Calmy-Rey a Tunisi parla di soldi e migrazione
Lunedì a Tunisi – in occasione della conferenza degli ambasciatori elvetici nella regione – la ministra svizzera degli affari esteri Micheline Calmy-Rey si è espressa in merito alla situazione migratoria e ai fondi dell'ex dittatore Ben Ali.
«A suo parere, quanto tempo sarà necessario prima che lo Stato tunisino possa riavere i soldi del clan Ben Ali?», ha chiesto una giornalista tunisina alla ministra svizzera, durante la conferenza stampa all’Hotel Mövenpick della capitale.
Micheline Calmy-Rey non ha potuto fornire una risposta precisa, sottolineando che la tempistica dipende dallo svolgimento della procedura. La ministra ha precisato che la Confederazione si atterrà alle disposizioni previste dal proprio ordinamento giuridico.
Il denaro del tiranno
I fondi depositati nelle banche svizzere riconducibili al clan di Ben Ali ammonterebbero a circa 60 milioni di franchi. A questo proposito, Calmy-Rey ha fatto presente che lo Stato tunisino deve fornire rapidamente il suo contributo per appurare se il denaro è di origine criminale: per farlo occorre la decisione di un giudice.
Inoltre, ha evidenziato la ministra degli esteri, «le cose non sono facili come sembrano. Non vi sono dei semplici conti intestati a Ben Ali o alla moglie, bensì delle strutture finanziarie complesse». Finora, nei casi più rapidi la restituzione dei fondi è avvenuta dopo circa 4 anni.
I 60 milioni di franchi individuati nella Confederazione costituiscono un importo minore a quanto alcuni si aspettavano, ha commentato Micheline Calmy-Rey. La cifra appare relativamente modesta soprattutto se paragonata a quelle del clan Gheddafi (circa 360 milioni di franchi) e del clan Mubarak (circa 400 milioni di franchi).
Secondo la ministra, le spiegazioni sono due: «In primo luogo la Confederazione ha adottato una legislazione molto severa in fatto di riciclaggio; secondariamente, la Svizzera non era in buone relazioni con il clan di Ben Ali». Calmy-Rey ha quindi ricordato l’appello per la libertà d’espressione formulato nel 2005 proprio a Tunisi dall’ex presidente della Confederazione Samuel Schmid, un’iniziativa che aveva fatto infuriare il governo locale.
Aiuto in loco
Durante la conferenza stampa è stata affrontata anche la posizione della Svizzera nei confronti delle persone in fuga dall’Africa settentrionale: «Non si tratta di rifugiati nel vero senso del termine. Si tratta di persone che cercano lavoro nella Confederazione», ha puntualizzato la consigliera federale.
Calmy-Rey ha poi ricordato che «la Svizzera rispetta gli accordi di Schengen e ha prestato aiuto umanitario a chi si trova già in Europa, garantendo contributi finanziari alle organizzazioni internazionali». Ciononostante, ha ribadito, «la nostra strategia è quella di aiutare direttamente nei paesi d’origine».
La Confederazione intende pertanto creare, in collaborazione con il governo tunisino, un apposito ufficio a Tunisi. La Svizzera sostiene in particolare – in Tunisia come in Egitto – il passaggio a un sistema democratico, mettendo a disposizione i propri esperti.
Economia e turismo
In quest’ottica di sviluppo le priorità sono l’istituzione di strutture democratiche, la lotta alla corruzione e il rafforzamento dell’economia tunisina, senza dimenticare che «le aziende svizzere impiegano circa 14’000 persone nel paese».
Calmy-Rey ha aggiunto che nella seconda metà del 2011 il ministro svizzero dell’economia, Johann Schneider-Ammann, si recherà in Tunisia per valutare la situazione anche da questo punto di vista.
Dal canto suo, il ministro degli interni tunisino ha auspicato che i turisti rossocrociati ricomincino a recarsi nel suo paese: prima della rivoluzione, erano circa 100’000 ogni anno.
Dialogo e democrazia
Alla conferenza di Tunisi Micheline Calmy-Rey non ha potuto fornire indicazioni concrete in merito alle strategie globali di sostegno alla transizione democratica in Africa settentrionale: «Abbiamo mezzi limitati, di conseguenza in questa sede ci concentriamo sugli aspetti prioritari». Secondo la ministra, l’evoluzione nella regione dovrà comunque essere valutata dopo le elezioni.
Calmy-Rey ha concluso sottolineando che gli estremisti islamici costituiscono effettivamente una minaccia per l’Europa, ma «non sono loro a essere scesi in piazza chiedendo l’introduzione della sharia, bensì le persone che volevano il dialogo e la democrazia».
La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey ha definito «una
buona notizia» il fatto che al Qaida sia stata «decapitata».
Secondo la ministra degli esteri, «Osama Bin Laden e la sua organizzazione sono gli attori di un terrorismo cieco e brutale che ha fatto migliaia di morti».
«La Svizzera condanna con forza il terrorismo e si rallegra delle azioni concrete miranti a porre fine alle strutture e alle azioni del terrorismo internazionale, dall’Asia al Maghreb passando per il Medio Oriente», si legge in una nota stampa diffusa lunedì.
La Legge federale sulla restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte (LRAI) è entrata in vigore il 1° febbraio 2011.
Il disegno di legge è scaturito dalle difficoltà incontrate dalle autorità svizzere nella restituzione di fondi bloccati in Svizzera dopo l’esito negativo delle procedure penali nazionali, come nei casi di Mobutu e Duvalier.
La LRAI costituisce un’alternativa al procedimento penale, in quanto rende possibile la confisca degli averi di provenienza manifestamente illecita anche in assenza di una condanna della persona politicamente esposta (PPE).
Se – al termine della procedura – la PPE non è in grado di provare l’origine lecita degli averi, questi sono confiscati e restituiti in modo trasparente allo Stato di provenienza, a beneficio della popolazione mediante il finanziamento di programmi d’interesse pubblico.
La Confederazione, da quindici anni a questa parte, ha restituito approssimativamente
1,7 miliardi di franchi
(per esempio: fondi Montesinos, Abacha, Marcos, …). Nessun’altra piazza finanziaria – di grandezza paragonabile – ha restituito altrettanto denaro.
traduzione e adattamento: Andrea Clementi
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