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La tratta delle tate per la classe media

illustrazione di uno smartphone e di tre donne sedute su un divano
Birgit Lang

Tante giovani albanesi arrivano in Svizzera pensando di doversi occupare di adorabili bambini e bambine, nella speranza di guadagnarsi da vivere facendo un bel lavoro in un Paese sicuro. Invece finiscono nella morsa del traffico di esseri umani.

Cosa è successo finora (primo episodio): C’è un sistema che attira le albanesi in Svizzera con la promessa di un lavoro da bambinaia, facendole finire nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Shpresa è una di loro.

Aula di tribunale, udienza d’appello. Oltre a noi, sono presenti solo gli imputati (marito e moglie), il giudice distrettuale, il suo assistente e un altro giornalista. A prima vista, una scena che non sembra avere nulla di speciale.

La coppia è stata condannata in primo grado per aver fatto lavorare una straniera senza i dovuti permessi. Ora ha impugnato la sentenza. Entrambi quarantenni, sembrano sconvolti, disperati, senza un avvocato o un difensore d’ufficio. Lei è una commessa su chiamata, lui fa il pendolare come installatore. Il reddito della loro famiglia, inclusi i quattro figli, ammonta a circa 6’500 franchi al mese.

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La giovane albanese, Shpresa, non è presente in aula. Dove si trova? “Non lo sappiamo”, dice la coppia. Sono venuti a prelevarla in taxi. Il marito dice di non sapere chi fossero le persone a bordo. La stessa compagnia di taxi emergerà anche nella conversazione con un’altra vittima.

Quel giorno Shpresa non ha lasciato la Svizzera. Arrestata un mese dopo come “overstayer”, durante un controllo d’identità della polizia, ha raccontato di aver dovuto lavorare per la coppia come babysitter e governante, per la metà dei soldi promessi. Qualcuno le aveva fatto avere un passaporto falso, ma non sapeva chi.

L’Ufficio del pubblico ministero ha iniziato a indagare. Shpresa, però, è stata espulsa, con il divieto di tornare in Svizzera per due anni. Durante il processo non è stata interrogata e non è stata mai chiesta la collaborazione delle autorità albanesi. Il tribunale ha stabilito che le dichiarazioni della donna alla polizia non sono utilizzabili come prova.

Le Nazioni Unite definiscono la tratta di esseri umaniCollegamento esterno come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento o la ricezione di persone attraverso la forza, la frode o l’inganno, allo scopo di sfruttarle a scopo di lucro”. Uomini, donne e bambini di ogni età e provenienza possono diventare vittime di questo crimine, che è diffuso in ogni regione del mondo. I trafficanti spesso ricorrono alla violenza o ad agenzie di collocamento fraudolente e false promesse di istruzione e opportunità lavorative per ingannare e costringere le loro vittime a fare ciò che vogliono”.

La stragrande maggioranza dei trafficanti sono uominiCollegamento esterno. Le donne che contribuiscono a perpetrare questo crimine in genere ne sono state vittime a loro volta.

Una merce e le sue filiere

Il suo caso sembra rivelare la generale impotenza delle autorità svizzere e la mancanza di coordinamento nella lotta contro la tratta di esseri umani. È come se il tribunale volesse chiudere il caso in fretta e furia: la vittima non può più essere rintracciata, per cui la coppia viene assolta.

E i responsabili la fanno franca.

“Abbiamo smesso di considerare la tratta di esseri umani come un’attività a sé stante molto tempo fa”, afferma Thomas Fuchs di Trafficking.ch. “Coloro che reclutano babysitter in questo modo sono sicuramente coinvolti in altri illeciti, come lo spaccio di droga”.

Vogliamo rintracciare Shpresa, per cui torniamo di nuovo in Albania. Con l’aiuto di un giornalista investigativo locale, andiamo alla prudente ricerca di indizi nel suo Paese natale. Ma non riusciamo a capire come sia arrivata in Svizzera né cosa le sia successo in seguito.

Al contrario di quel che si può pensare, è raro che le vittime della tratta vengano trasportate in camion oscurati. Nella maggior parte dei casi, seguono percorsi ordinari, in autobus, aereo, taxi o auto. In questo settore, gli esseri umani sono una merce come un’altra. Un bene con cui si possono fare soldi, con filiere internazionali.

La tratta di esseri umani è diversa dal traffico di migranti. Nel secondo caso, le persone vengono portate da A a B e i profitti sono legati al servizio di trasporto. Nella tratta di esseri umani, invece, il trasporto è solo il mezzo per raggiungere un fine: il vero fulcro dell’attività è lo sfruttamento del lavoro o del corpo delle persone coinvolte. Tuttavia, le due cose finiscono spesso per mescolarsi.

I trafficanti hanno i loro complici lungo il percorso: dall’autista di pullman che riscuote il denaro per il biglietto all’arrivo in Svizzera, a una guardia di frontiera che non controlla troppo il passaporto o a una compagnia di taxi che è felice di avere una clientela abituale e preferisce non fare domande sul continuo ricircolo di donne sui suoi veicoli.

illustrazione di una ragazza seduta su un letto, una valigia di vestiti, un aereo e la bandiera albanese
Birgit Lang

Nel caso di Lirije, era l’autista del pullman che l’ha portata dall’Albania alla Svizzera. “È rimasto al telefono per tutto il viaggio”, ricorda. A un certo punto le ha fatto un cenno di assenso e le ha consegnato qualche centinaio di euro. A volte, alla frontiera, passeggeri e passeggere vengono controllati per assicurarsi che abbiano con sé denaro sufficiente per il loro soggiorno. “Passato il confine svizzero, si è ripreso tutto”, racconta Lirije.

Infine, l’ha lasciata alla stazione dei pullman, dove Lirije ha aspettato che arrivasse il suo datore di lavoro. Avevano già discusso tutto al telefono: lui sapeva della sua difficile situazione a casa, le aveva pagato il biglietto del pullman e l’ha accompagnata alla periferia di una città svizzera.

È un quartiere modesto, con palazzine sparse in modo apparentemente casuale su quello che una volta era un campo agricolo. Gli ingressi degli edifici sono ingombri di passeggini e cartelli che informano i residenti dei divieti in vigore. Persone dai volti stanchi aspettano l’autobus.

Qui vivono la piccola borghesia e il moderno precariatoCollegamento esterno svizzero, nonché addetti alle pulizie, badanti, idraulici, commessi e operai edili. Sono queste persone e le loro famiglie che in genere cercano questo tipo di babysitter, perché hanno bisogno di un aiuto nella vita di tutti i giorni, ma non potrebbero permetterselo. Qui, in questo agglomerato anonimo, Lirije non ha iniziato la nuova vita in cui sperava tanto, ma il suo viaggio all’inferno.

Una rete di dipendenze

Dall’esterno, la tratta di esseri umani è difficile da riconoscere. Oltre alla prostituzione forzata, infatti, coinvolge anche lo sfruttamento della manodopera ordinaria, dalla cameriera del vostro bar preferito all’operaio del cantiere sotto casa.

“In Svizzera non abbiamo ben presente che cosa sia la tratta di esseri umani”, afferma Thomas Fuchs. Il perseguimento penale di questo tipo di crimine spetta ai Cantoni, ma, secondo un rapporto commissionato dall’Ufficio federale di polizia (fedpol), esistono enormi differenze tra l’uno e l’altro. “Ogni Cantone ha decine di gruppi di lavoro sull’argomento, ma una cosa del genere andrebbe affidata all’Europol, caso per caso”, dice Fuchs.

O si sottovaluta il problema, oppure mancano i fondi. Inoltre, secondo lo studio, vige l’idea ormai obsoleta che la tratta di esseri umani sia da ricollegarsi principalmente al mercato del sesso, per cui si tende a fare poca attenzione allo sfruttamento del lavoro.

“In Svizzera non abbiamo ben presente che cosa sia la tratta di esseri umani”

Stephan Fuchs, Trafficking.ch

Lo sfruttamento inizia instaurando un rapporto di dipendenza attraverso l’inganno, l’indebitamento o le difficoltà di una particolare situazione familiare. Una volta che le vittime sono arrivate in Svizzera, la rete si stringe. Le donne non conoscono il Paese, non parlano la lingua e non hanno altri contatti oltre ai trafficanti. Chi arriva da Albania, Macedonia del Nord e Kosovo può soggiornare legalmente in Svizzera per tre mesi, anche senza visto.  Tuttavia, a differenza dei cittadini e delle cittadine dei Paesi dell’UE o dell’AELS, per quel periodo non gli è consentito lavorare.

Anche in Albania, alcune cose non sono poi tanto diverse dalla Svizzera: “Le giovani spesso non considerano l’assicurazione sanitaria e la pensione come priorità”, spiega Iris Luarasi, esperta di diritti delle donne albanesi. “Pensano di potersi occupare della documentazione al loro arrivo”.

Lavorando illegalmente, tuttavia, finiscono per trasgredire subito la leggeCollegamento esterno, cosa che viene sfruttata apertamente dai trafficanti. Si tratta di una perfida truffa, che anche fedpol riconosce come taleCollegamento esterno: le vittime non possono fare altro lasciarsi sfruttare.

Nel corso delle nostre indagini, abbiamo letto fascicoli giudiziari che raccontano di violenze fisiche e psicologiche. Di ricatti emotivi e aggressioni sessuali. Le donne parlano di percosse, umiliazioni e minacce di morte, anche nei confronti dei loro familiari. Ascoltiamo messaggi vocali pieni di feroci insulti.

A volte, le future vittime sanno che andranno in Svizzera a lavorare illegalmente. Altre volte vengono ingannate, come è successo ad Ardita.

Come hanno fatto a sfruttare la fiducia di Ardita nel sistema legale svizzero? E perché riceve messaggi vocali carichi di insulti? Scopritelo nel terzo episodio.

Questa inchiesta è apparsa per la prima volta sulla rivista svizzera “Beobachter”, grazie al sostegno di JournaFONDS e del fondo Real 21 media.

Una versione albanese è disponibile sulla piattaforma investigativa “Reporter.alCollegamento esterno“.

La versione tedesca è disponibile su “Beobachter.chCollegamento esterno“.

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