Accordi fiscali: e l’Italia?
Berna ha recentemente trovato un'intesa con Berlino e Londra per discutere di doppia imposizione. Le trattative con l'Italia sono tuttora bloccate, anzi non sono mai concretamente iniziate. Perché?
«Vorrei saperlo anch’io!», ci risponde Stefano Stefani, leghista, ricevendoci nel suo ufficio di presidente della Commissione esteri della Camera dei deputati.
Stefani si lamenta del silenzio del governo italiano: «Almeno ci informassero sui motivi dell’impasse, ne prenderemmo atto. Ancora questa mattina, con il mio collega della Commissione bilancio, ci dicevamo che un accordo va raggiunto visti i tradizionali rapporti fra l’Italia e la Confederazione. Stavolta i tedeschi sono stati molto più furbi di noi, e, per dirla tutta, la cosa mi fa incavolare».
Sorpresa
L’accelerazione che ha consentito la firma, mercoledì sera a Berna, della prima intesa tra Svizzera e Germania ha sorpreso gli esperti della materia. Lo sottolinea anche Mario Sensini, del Corriere della Sera, uno dei giornalisti finanziari più informato sugli umori e sulle mosse del super-ministro Giulio Tremonti, da tutti considerato decisivo in questa situazione di stallo.
«Certo, mi sembra difficile che Tremonti abbandoni facilmente quella che da un paio di anni considera la sua battaglia contro il segreto bancario», afferma Sensini. «Ma è anche vero che se la Svizzera riesce a firmare accordi bilaterali con importanti paesi europei, per l’Italia la situazione diventa più problematica».
Tremonti attendista
L’ultimo incontro italo-elvetico sulla fiscalità si è svolto lo scorso mese a Roma. Si è trattato di una discussione a livello di tecnici. Finora il ministro più potente del governo Berlusconi ha dimostrato di non essere interessato ad aprire in fretta il negoziato formale con Berna.
Tremonti è convinto dei vantaggi ottenuti con lo scudo fiscale; dei risultati che darà la nuova legislazione italiana di contrasto all’evasione fiscale anche per chi ha portato capitali all’estero (la cosiddetta «presunzione di colpevolezza» che determina l’inversione della prova); e, soprattutto, del fatto che a prevalere sarà alla fine la normativa europea: in sostanza, lo scambio automatico di informazioni, che rappresenterebbe l’ultimo colpo al segreto bancario.
«Il punto principale – sostiene Sensini – è che l’Italia non si fida. Tutta una nuova serie di strumenti finanziari, quali i «trust» che stanno crescendo come funghi nella Confederazione, non consentono di dare per scontato che con un nuovo accordo la Svizzera rispetterà con maggiore efficacia e correttezza l’applicazione dell’euroritenuta, la tassazione dei risparmi sui non residenti».
È quanto Tremonti denuncia da tempo, convinto che, anche sulla base dei capitali riemersi con lo scudo fiscale, vi sia una netta sproporzione fra quanto si presume ancora occultato nelle banche elvetiche e ciò che arriva nelle casse dello Stato italiano a Roma in base agli accordi vigenti. Una denuncia contenuta anche nella lettera che lo scorso maggio l’ufficio del ministro ha inviato a Berna. La lettera parla di «pratiche elusive» da parte elvetica per aggirare l’obbligo dell’euroritenuta da ristornare all’Italia.
Seguire l’esempio della Germania
«Non nego che il problema esista – ammette Franco Narducci, deputato eletto all’estero e residente in Svizzera. Narducci è il parlamentare italiano più impegnato nel tentativo di favorire la ripresa del dialogo fra i due paesi. «Quando il ministro delle finanze ha detto, davanti alla Commissione bilancio, che sulla piazza di Zurigo vi sono più società panamensi che a Panama non aveva tutti i torti. La Svizzera deve prenderne atto, e passare a una politica più trasparente e coerente. Ma è anche vero che l’Italia non può continuare con l’ostracismo di Tremonti nei confronti di Berna: non si deve sottovalutare il fatto che l’interscambio commerciale fra i due paesi ammonta a ben 34 miliardi di euro».
Per Narducci, «bisogna seguire l’esempio della Germania. Anche perché un nuovo accordo sulla doppia imposizione consentirebbe non solo il miglioramento dei rapporti bilaterali; garantirebbe nuove entrate fiscali, oggi indispensabili. L’Italia ha ormai un debito pubblico che sfiora il 120 per cento, e non riesce a finanziare i progetti per importanti infrastrutture».
L’Italia vuole discutere con l’Ue, non con la Svizzera
Comunque, secondo Mario Sensini nell’immediato è probabile che Tremonti voglia riportare a livello di Unione Europea la discussione sulla strategia elvetica degli accordi bilaterali che vanno a «impattare» le direttive dell’UE sullo scambio automatico di informazioni per i detentori di capitali al di fuori del territorio nazionale.
«È però evidente che questa strategia rischia di non pagare. Contrariamente all’OCSE, l’Europa comunitaria è stata molto prudente e contraddittoria nel contrasto ai paradisi fiscali. Del resto, basti pensare che il presidente dell’Eurogruppo è l’attuale premier del Lussemburgo, paese che mantiene il segreto bancario. Quindi la Svizzera ha buone carte da giocare», conclude l’analista del Corriere della Sera.
Dal canto suo, Stefano Stefani – presidente della Commissione esteri di Montecitorio – afferma: «Nonostante tutto, rimango ottimista sulla possibilità che la trattativa italo-svizzera si sblocchi. In definitiva, esiste ancora il segreto bancario in Svizzera?». Gli chiediamo se il leader della Lega Bossi non potrebbe attivarsi nei confronti di Tremonti, visti gli stretti rapporti fra i due. «E chi vi dice che non lo stia facendo? Io sono sicuro che sia così!»
Il 27 ottobre 2010, la Svizzera ha firmato con la Germania un documento che stabilisce l’avvio di trattative sull’imposta liberatoria.
Svizzera e Germania hanno deciso di avviare delle trattative bilaterali sull’estensione della cooperazione transfrontaliera in ambito fiscale dall’inizio del 2011.
L’obiettivo dei colloqui è di sottoporre i capitali depositati da clienti tedeschi nella Confederazione a un’imposta liberatoria, ossia a un’imposizione alla fonte. Il ricorso all’imposta liberatoria potrebbe permettere alla Svizzera di sfuggire allo scambio automatico di informazioni in materia fiscale.
Tale imposta – la cui aliquota dovrà essere stabilita nel corso delle trattative – sarà in seguito trasmessa alle autorità fiscali della Germania, senza svelare però il nome del titolare del conto.
Trattative simili sono state avviate il 25 ottobre con la Gran Bretagna.
Il terzo scudo fiscale voluto dal ministro delle finanze italiano Giulio Tremonti è stato attivo dalla metà di settembre 2009 fino alla fine di aprile del 2010 (la prima scadenza era il 15 dicembre 2009, ma c’è stata una proroga).
Stando ai dati pubblicati in giugno dal Ministero italiano dell’economia e delle finanze, lo scudo ha permesso di fare emergere 104,5 miliardi di euro e ha fruttato 5,6 miliardi alle casse dello stato.
La Svizzera è il paese da cui proviene la maggior parte dei capitali legalizzati. In febbraio – prima della fine dello scudo – la Banca d’Italia parlava di 60 miliardi di euro provenienti dalla Svizzera: 25 miliardi di rimpatri effettivi e 35 miliardi di rimpatri giuridici (i capitali sono stati legalizzati ma continuano ad essere gestiti dalle banche elvetiche).
In un’intervista rilasciata in giugno al Corriere del Ticino, il direttore dell’Associazione bancaria ticinese Franco Citterio afferma che dalla piazza finanziaria ticinese sono confluiti verso l’Italia 20 miliardi di euro (rimpatri effettivi).
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