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Berna reagisce pacatamente alle pressioni di Bruxelles

I regimi fiscali concessi da alcuni cantoni svizzeri a ditte straniere suscitano una bufera di critiche a Bruxelles Keystone

La decisione degli Stati dell'Ue di voler aprire trattative con Berna sulla vertenza fiscale ha suscitato per ora poche reazioni in Svizzera. La maggior parte dei partiti vi si oppone.

Martedì sera, i diplomatici del gruppo Aels hanno deciso di affidare un mandato negoziale alla Commissione europea. L’approvazione del Consiglio dei ministri Ue appare scontata.

La decisione del comitato di esperti dell’Unione europea (Ue) in favore di una domanda di negoziati con la Svizzera sulla controversia riguardante i privilegi fiscali concessi da alcuni cantoni a imprese straniere non preoccupa i partiti borghesi.

Essi rimangono dell’opinione che il governo elvetico non debba entrare in materia. Il Partito socialista (PS) auspica al contrario l’avvio di un dialogo.

«La sovranità dei cantoni in materia fiscale non è negoziabile», ha indicato Roman Jäggi, portavoce dell’Unione democratica di centro (UDC).

Secondo il partito della destra nazional-conservatrice, il governo svizzero dovrebbe rispedire al mittente la richiesta di negoziati, «lo stesso giorno che perverrà a Berna». È comunque importante che la Svizzera si prepari già sin d’ora alle eventuali misure che potrebbe adottare l’Ue.

Socialisti aperti al dialogo

Nemmeno il Partito popolare democratico (centro) non vede alcun motivo per aprire le trattative. «La Svizzera non dovrebbe lasciarsi intimidire dall’Ue», ha dichiarato la sua portavoce, Marianne Binder, ricordando che esistono visioni diverse anche all’interno della stessa Ue. «Non c’è nessuna ragione di prostrarsi», ha aggiunto.

Il Partito liberale radicale (centro-destra) aveva dal canto suo già affermato tempo fa che non avrebbe tollerato l’intromissione di Bruxelles nel dibattito fiscale elvetico.

Soltanto i socialisti si sono pronunciati in favore di un dialogo. Per il segretario generale, Thomas Christen, non è nell’interesse della Svizzera rifiutare di discutere della questione. Non bisogna compromettere le buone relazioni con l’Ue.

Il PS stima ad ogni modo che ci si potrà pronunciare sulla fondatezza delle richieste dell’Ue solamente quando queste saranno state chiaramente formulate.

Sì a chiarimenti, no a negoziati

A Berna, l’Ufficio dell’integrazione, incaricato di rappresentare gli interessi elvetici verso l’Unione Europea, non ha voluto commentare il «passo decisionale interno all’Ue». Il governo svizzero, ha fatto notare, ha già espresso la sua posizione: sì a discussioni chiarificatrici, no a negoziati.

Secondo informazioni ottenute da partecipanti alla seduta dei diplomatici del gruppo per i rapporti con l’Aels (Associazione europea di libero scambio, della quale fa parte appunto la Svizzera, assieme a Norvegia, Liechtenstein e Islanda) di martedì, ci sono state alcune astensioni. Tuttavia la maggioranza qualificata è stata ampiamente raggiunta e il testo che era stato preparato è stato votato senza grandi modifiche.

La palla passa ora agli ambasciatori Ue. Fra un paio di settimane, il Consiglio dei ministri Ue approverà verosimilmente il mandato senza discussione. La richiesta formale di avviare trattative dovrebbe dunque giungere a Berna ancora in maggio.

L’esecutivo Ue aveva chiesto agli Stati membri un mandato negoziale «allo scopo di trovare una soluzione reciprocamente accettabile» e si era riservato il diritto di adottare «misure di protezione», che per la Svizzera potrebbero significare sanzioni economiche.

swissinfo e agenzie

La Svizzera è convinta che l’accordo bilaterale di libero scambio concluso nel 1972 con l’Ue non si applichi alle agevolazioni fiscali accordate a certe società da alcuni cantoni. Esso si applica soltanto al commercio di alcuni beni (prodotti industriali e prodotti agricoli trasformati).

Berna sostiene che al momento della firma dell’accordo la Svizzera e la Comunità europea non prevedevano di armonizzare le loro legislazioni. Inoltre, le regole di questo accordo non devono essere interpretate alla stessa stregua della regolamentazione interna dell’Ue in ambito di concorrenza, molto più dettagliata.

Secondo la Commissione europea, alcuni regimi fiscali in vigore in certi cantoni elvetici in favore delle imprese costituiscono una forma di aiuto statale incompatibile con il buon funzionamento dell’accordo del 1972.

I privilegi fiscali in questione sono accordati a società che hanno sede in Svizzera, ma che realizzano i propri profitti all’estero.

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