Lodano-New York, andata e ritorno
Fin da bambina, Natasha De Bernardi è abituata a vivere tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Di ritorno nel suo villaggio natale in Ticino, intende ricomporre i tasselli dell'avventura americana di suo bisnonno, emigrato in California a fine Ottocento.
Sua nonna è irlandese, la mamma americana e lei è cresciuta in un piccolo villaggio del canton Ticino. Natasha De Bernardi, 36 anni, va fiera della sua multiculturalità, anche se rimane profondamente legata alle sue origini. «Ho sempre amato il Ticino, con i suoi sassi immutabili, testimoni del tempo e della vita della mia gente», scrive sul suo sito internet.
Natasha ci accoglie nella sua casa a Lodano, in valle Maggia, a una ventina di chilometri da Locarno. Nonostante i lavori di restauro, la moderna cucina e la connessione wi-fi, all’interno della casa in pietra si respira ancora l’atmosfera di un tempo. «Ha almeno 200 anni. Mio bisnonno l’ha acquistata con i soldi dell’emigrazione».
L’amore dopo Katrina
Così come i suoi avi oltre un secolo prima, Natasha ha deciso di tentare la carta americana, dopo aver trascorso parte della sua infanzia tra il Ticino e la California. «Finiti gli studi a Zurigo mi è stato offerto un lavoro in Ticino. Io volevo però andare a New York». Attraverso alcune conoscenze, Natasha ottiene un impiego in un’agenzia letteraria della Grande Mela.
«L’idea era di restare quattro mesi. Dopo una settimana a New York mi sono però detta che non volevo più ripartire. Sono rimasta sette anni», racconta. A New York, oltre al lavoro, trova anche l’amore. «Bob era un insegnante ed era appena arrivato da New Orleans. L’uragano Katrina gli aveva portato via tutto, casa e scuola».
Qualche mese prima del matrimonio, i due fanno ritorno a Lodano – «è stato lui a propormi di venire in Ticino» – e insieme ristrutturano la vecchia casa di famiglia. «È stato facile partire ed è stato facile tornare. Paradossalmente, qui nel piccolo villaggio di Lodano mi sento parte di qualcosa di più grande».
Sono vostro figlio!
Accanto alla sua attività di gestione dei diritti di traduzione, Natasha trascorre diverse ore a scavare nel passato. La storia è quella di suo bisnonno Silvio, emigrato in California nel 1891 all’età di 18 anni. «Ho iniziato a raccogliere le sue lettere dall’America e a tradurle in inglese. Ne ho trovate 58 e ho riempito un centinaio di pagine».
Negli scritti dell’emigrante ticinese non mancano gli aneddoti. «Ad un certo momento parla del ritorno in Ticino del fratello Geremia, emigrato qualche anno prima di lui: quando è apparso in modo inatteso sulla soglia di casa nessuno lo ha riconosciuto. “Sono vostro figlio!”, ha risposto al padre ignaro».
Anche la storia di un cugino del bisnonno è sintomatica di quanto era difficile, a quell’epoca, mantenere i contatti con la famiglia. «Tornando dall’America si è fermato in un ostello di Basilea. Sfogliando il registro ha notato un nome simile al suo. Ha così incontrato per la prima volta il fratello più giovane, mai conosciuto poiché partito in America prima della sua nascita. Sono tornati assieme a Lodano, ubriachi fradici».
Il posto più bello al mondo
«Ad avermi colpita di più nelle lettere di Silvio – confida Natasha – è la malinconia che affiora dalle sue parole. Continua a ripetere di voler tornare in Ticino».
«Vedi buon amico – scrive Silvio all’amico rimasto in patria – come ha fatto la bella gioventù di Lodano: buona compagnia di sette, il buon momento di fare un po’ di allegria, far vedere la vivacità della gioventù, e uno va di qua e l’altro di là. Oh! Dove andarono quelle belle serate passate cantando suonando ballando; sono passate e più non ritornano. Queste cose propriamente fanno crepare il cuore».
Silvio rimane in California per dieci anni. Lavora come ranciere, principalmente presso altri ticinesi. Al suo rientro in Ticino nel 1901 costruisce una casa e aiuta il figlio Olinto ad acquistare per 4’000 franchi la futura dimora della nipote. Sarà ricordato come un uomo all’avanguardia, scrive Natasha nel blog sull’emigrazione di swissinfo.ch: è stato il primo in paese ad avere l’acqua corrente in casa e la radio.
«Chissà dove sarei andata a finire, se lui non fosse emigrato», s’interroga Natasha. «Non ho ancora deciso – conclude – se il mondo è piccolo oppure incredibilmente vasto. Sono però convinta che non esista alcun posto al mondo più bello del mio paesino tra le montagne… soprattutto quando c’è la possibilità di partire e di vivere con un po’ di America in casa».
È il pioniere svizzero tedesco John Sutter a dare avvio, nel 1849, alla proficua corsa all’oro californiana.
I giacimenti auriferi non sono le uniche motivazioni ad attirare asiatici ed europei, inclusi migliaia di ticinesi, verso il continente nordamericano. Una legislazione liberale semplifica infatti l’acquisizione della terra; l’irrigazione e nuove varietà di grano contribuiscono poi allo sviluppo dell’agricoltura.
Contenuto fino al 1880, il numero di emigranti dalla Svizzera italiana aumenta in modo esponenziale nei decenni successivi, anche grazie al completamento della rete ferroviaria statunitense.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, circa 27’000 ticinesi emigrano verso la California e s’installano principalmente nella regione di San Francisco, lungo le catene costiere e nelle valli centrali. Iniziano a lavorare come mungitori di mucche o rancieri, spesso nelle proprietà appartenenti agli emigranti svizzeri italiani che li hanno preceduti.
Dai ranch acquistati dai pionieri – si stima che i ticinesi erano proprietari di circa 1’800 km2 di terreno, corrispondenti a due terzi della superficie del Ticino – sono inviati in patria cospicui capitali a sostegno delle famiglie.
Col tempo, alcuni emigranti fanno ritorno a casa, mentre altri sono raggiunti in California da mogli e figli.
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