedono che la Svizzera dovrà pagarli per altri dieci anni. Tanto per farci un’idea, nel 2022 il Ticino ha versato 107,5 milioni di franchi (111 milioni di euro).
Dal punto di vista ticinese
Anche il Canton Ticino esprime però soddisfazione. “Per il Governo ticinese – racconta Francesco Quattrini, delegato cantonale alle relazioni esterne – il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri ha un duplice obiettivo. Il primo, aumentare il gettito fiscale per il Cantone, tenuto conto dei costi che i lavoratori frontalieri generano in particolare a livello infrastrutturale”. Obiettivo raggiunto. Le entrate a livello di gettito aumenteranno, sebbene inizialmente non in modo sostanziale visto che il numero di nuovi frontalieri è ancora basso.
“L’altro obiettivo – continua Quattrini – è la lotta contro il dumping salariale, tenuto conto del divario tra il livello dei salari del personale residente rispetto a quello dei frontalieri. Riteniamo difatti che con l’imposizione ordinaria in Italia i nuovi frontalieri saranno portati a negoziare i salari al rialzo, e questo a vantaggio di tutti i lavoratori e le lavoratrici”. Altro obiettivo raggiunto per la gioia anche dei sindacati che in questo ambito lottano da anni.
Se letto con gli occhi della politica ticinese, dunque, il nuovo accordo ha permesso di raggiungere gli obiettivi principali.
Se letto con gli occhi del mondo imprenditoriale ticinese, gli effetti del nuovo accordo sono invece decisamente negativi. Come precisa Daniela Bührig, vicedirettrice dell’Associazione Industrie Ticinesi (AITI), “il reclutamento di manodopera diventa sempre più difficile. Dire però che questo sia dovuto al nuovo accordo sull’imposizione dei frontalieri è ancora prematuro. Anche perché siamo in un momento in cui le aziende sono già alle prese con una potenziale, grave carenza di manodopera legata alle dinamiche demografiche”.
“Per il Governo ticinese il nuovo accordo ha un duplice obiettivo. Il primo, aumentare il gettito fiscale, il secondo lottare contro il dumping salariale. Obiettivi raggiunti”.
Francesco Quattrini, delegato alle relazioni esterne del Canton Ticino
“Oltre a fattori congiunturali – continua Bührig – il nuovo accordo fiscale rende meno attrattivo il mercato del lavoro ticinese per i nuovi frontalieri soprattutto a causa della tassazione concorrente”: i nuovi frontalieri sono tassati in Italia mentre i vecchi lo erano unicamente in Svizzera. Questo cambiamento di rotta sull’imposizione, voluto soprattutto dalla Svizzera proprio per rendere meno attrattivo il lavoro frontaliero, avviene in un momento delicato dove la manodopera specializzata manca per cui l’effetto sperato dell’accordo sta diventando un boomerang.
“Dal punto di vista del Cantone – replica Francesco Quattrini – l’aumento della pressione fiscale sui frontalieri è anche un elemento di riequilibrio del mercato del lavoro a livello transfrontaliero. Nella consapevolezza però che questo fatto non fungerà in ogni caso da deterrente in particolare per la manodopera qualificata di cui l’economia cantonale ha bisogno”.
Parlando di manodopera qualificata, chiarisce Bührig, “l’attrattività della Svizzera e del Ticino è diminuita. La carenza di personale altamente specializzato sui due lati del confine fa sì che aumenti la concorrenza e di conseguenza i salari. Gli stipendi offerti dalle aziende italiane per queste figure professionali sono ormai concorrenziali a quelli svizzeri”.
Sulla stessa linea della vicedirettrice di AITI anche il sindacalista Andrea Puglia, secondo il quale “cresce il numero dei lavoratori e delle lavoratrici italiane che rifiutano un impiego in Ticino, cosa mai successa prima, perché giudicato non più interessante come una volta dal punto di vista economico. Il differenziale del salario netto si è abbassato a un livello tale da non rendere più, in molti casi, conveniente, per chi arriva dall’Italia, accettare il lavoro oltrefrontiera fatto spesso di sacrifici e rinunce”.
Difficoltà per le aziende ticinesi
I dati parlano chiaro. Si va incontro a una mancanza di manodopera. Uno studioCollegamento esterno di Edoardo Slerca, ricercatore della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, pubblicato dall’Ufficio di statistica del Canton Ticino, riferisce che entro i prossimi 9-10 anni 13’500 frontalieri andranno in pensione. Nello stesso arco temporale, altri 10’000 frontalieri potrebbero uscire volontariamente dal mercato del lavoro ticinese perché, come detto, lavorare in Ticino diventa meno attrattivo e la tassazione concorrente disincentiva molti candidati frontalieri.
“Il problema dell’accordo è che colpisce il tessuto economico ticinese”.
Daniela Bührig, vicedirettrice dell’Associazione Industrie Ticinesi (AITI)
“Il problema dell’accordo fiscale – dice ancora Bührig – è che colpisce il tessuto economico ticinese. Se le aziende non riusciranno a trovare nuova forza lavoro, potrebbero decidere di chiudere o delocalizzare. A quel punto, i riflessi saranno negativi per tutti”.
L’Italia cambie le regole del gioco
Da ultimo, ma non meno importante, l’Italia sta cambiando alcune regole ad accordo concluso. “Abbiamo preso atto – risponde Quattrini – e seguiamo con attenzione le varie misure che l’Italia sta attualmente introducendo a livello di legge per frenare l’esodo della manodopera qualificata dai suoi territori di confine, quali la tassa sanitaria e lo stesso premio di frontiera, misure attualmente in fase di valutazione a livello federale”.
A conti fatti il Ticino mantiene per il momento la sua attrattività per la manodopera con qualifiche medio basse. “In certi settori specifici ad alto valore aggiunto – conclude Andrea Puglia dell’OCST – l’attrattività invece diminuisce perché si tratta di settori – penso ad esempio a tutto il mondo del digitale, dei servizi alle imprese – dove in Italia le retribuzioni non sono male e soprattutto le tutele per i lavoratori sono maggiori”.
“Pensiamo – conclude Francesco Quattrini – che un’analisi più puntuale in merito potrà essere fatta dopo un congruo periodo di tempo, considerato che l’accordo è in applicazione dal 1° gennaio e applicato retroattivamente solo dalla scorsa estate. In questo senso si segnala la volontà condivisa del Cantone Ticino e di Regione Lombardia di monitorarne attivamente gli effetti sul mercato del lavoro”.
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