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America: analisi di una svolta

L'America ha scelto di cambiare seguendo Obama. Keystone

Il giornalista Roberto Antonini ha vissuto e lavorato a lungo negli Stati Uniti: swissinfo l'ha interpellato per capire meglio le ragioni del successo di Obama e le possibili conseguenze.

Profondo conoscitore del paese – vi ha studiato ed è stato durante otto anni corrispondente da Washington per la Radio svizzera di lingua italiana e francese –, Roberto Antonini commenta la storica elezione di un afroamericano alla Casa Bianca.

swissinfo: Come si spiega un successo tanto netto? Quale è stato il momento decisivo della campagna?

Roberto Antonini: La ragione fondamentale della vittoria di Obama è verosimilmente il crollo della finanza americana. Secondo un commentatore statunitense, Barack ha cominciato a essere sicuro di imporsi quando è fallita Lehman Brothers: credo sia una grande verità. Infatti, fino ad allora, il senatore democratico era pur sempre in vantaggio nei sondaggi, ma con un distacco contenuto.

Gli americani vogliono ritrovare sicurezza e speranza, mentre il candidato repubblicano era gravato dalla zavorra costituita dagli otto anni di amministrazione Bush. Inoltre, pur presentandosi al pubblico come un’indipendente, Mc Cain resta un esponente del partito repubblicano. A ciò si aggiunge la scelta scellerata di una vice-presidente come Sarah Palin, che non ha dato garanzie.

Alla fine, dunque, anche gli americani poco entusiasti – quelli che hanno votato turandosi il naso – hanno preferito il cambiamento allo statu quo, sconfessando il partito dell’attuale presidente.

swissinfo: Obama non si è presentato all’elettorato come un candidato afroamericano, bensì in veste di candidato statunitense a tutti gli effetti. Che peso ha avuto questa impostazione?

R.A.: È vero che Obama non ha voluto enfatizzare l’aspetto razziale, e questa è stata una carta vincente, ma resta il fatto che gli statunitensi lo vedono come un afroamericano.

Anche se il senatore dell’Illinois ha avuto l’accortezza e l’intelligenza di rivolgersi a tutto il paese, ma gli elettori di colore hanno chiaramente compreso che lui era dalla loro parte.

Evidentemente, siccome i neri rappresentano il 12% della popolazione, un discorso di rivendicazione razziale non potrebbe mai risultare vincente su scala nazionale. I bianchi sono disposti a votare un nero soltanto se quest’ultimo si fa portavoce anche dei loro interessi, specialmente quelli della classe media toccata dalla crisi.

Riassumendo, va ancora sottolineato che gli Stati Uniti sono in profonda crisi economica e d’identità: Barack Obama è l’unico candidato che ha rappresentato la speranza. E lo ha fatto – nonostante la giovane età – con una notevole maturità politica, all’altezza dei grandi presidenti della storia americana.

swissinfo: Obama ha potuto contare su una struttura d’appoggio e su un’organizzazione altamente professionali…

R.A.: Obama ha effettivamente raccolto il retaggio di Howard Dean [sconfitto da John Kerry alle primarie del 2003], che quattro anni fa ha lanciato la campagna elettorale su Internet.

Inoltre, Obama ha saputo organizzare in maniera eccellente il cosiddetto «grassroot movement», vale a dire la base, i giovani, assicurandosi il sostegno di milioni di volontari. Il candidato democratico ha potuto anche beneficiare di consiglieri assolutamente straordinari come David Axelrod, che hanno dialogato con lui e l’hanno aiutato a ideare la strategia.

Si deve comunque tenere presente che il vero protagonista resta comunque lui, non il suo staff. È Obama che ha dato le direttive e ha organizzato una campagna a tappeto, riuscendo a raccogliere una quantità enorme di finanziamenti. Il senatore democratico ha battuto i repubblicani sul loro terreno, cioé quello dei soldi: basti pensare che ha ottenuto più donazioni di quelle ricevute complessivamente da Bush e Kerry quattro anni or sono!

swissinfo: Obama ha riscosso un enorme successo anche fuori dai confini nazionali. Come cambierà la politica estera statunitense?

R.A.: A livello internazionale è indubbio che da parte americana ci sarà un’impostazione più multilaterale, maggiormente improntata al dialogo. Resta da vedere come ciò si tradurrà nella pratica…

In definitiva, gli Stati Uniti vogliono continuare a restare una superpotenza, senza però anteporre le armi alla diplomazia.

swissinfo: Vi saranno maggiori pressioni sui paradisi fiscali? Cosa cambierà per il segreto bancario svizzero?

R.A.: Repubblicani e democratici non hanno un punto di vista sostanzialmente diverso in merito al segreto bancario. Secondo la piazza finanziaria americana, infatti, la Svizzera agisce in modo scorretto.

Non è tanto il governo americano a intervenire, quanto piuttosto lo stesso mondo finanziario attraverso la giustizia statunitense. Basti pensare a quanto capitato recentemente a UBS con un’amministrazione repubblicana.

Pertanto, anche con un nuovo presidente e una nuova amministrazione, per la piazza finanziaria elvetica non ci dovrebbero essere cambiamenti né in meglio né in peggio.

swissinfo, Andrea Clementi

Le elezioni presidenziali di martedì sono state le 56esime nella storia degli Stati Uniti e Barack Obama è diventato il 44esimo presidente americano.

Il primo presidente della storia è stato George Washington (1789-1796), del Partito federalista. Dal 1854, quando fu eletto Franklin Pierce, il paesaggio politico statunitense è dominato da due grandi formazioni, il Partito repubblicano e quello democratico.

Barack Obama è il 15esimo rappresentante del Partito democratico eletto alla Casa Bianca. I presidenti repubblicani sono invece stati 19.

La conquista della Casa Bianca da parte di Barack Obama è stata accompagnata da successi anche alla Camera e al Senato. Per la prima volta dal 1992, infatti, i democratici controlleranno contemporaneamente Camera, Senato e Casa Bianca.

I cittadini erano chiamati a rinnovare un terzo del senato (35 seggi) e l’intera Camera (435 deputati).

Al Senato i democratici – che avevano 51 voti – hanno strappato almeno altri cinque seggi ai repubblicani, senza però raggiungere le nove vittorie necessarie per arrivare a «quota 60», la maggioranza che al Senato consente il suo controllo assoluto.

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