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Otto Dix, artista «degenerato» alla ricerca del vero

Il fumatore, particolare di un autoritratto del 1913. ProLitteris, Zürich

Non piaceva al regime nazista che trovava i suoi quadri scandalosi, osceni e nocivi alla causa militare, oggi Otto Dix è annoverato tra gli artisti tedeschi più importanti del XX secolo.

Conosciuto soprattutto per i suoi quadri di critica sociale, Dix è però molto di più, come dimostra la bella retrospettiva che gli ha dedicato il museo «zu Allerheiligen» di Sciaffusa.

Sciaffusa è una cittadina ai confini con la Germania, nota soprattutto per l’imponente spettacolo naturale offerto dalle cascate del Reno. Non è propriamente il posto in cui ci si aspetterebbe di trovare una mostra di spessore internazionale e invece la retrospettiva dedicata a Otto Dix ed allestita al museo «zu Allerheiligen» non ha nulla da invidiare a quelle che si possono visitare nei blasonati musei delle grandi città.

Per il museo sciaffusano si è trattato di uno sforzo finanziario e tecnico particolare – «abbiamo ad esempio dovuto dotarci di condizionatori per ottenere in prestito certi dipinti», racconta il curatore Markus Stegmann – ma ne è valsa la pena.

Otto Dix è considerato uno dei più importanti pittori tedeschi del XX secolo e negli ultimi anni è oggetto di un rinnovato interesse a livello internazionale. I quadri per cui è famoso – dalle rappresentazioni dei soldati morenti in trincea, alle luci delle grandi città, passando per i ritratti di prostitute, marinai e società «equivoca» – suscitano ancora oggi forti reazioni. «Diventerò famigerato o famoso», diceva Dix. È riuscito in entrambe le cose.

La verità spigolosa

I suoi personaggi – che voleva dipingere seguendo la prima impressione, perché è quella giusta, e senza pensare al loro carattere, perché è dall’esteriorità che si risale all’interiorità – non lasciano nessuno indifferente. L’hanno chiamata «critica sociale», per Dix – che non è mai stato attivo politicamente – era trasposizione in pittura di ciò che vedeva, della sua verità.

«Le opere di questo periodo oggi hanno trovato un ampio consenso», racconta Markus Stegmann, «ma Dix rimane un artista controverso». Troppo eclettico agli inizi, troppo classico e mistico dalla fine degli anni Trenta in poi. «Molti ritengono che si sia appiattito, che non abbia perso la sua forza “politica”, ma io credo che sia un giudizio affrettato. Un artista si deve domandare in che tempo vive e in che modo può dare una risposta al suo tempo. Se si guarda la biografia di Dix ci si accorge che è passato attraverso mutamenti epocali: è nato ai tempi dell’imperatore Guglielmo II, ha vissuto al fronte la Prima guerra mondiale, poi c’è stata la Repubblica di Weimar, i nazisti, un’altra guerra, l’epoca delle due Germanie».

Tra antico e moderno

Lo stile di Dix è cambiato con il mutare dei tempi. Licenziato dall’Accademia di Dresda, dove insegnava, e bollato come artista «degenerato», non ha voluto lasciare la Germania e ha optato per un’emigrazione interiore, per un cambio di stile.

Nei paesaggi degli anni Trenta e Quaranta, così classici, così lontani dalle provocazioni del decennio precedente, Dix ha trovato il modo di continuare a dipingere e di portare nel XX secolo qualcosa dello stile senza tempo dei maestri rinascimentali e barocchi che tanto amava. Quello che in un primo tempo Dix definì un «esilio nei paesaggi», davanti ai quali stava «come ci starebbe una mucca», si trasforma in esperienza positiva. Già verso la fine degli anni Venti, tuttavia, c’è un cambiamento nella scelta dei soggetti dei dipinti. L’attenzione di Dix si sposta dalle prostitute ai ritratti di famiglia, ritratti in cui già si nota una ripresa dei classici.

Di questo periodo a Sciaffusa, oltre al famoso «Ritratto dei genitori I», si può ammirare «Il parto» (1927). Dix ritrae il momento della nascita del figlio Ursus da una prospettiva inusuale per un dipinto e che ancora oggi si vede solo nei documentari. «È un quadro incompiuto e per proprio per questo interessante», commenta Stegmann. «Il bambino e la vagina della madre sono appena accennati. Dix ha messo tutta la sua energia nella rappresentazione delle pieghe delle lenzuola. Voleva mostrare qualcosa che non si era mai visto, o raramente, ma a un certo punto deve essersi spaventato del suo ardire, ha cercato un punto d’appoggio e l’ha trovato nel lavorare in modo classico su un drappeggio».

Dix osa, a volte cade, non controlla completamente ciò che fa. «Davanti ai suoi quadri religiosi si può anche sorridere e dire che sono kitch», afferma Stegmann, «ma il rischio che si assume è interessante».

«Molti artisti contemporanei stanno riscoprendo i classici. Sono affascinati dall’arte figurativa, non da quella astratta. Conosco dei giovani artisti – nati a metà degli anni Settanta – che s’interessano alla produzione tarda di Dix. In un certo senso, ha anticipato la voglia di “rallentamento”, il ritorno ad un’arte senza tempo e i temi che occupano le nuove generazioni».

Otto Dix ha dunque ancora qualcosa da insegnare. La sua è una ricerca stilistica costante, un’infaticabile rivendicazione del proprio modo di vedere e sentire, una verità soggettiva che diventa bellezza. «Non mi piace la rappresentazione delle cose odiose», disse una volta a sua difesa. «Tutto ciò che ho visto è bello».

swissinfo, Doris Lucini, Sciaffusa

Otto Dix è conosciuto soprattutto per le opere che ha creato negli anni Dieci e Venti del Novecento, opere definite di «critica sociale», che illustrano la vita in trincea (trasposizione artistica delle esperienze che Dix ha fatto al fronte durante la Prima Guerra mondiale), le grandi città e i suoi personaggi (con un gusto particolare per le prostitute).

La mostra di Sciaffusa presenta però anche opere della prima fase creativa di Dix – studi botanici che testimoniano della minuziosa capacità d’osservazione del pittore – e arriva fino alle ultime creazioni passando per i paesaggi che Dix si è visto costretto a dipingere dopo la contestazione nazionalsocialista delle sue opere precedenti.

La mostra mette in luce la continua ricerca stilistica di Dix: dalle tendenze a lui contemporanee – espressionismo, dadaismo, cubismo, «Der blaue Reiter», «Die Brücke», … – alla riscoperta dei maestri che hanno operato tra il Tre e il Settecento, senza mai cedere, però, alla tentazione dell’astratto.

Nel 1933, dopo essere stato privato dal regime nazista del posto di professore all’Accademia di belle arti di Dresda, Otto Dix si trasferisce dapprima a Singen poi a Hemmenhofen, due località al confine con la Svizzera e poco distanti da Sciaffusa.

Già nel 1935 e poi, di nuovo, nel 1956, Sciaffusa accoglie una personale di Dix. Nella cittadina svizzera si trova anche l’archivio della Fondazione Otto Dix (la cui sede giuridica è però nel Liechtenstein).

La retrospettiva organizzata dal museo «zu Allerheiligen» di Sciaffusa nasce dalla ventennale collaborazione tra il museo e la Fondazione Otto Dix. Resterà aperta fino all’8 ottobre 2006. Vi si possono ammirare più di 90 opere che testimoniano le diverse fasi creative del pittore tedesco.

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