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Alcune tate spariscono senza lasciare traccia

illustrazione di una ragazza con una valigia, un passaporto e un autobus che si dirige verso la svizzera
Birgit Lang

Tante giovani albanesi arrivano in Svizzera pensando di doversi occupare di adorabili bambini e bambine, nella speranza di guadagnarsi da vivere facendo un bel lavoro in un Paese sicuro. Invece finiscono nella morsa del traffico di esseri umani.

Cosa è successo finora (secondo episodio): Le donne albanesi vengono attirate in Svizzera per lavorare come babysitter e finiscono nella morsa dei trafficanti di esseri umani. Spesso sono vittime di un inganno, proprio come Ardita.

Ardita, una giovane impiegata amministrativa, stava cercando di rimettersi in piedi dopo un divorzio difficile. All’inizio non era convinta di lavorare come babysitter all’estero. Poi però le è stato detto che il contatto dell’agenzia si sarebbe occupato di organizzare il viaggio e le avrebbe fatto avere il contratto di lavoro al suo arrivo. Ardita si è affidata all’immagine che aveva della Svizzera: un Paese in cui la certezza del diritto vale per tutti. E così è volata a Zurigo carica di speranza.

Il suo primo incarico presso una famiglia di Sciaffusa è stato deludente, perché, contrariamente a quanto concordato, ha dovuto occuparsi non solo dei tre bambini piccoli, ma dell’intero nucleo familiare. Il tutto per 600 franchi al mese. “Ho lavorato come un mulo”, ricorda.

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Quando si è lamentata con il suo agente di collocamento, Qemal, lui le ha promesso di trasferirla in un’altra sede. Dopodiché, le ha imposto una “commissione per il ricollocamento” e l’ha mandata a lavorare come addetta alle pulizie in un club di Zurigo.

Nel giro di cinque settimane, Ardita ha iniziato a lavorare per quattro persone diverse. Puliva soprattutto ristoranti e locali. Di tanto in tanto veniva mandata oltre confine, in Germania, per fare pulizie in albergo. Il passaporto le è stato portato via. Non ha mai visto né i soldi che le erano stati promessi, né un contratto o un permesso di lavoro.

Ha provato a protestare ed è stata sgridata. Si è arrabbiata e ha insistito per ricevere il suo stipendio, “altrimenti andrò alla polizia”. “Ti arresteranno per aver lavorato in nero”, le ha detto uno dei suoi datori di lavoro.

Le vittime della tratta di esseri umani di solito arrivano in Svizzera illegalmente, anche se non per colpa loro. Il Governo ha elaborato un nuovo “Piano nazionale d’azione contro la tratta di esseri umaniCollegamento esterno“. Il documento strategico mira a fare da base per le autorità. Tra le altre cose, dovrebbe ridurre l’onere della prova a carico delle vittime.

Le Nazioni Unite definiscono la tratta di esseri umani Collegamento esternocome “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento o la ricezione di persone attraverso la forza, la frode o l’inganno, allo scopo di sfruttarle a scopo di lucro”. Uomini, donne e bambini di ogni età e provenienza possono diventare vittime di questo crimine, che è diffuso in ogni regione del mondo. I trafficanti spesso ricorrono alla violenza o ad agenzie di collocamento fraudolente e false promesse di istruzione e opportunità lavorative per ingannare e costringere le loro vittime a fare ciò che vogliono”.

La stragrande maggioranza dei trafficanti sono uominiCollegamento esterno. Le donne che contribuiscono a perpetrare questo crimine in genere ne sono state vittime a loro volta.

Un mix di violenza e vergogna

Quando Ardita si è lamentata con chi la sfruttava, è stata insultata: “Taci, puttana, sei la vergogna della tua famiglia”. Tuttavia, le è stato detto che il contratto sarebbe arrivato presto. Dopo qualche settimana, Qemal l’ha messa su un aereo diretto a casa, senza mai mantenere le promesse fatte.

Abbiamo decine di screenshot, messaggi vocali e chat che confermano la sua storia. Quello che le è capitato non è molto diverso da tutti gli altri casi di cui ci siamo occupati. Lo schema di inganni, tattiche dilatorie e vessazioni è sempre lo stesso. Distruggendo l’autostima delle vittime se ne annulla anche il senso di autodeterminazione.

Veniamo a sapere di Mariana da un programma televisivo albanese. Un agente di collocamento le aveva offerto un posto come assistente per un’impresa di pulizie tramite WhatsApp. “Per essere ammessa, però, avrei dovuto andare a letto con lui una volta alla settimana”, ha raccontato la ragazza in televisione. Mariana ha rifiutato il lavoro.

Quello che sembra solo lo squallido tentativo di un uomo viscido, in realtà è una tattica deliberata. I trafficanti usano commenti di questo tipo per verificare quanto la potenziale vittima abbia bisogno di denaro e fino a dove sia disposta a spingersi per ottenerlo.

illustrazione di una ragazza, un'aspirapolvere, un passeggino e l'insegna di un bar
Birgit Lang

Un’altra ex tata racconta che il suo datore di lavoro le aveva proposto di guadagnare fino a 1’000 franchi a notte facendo la “cameriera” in un locale illegale. Pare sia stata al gioco, ma poi aggiunge: “Non l’ho mai fatto. Non fa per me”. Non sappiamo di preciso quale sia la verità.

Lo stesso vale per molte altre conversazioni. Un misto di paura, vergogna e tabù ci impedisce di capire che cosa sia successo davvero, per cui ci atteniamo ai fatti noti: atti giudiziari e dichiarazioni ufficiali delle vittime. Pur conoscendo i nomi e i numeri di telefono dei presunti colpevoli, non possiamo affrontarli senza mettere ulteriormente a rischio la sicurezza delle donne sfruttate.

Tuttavia, il quadro ci è chiaro: i potenziali lavori da babysitter possono sfociare nella prostituzione forzata.

Un’odissea senza fine

L’incubo delle vittime della tratta di esseri umani non si conclude quando riescono a fuggire da chi ha abusato di loro, ammesso che ci riescano. Spesso, chi sopravvive torna a casa con un trauma e con meno soldi di prima. In genere la vergogna è tale che non parla con nessuno dell’esperienza vissuta. Non compare in nessuna statistica.

Nessuna delle vittime è mai stata registrata come lavoratore in Svizzera. Né da chi le ha dato lavoro, né tantomeno dai trafficanti veri e propri, che traggono profitto dalla crescente domanda di babysitter a basso costo da un lato e dal bisogno e dalle speranze delle donne dall’altro.

“La libera circolazione delle persone rende più facile trovare un lavoro legale in altri Paesi. Tuttavia, per noi è uno svantaggio, nella misura in cui non si segnala chi viene rimandato indietro o torna al proprio Paese”, afferma Brikena Puka, direttrice di Vatra, una ONG della città portuale di Valona che si occupa della tratta delle donne in Albania. “Questo rende ancora più difficile identificare le vittime quando rientrano dalla Svizzera”.

In Albania, molte persone sanno che è possibile andare a lavorare come babysitter in Svizzera e conoscono la figlia di un cugino o di un amico che lo ha fatto. Tuttavia, pochi si rendono conto che si tratta di una forma di traffico di esseri umani. Anche gli esperti e le esperte di Vatra non sanno come combatterla. Puka è convinta che sia necessario un maggiore coordinamento a livello internazionale.

Come stanno ora le vittime?

Lirije, che era stata costretta a lavorare in condizioni di semi-schiavitù, dopo il suo calvario ha ritrovato l’ottimismo. Ha ricevuto assistenza psicologica in un centro di accoglienza ed è stata seguita durante tutta la causa in tribunale. Oggi non è ancora del tutto stabile, ma a causa delle sue difficili condizioni le è stato concesso di rimanere in Svizzera come caso di rigore, per cui sta ricostruendo la sua vita lì.

Altre donne sono tornate nel loro Paese d’origine. È il caso di Ardita, che però dice di voler fare un altro tentativo in territorio elvetico. Spera di avere più fortuna e di trovare un lavoro vero. “Non riesco ancora a raccontare alla mia famiglia quello che mi è successo”, dice.

Altre ancora sono state deportate o sono scomparse misteriosamente, come Mariana e Shpresa. Di loro si sono perse le tracce. Forse sono cadute ancora una volta preda dei trafficanti: uno schema che si ripete spesso nel circolo vizioso delle dipendenze, perché le vittime hanno bisogno di soldi, per sé e per le loro famiglie. Così ci riprovano, sperando che questa volta le cose possano andare meglio.

Questa inchiesta è apparsa per la prima volta sulla rivista svizzera “Beobachter”, grazie al sostegno di JournaFONDS e del fondo Real 21 media.

Una versione albanese è disponibile sulla piattaforma investigativa “Reporter.alCollegamento esterno“.

La versione tedesca è disponibile su “Beobachter.chCollegamento esterno“.

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