50 anni per la difesa della popolazione
Il ministro della difesa Samuel Schmid loda la costanza della protezione civile svizzera: sviluppata durante la Guerra fredda, oggi si concentra sulle catastrofi.
Il 95% della popolazione ha un rifugio in un bunker antiatomico; in caso di crisi, l’organizzazione è pronta ad intervenire a sostegno della popolazione.
Non esiste ancora un bunker per ogni svizzero, ma poco ci manca: sono ben 270’000 i rifugi della protezione civile costruiti in Svizzera negli ultimi 50 anni, in cui in caso di bisogno potrebbe trovare posto il 95 per cento della popolazione.
Una densità quasi unica al mondo che si deve fra l’altro all’attività dell’Unione svizzera per la protezione civile (USPC), che sabato festeggia il mezzo secolo d’esistenza. La federazione, fondata il 21 novembre 1954, raccoglie sotto un unico tetto le varie associazioni cantonali e che operano nel ramo.
Anche il consigliere federale Famule Schmid, responsabile della difesa, è sceso in campo per lodare il lavoro svolto: «La protezione civile non è uno sprinter, ma un maratoneta che si prepara con costanza per intervenire nelle catastrofi e nelle situazioni di crisi», ha detto durante la cerimonia tenuta sabato a Berna.
Tracce di un conflitto ideologico
Nel Dopoguerra, la Svizzera neutrale in un mondo polarizzato aveva un traguardo chiaro: «Un rifugio per ogni cittadino». Ma quanto sono costati la costruzione e la gestione dei rifugi? «Sarebbe pura speculazione avanzare una cifra», spiega il portavoce del Dipartimento della difesa Moritz Boschung.
Comuni, cantoni e Confederazione hanno costruito le loro strutture in modi e tempi diversi. Ma basti una cifra per definire l’ordine di grandezza: nel solo 1984 sono stati spesi 500 milioni di franchi nelle costruzioni sotterranee della protezione civile. Durante tutta la Guerra fredda sono dunque stati spesi miliardi per creare delle strutture che proteggessero la popolazione da un eventuale attacco atomico.
Solo i paesi scandinavi hanno un numero paragonabile di strutture contro l’attacco atomico, incubo della Guerra fredda.
Parametri di sopravvivenza
In Svizzera, un rifugio regolamentare deve avere una superficie minima di almeno otto metri quadrati. Questo spazio, realizzato spesso nelle cantine delle case unifamiliari, offrirebbe spazio per cinque o sei persone.
Ma ci sono anche i bunker collettivi: a Losanna, sotto i capannoni della fiera campionaria c’è una città sotterranea che offrirebbe alloggio a ben 3’000 persone. In tutto il paese esistono circa 3’500 strutture di questo tipo.
Oggi non si costruiscono più dei complessi così imponenti. Secondo Boschung, i rifugi antiatomici con una capacità fra i 50 e i 200 posti sono notevolmente più semplici da gestire.
Priorità mutate
Con il crollo del Muro di Berlino e la conseguente fine delle tensioni fra Occidente e Oriente comunista, anche la politica della difesa è stata profondamente rivista.
Oggi la protezione civile si occupa soprattutto dell’aiuto in caso di catastrofi, situazioni d’emergenza e dell’intervento in caso di attentati terroristici. I conflitti armati hanno un ruolo secondario nell’attività paramilitare.
Anche gli organici della protezione civile sono dunque stati progressivamente ridotti dal 1990. Da 520’000 militi del 1989, si è ormai scesi a 120’000. Inoltre oggi anche i pompieri, i corpi sanitari, la polizia e le squadre tecniche dei comuni fanno parte integrante dei piani di intervento.
swissinfo e agenzie
270’000 rifugi antiatomici offrono spazio al 95% della popolazione svizzera; un record internazionale
Nel 1989 la protezione civile contava un organico di 520’000 collaboratori; oggi sono solo 120’000
Lo scopo dell’Unione svizzera per la protezione civile (USPC) è far conoscere il lavoro degli operatori del settore e favorire la collaborazione fra le varie entità che compongono la galassia dei corpi d’intervento.
I 50 anni vengono ricordati sabato in una cerimonia al municipio di Berna, presenti fra gli altri il presidente dell’USPC Walter Donzé e il consigliere federale Samuel Schmid.
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