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Parlamentari elvetici reclamano più fermezza con Ankara

"Sono stato eletto democraticamente". Il corso preso dal governo turco di Recep Tayyip Erdogan visto dalla Svizzera, attraverso lo sguardo di Marina Lutz (11.11.16) swissinfo.ch

Il governo svizzero deve chiedere chiaramente alla Turchia il rispetto dello Stato di diritto: istanze in questo senso saranno presentate prossimamente in parlamento, dove c’è profonda apprensione e indignazione per la nuova ondata repressiva di Ankara. Il dialogo è la via privilegiata. Ma c’è anche chi propone misure di pressione.

Limitazione dei diritti di difesa degli accusati; sospensione mediante decreto di 11mila insegnanti; arresto dapprima del caporedattore e di dodici giornalisti del quotidiano Cumhuriyet, poi dei leader Selahattin Demirtas e Figen Yukseldag e di altri nove deputati del partito filo-curdo HDP; annuncio del governo dell’intenzione di reintrodurre la pena capitale. L’escalation dell’azione repressiva del governo di Recep Tayyip Erdogan è avvenuta proprio mentre una delegazione di sei senatori svizzeri stava compiendo una visitaCollegamento esterno di cinque giorni in Turchia e a Berna il ministro degli affari esteri Didier Burkhalter ricevevaCollegamento esterno l’omologo turco Mevlüt Cavusoglu.

“La situazione precipitava. Era inquietante”, ci racconta il senatore Hannes GermannCollegamento esterno, membro della delegazione che ha avuto incontri in Turchia dal 31 ottobre al 4 novembre.

Il turbamento dei sei membri della commissione di politica estera della Camera dei cantoni era peraltro visibile sui loro volti nel corso dell’incontro con i giornalisti al termine della visita.

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Pur non essendo stata per nulla rassicurata da quanto constatato sul posto, la delegazione è unanime: la Svizzera deve continuare sulla via del dialogo con la Turchia. Una posizione perfettamente in linea con Didier Burkhalter. “Puntiamo su un dialogo chiaro e diretto. Non è una garanzia di successo, ma penso che sia l’unica via giusta”, ha ribadito il ministro degli esteri, al settimanale SonntagsZeitung, dopo i colloqui del 3 novembre con Mevlüt Cavusoglu.

Colloqui durante i quali sono emerse divergenze di vedute in merito al rispetto dei principi della democrazia e dello Stato di diritto in Turchia. “C’è ancora molto da discutere”, ha precisato Burkhalter nella conferenza stampa con Cavusoglu. Un nuovo incontro tra i due ministri, il quarto in poco più di sei mesi, è d’altronde già previsto per la metà di dicembre. La data esatta non è ancora stata fissata, ci ha indicato il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Solidarietà alle vittime della violenza

In una risposta scritta a swissinfo.ch, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) precisa che utilizza il dialogo, “per manifestare la solidarietà della Svizzera a tutte le vittime della violenza in Turchia e per impegnarsi in favore della democrazia”. Puntualizza inoltre che nell’incontro del 3 novembre a Berna, il ministro Didier Burkhalter ha comunicato chiaramente all’omologo turco Mevlüt Cavusoglu che “lo stato d’emergenza, proclamato dopo il tentato golpe, non permette di abrogare i diritti fondamentali delle libertà”. Il DFAE rammenta anche che “la stabilità e la democrazia in Turchia e in tutta la regione sono nell’interesse della Svizzera”.

Chiari e persuasivi

Maggiore fermezza da parte elvetica è però sollecitata da alcuni deputati, che presenteranno formalmente delle richieste al governo, durante la prossima sessione parlamentare, in calendario dal 28 novembre.

“Prima di tutto il Consiglio federale deve dire chiaramente che gli arresti di parlamentari democraticamente eletti sono contrari alla nostra concezione di democrazia. In secondo luogo la Svizzera deve inviare in Turchia un gruppo indipendente per osservare i procedimenti affinché siano equi. Inoltre le persone che si sentono minacciate in Turchia devono poter presentare una domanda d’asilo all’ambasciata svizzera”, ci dice la deputata Sibel ArslanCollegamento esterno, che copresiede l’Intergruppo parlamentare Svizzera-Turchia ed è di origine curda, preannunciando interventi parlamentari in tal senso da parte dei Verdi.

“La Svizzera deve assumere un atteggiamento chiaro, perché questa situazione in Turchia non corrisponde più in alcun modo a uno Stato di diritto. La lotta al terrorismo è utilizzata come pretesto per delle incarcerazioni arbitrarie che colpiscono giudici, insegnanti, intellettuali e parlamentari”, le fa eco il deputato popolare democratico Karl VoglerCollegamento esterno. Intenzionato a intervenire per via parlamentare, dapprima vuole però discutere con il DFAE per assicurarsi che la sollecitazione di un ruolo più attivo da parte della Svizzera non pregiudichi il dialogo.

Come Karl Vogler, anche Sibel Arslan ritiene importante proseguire le discussioni con Ankara: “In Turchia vivono milioni di persone, molte delle quali non sostengono quello che fa attualmente il governo. Se interrompiamo il dialogo, se non cerchiamo una buona soluzione con il governo turco, perderanno tutto”, afferma la Verde basilese, che quando c’è stato il tentato golpe in luglio si trovava proprio da parenti in Turchia.

“Sono assolutamente convinto che si debba continuare a trattare e cercare di persuadere il governo turco che il suo modo di procedere è completamente sbagliato, inaccettabile e che quello che sta facendo danneggia massicciamente la Turchia stessa, anche economicamente. Per esempio fa crollare il settore turistico”, puntualizza Karl Vogler.

Esigere e prendere misure di pressione

“Quale dialogo? Da parte del governo turco non c’è nessuna volontà di dialogo”, insorge il deputato socialista Carlo SommarugaCollegamento esterno. “Finora il governo svizzero ha solo espresso preoccupazione. Deve invece esigere la liberazione di tutti gli eletti – nazionali e locali – dell’HDP e il ristabilimento nelle loro funzioni, il ritiro di tutte le denunce contro gli eletti del partito social-democratico CHP, il rispetto dei diritti umani e di tutti i diritti democratici, il rispetto della separazione dei poteri e il divieto della tortura. Questo come condizione per la continuità armonica delle relazioni fra i nostri paesi”.

Secondo Carlo Sommaruga, “la Svizzera non può restare inerme a guardare l’ascesa di un regime autoritario che viola i diritti umani”. Perciò il deputato socialista intende domandare per via parlamentare “la sospensione delle collaborazioni giudiziaria e di polizia della Svizzera con la Turchia, finché non c’è un ritorno al rispetto della democrazia. Polizia e giustizia turche non danno più garanzia di rispetto dello Stato di diritto”.

Puntare sul Consiglio d’Europa

Decisamente contrario ad interventi parlamentari è invece Hannes Germann, per il quale vale il principio della neutralità della Svizzera. Il senatore dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) preconizza la via del Consiglio d’Europa, per cercare di convincere Ankara ad invertire la rotta.

Egli stesso membro della delegazione svizzera all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, sottolinea che si tratta di “un’eccellente piattaforma per uno scambio riguardo al rispetto dello Stato di diritto, dei diritti dell’uomo, della libertà di stampa e di espressione”. A favore di questa strada parla il fatto che la Turchia finora ha accettato la collaborazione con questa istituzione.

Dunque, se la preoccupazione per il corso autoritario di Ankara fa l’unanimità, c’è al contrario da aspettarsi che le modalità per indurre il governo turco a ripristinare la democrazia e lo Stato di diritto daranno luogo a controversie nel parlamento svizzero.

Antichi legami

È sulle rive elvetiche del Lago Lemano che è stata sancita la nascita della Turchia moderna: nel 1923, con il Trattato di pace di Losanna. Poi, nel 1936, la Convenzione di Montreux del 1936, le ha conferito la piena sovranità sugli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo. La Turchia allora si ispirava fortemente alla Svizzera anche per il diritto: nel 1926 ha ripreso quasi integralmente il Codice civile e il Codice delle obbligazioni svizzeri.

(Fonte: DFAE)


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