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Accordo con gli USA: le lancette avanzano

L'ultimo atto di una vicenda lunga e complessa: il voto in parlamento sull'accordo Keystone

Giovedì è scaduto il termine per la verifica e la consegna dei dati relativi ai 4'450 clienti americani di UBS: mentre si concretizza il controverso accordo raggiunto a metà 2009, banche e mondo politico tentano di far tesoro degli errori.

Nel mese di agosto del 2009, la Svizzera – dopo una lunga trattativa – si è impegnata a comunicare i dati di 4’450 clienti statunitensi di UBS, sospettati in patria di reati fiscali. Le persone in questione hanno la possibilità di ricorrere contro la trasmissione dei dati alle autorità americane.

Giovedì, la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI) ha reso noto che l’Amministrazione federale delle contribuzioni ha esaminato i dati ed entro il termine previsto ha emanato le relative decisioni finali.

Iter giuridico

Non appena le decisioni dell’AFC sono cresciute in giudicato, i dati sono stati trasmessi agli USA: questo è avvenuto finora per circa la metà dei casi. Malgrado il ritardo dovuto alla sentenza contraria del Tribunale amministrativo federale (TAF), la trasmissione dei dati sarà ampiamente conclusa entro l’autunno 2010, sottolinea la SFI.

Tra le parti contraenti sono in corso colloqui sulla fase finale di attuazione dell’accordo: entrambe – afferma la SFI – «sono fiduciose che le autorità degli Stati Uniti riceveranno in tempo utile le informazioni convenute e che ritirino definitivamente l’azione civile contro UBS».

Attualmente, presso il TAF vi sono 57 ricorsi pendenti da parte di clienti della banca. Il portavoce Andrea Arcidiacono ha confermato che tra maggio e agosto al tribunale sono pervenuti 120 ricorsi.

Lungo percorso

Il miliardario russo-statunitense Igor Olenicoff era stato il primo cliente di UBS identificato – nel dicembre del 2007 – per aver sottratto denaro al fisco americano tramite conti UBS. L’uomo aveva dovuto pagare una multa d’importo superiore ai 50 milioni di dollari. Olenicoff ha poi a sua volta fatto causa alla banca elvetica. Gli inquirenti erano risaliti al ricco evasore grazie alla confessione di Bradley Birkenfeld, l’ex impiegato di UBS condannato in seguito a 40 mesi di reclusione.

Dopo la firma dell’accordo, i dirigenti della banca elvetica e i membri del governo svizzero avevano tirato un sospiro di sollievo. Troppo presto: nel gennaio scorso, il TAF aveva infatti dichiarato illegale la consegna dei dati UBS agli Stati Uniti. In base alla Convenzione contro la doppia imposizione conclusa da Berna e Washington, la Svizzera può fornire assistenza amministrativa alla controparte soltanto in caso di «truffe o delitti analoghi», vale a dire in presenza di un «comportamento fraudolento» nei confronti del fisco.

Il tribunale aveva poi ricordato che solo il parlamento, e non il governo, ha il diritto di decidere in merito alla concessione di assistenza amministrativa in caso di evasione fiscale. Nella sessione estiva, dopo aspre polemiche, le due Camere avevano infine ratificato l’accordo e deciso di non sottoporlo a referendum facoltativo.

Ricostruire l’immagine

La vicenda UBS ha avuto pesanti conseguenze per la banca stessa – salvata dall’intervento del governo elvetico – e per la piazza finanziaria elvetica, segnatamente a livello d’immagine.

L’istituto sta ora cercando di riguadagnarsi la fiducia mediante una campagna stampa in cui viene evidenziata l’intenzione di lasciarsi alle spalle il passato dando prova di maggior rigore.

Ciononostante, proprio le grandi banche – tra cui figurano anche gli istituti svizzeri UBS e Credit Suisse – non mancano di ribadire la loro opposizione a regolamentazioni più severe relative al capitale proprio e alla liquidità.

Anche il parere del mondo politico è unanime: lo Stato non dovrà più intervenire per soccorrere una grande banca che ha eseguito operazioni dubbiose. Proprio in quest’ottica è stato istituito un gruppo di lavoro – guidato da Peter Siegenthaler, ex direttore dell’Amministrazione federale delle finanze – incaricato di stilare un rapporto in merito alla questione degli istituti too big to fail (troppo grandi per fallire).

Oltre a voler evitare il ripetersi di casi analoghi a quello di UBS, Michael Ambühl – responsabile della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali – ha quindi evidenziato la necessità per la Svizzera di agire affinché non sia regolarmente criticata a livello internazionale e inserita in liste nere. In quest’ambito, La SFI si chinerà pure sul tema della tassazione dei bonus.

Jean-Michel Berthoud, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento)

La Svizzera è tenuta a trasmettere agli Stati Uniti i dati bancari di clienti americani come previsto dall’accordo concernente UBS avallato dal parlamento.

Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ha infatti respinto in luglio il ricorso di una cliente che voleva impedire il trasferimento di informazioni alle autorità fiscali statunitensi.

Dopo l’approvazione del parlamento l’intesa è diventata vincolante, afferma il TAF, precisando che tale “decisione pilota” non può essere impugnata davanti al Tribunale federale.

In base alla Costituzione federale, il diritto internazionale è infatti determinante per le autorità. Non occorre dunque verificare che sia compatibile con la Costituzione e le leggi federali poiché, se è più recente, prevale su queste ultime.

Secondo i giudici federali, l’accordo di assistenza amministrativa con gli USA prevale anche sulla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che garantisce la protezione dei dati personali.

Anche in caso contrario, costituirebbe comunque una base legale sufficiente.

Infine, è stato ribadito, gli interessi economici della Svizzera e gli obblighi del diritto internazionale hanno la priorità sull’interesse privato della cliente di UBS.

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