Le aziende elettriche alla ricerca di nuove fonti di reddito
(Keystone-ATS) Tra cinque anni il settore dell’elettricità in Svizzera e in Europa sarà molto diverso da oggi, secondo il direttore dell’Ufficio federale dell’energia (UFEN), Walter Steinmann, stando al quale nessun altro comparto industriale sta vivendo una simile trasformazione.
L’industria elvetica dell’elettricità affronta una crisi profonda: per decenni la produzione di corrente e la sua commercializzazione sembravano ben protette, con una clientela affezionata al proprio fornitore. L’energia nucleare meno cara prodotta di notte poteva essere trasformata in corrente più costosa di giorno, cosa che da tempo non è più possibile.
Dal 2009 il prezzo della corrente si è ridotto in modo drastico: il fenomeno si spiega con una domanda poco sostenuta e un grande cambiamento nella produzione. Gli investimenti compiuti nella costruzione di apparecchi capaci di risparmiare energia influiscono sulla domanda e nel contempo la debole crescita in Europa ha rallentato le vendite.
Il cambiamento nelle abitudini energetiche ha un ruolo decisivo, al pari del basso prezzo di carbone e gas. In Germania, ad esempio, la quota di energie rinnovabili e sovvenzionate dal 2000 ad oggi è passata dal 6,2 al 27,8%. Ciò rappresenta una nuova concorrenza per le centrali elettriche convenzionali che non usufruiscono di contributi finanziari. Senza contare il fatto che in Europa vi è un numero eccessivo di aziende elettriche.
Di fronte a questa vera e propria “svolta energetica” le vecchie e inquinanti centrali a carbone non vengono dismesse, al contrario: se ne costruiscono di nuove. La spiegazione di questo fenomeno risiede nel basso prezzo del carbone e nei certificati di emissione di CO2 poco costosi. Gli studi dimostrano che per avere effetto sul prezzo l’emissione nell’atmosfera di una tonnellata di CO2 dovrebbe costare 27 euro, ed invece a tutt’oggi costa soltanto un terzo.
In Germania, Polonia o nella Repubblica ceca le vecchie centrali a carbone, ammortizzate ormai da tempo, possono incidere fortemente nella corsa a chi pratica il prezzo più basso, mentre alle altre fonti energetiche – idrica e perfino atomica – restano le briciole. Insomma: lavorano in perdita.
Questa constatazione vale anche per le centrali svizzere, tanto più che la corrente elvetica è diventata ancora più cara rispetto a quella europea, a causa della forza del franco. Non sorprende quindi che le aziende indigene presentino delle perdite.
Il gruppo Axpo, ad esempio, dal 2011 ha dovuto procedere a rettifiche di valore per quasi 4 miliardi di franchi. L’azienda retica Repower quest’anno presenterà cifre rosse per il terzo anno consecutivo. I due gruppi cercano di cavarsi dai guai rafforzando le loro prestazioni di servizi.
Ma non tutte le aziende energetiche in Svizzera sono in crisi. BKW (ex-Forze motrici bernesi) e CKW (le Forze motrici della Svizzera centrale) hanno registrato degli utili, malgrado il basso prezzo dell’energia, approfittando in particolare del fatto che il mercato indigeno non è ancora pienamente liberalizzato.
Infatti, se il grosso cliente che utilizza oltre 100 mila kWh di corrente dal 2009 può scegliere il proprio fornitore, gli altri sono legati al loro operatore elettrico. La Confederazione prescrive tuttavia che le centrali debbano fornire a costoro corrente a prezzo di costo. Per tali aziende si tratta di un’attività sicura e non sono in balia del mercato.
Questi gruppi energetici, che non soltanto producono o commercializzano la corrente, ma la forniscono al cliente finale, sono meno colpiti dalla crisi. Axpo e Alpiq invece, che non sono attivi nell’intera filiera (dal produttore al cliente), soffrono maggiormente.