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«Chiudete Guantanamo!»

Sette anni fa gli Stati uniti hanno aperto il centro di detenzione di Guantanamo Keystone

A sette anni dall'apertura del carcere di Guantanamo, l'organizzazione Amnesty International (AI) ha ribadito durante il fine settimana con azioni di protesta in tutto il mondo la richiesta agli Stati uniti di chiudere immediatamente e definitivamente il campo di detenzione.

In Svizzera, la sezione locale di AI chiede anche che la Confederazione conceda l’asilo a tre detenuti innocenti. «Speriamo che Barack Obama fissi una data per la chiusura del campo e che garantisca che gli USA non apriranno campi simili in Iraq o in altri paesi», segnala a swissinfo Manon Schick, portavoce di AI Svizzera.

A sette anni dall’apertura del campo di detenzione per sospetti di terrorismo nella base navale statunitense sull’isola di Cuba, anniversario che ricorre domenica, AI mette in rilievo l’urgenza di trovare una soluzione per le persona ancora detenute a Guantanamo.

«La creazione nel 2002 di questo campo di detenzione è stato un segnale della volontà degli Stati uniti di non rispettare lo stato di diritto e i diritti umani, la sua chiusura manderebbe un segnale di carattere inverso», afferma Manon Schick, riferendosi alle promesse del nuovo inquilino della Casa Bianca.

AI chiede a Barack Obama anche di proibire ogni forma di tortura e di trattamento infamante e di istituire una commissione di indagine sulle violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati uniti nell’ambito della «guerra contro il terrorismo».

Nessun posto dove andare

Delle 800 persone detenute nel campo nel corso degli scorsi sette anni, 250 si trovano ancora a Guantanamo, in maggioranza provenienti dallo Yemen (un centinaio di persone), gli altri da una trentina di paesi, tra cui Algeria, Cina, Libia e Somalia.

50 di loro sono stati dichiarati «liberabili». Vale a dire che, pur senza un processo conforme al diritto internazionale, la loro innocenza è stata comprovata da un’investigazione compiuta dalle autorità statunitensi. Se non lasciano Guantanamo, è perché non hanno nessun posto dove andare.

In effetti, tutti i prigionieri oriundi di paesi europei o dell’Australia sono stati liberati sul pressione dei rispettivi governi. Molte delle persone ancora in stato di reclusione non possono invece essere rimpatriate, perché rischiano di subire rappresaglie per il solo fatto di essere stati sospettati, nonostante la loro estraneità provata ad ogni organizzazione di tipo terroristico.

È stato il caso di due cittadini libici, posti in detenzione e torturati dopo il loro ritorno in patria.

Appello alla Svizzera

Per questo Amnesty International rivolge un appello alla comunità internazionale, e in particolare ai paesi europei, perché accolgano persone che da due o tre anni sono formalmente liberi, ma non possono lasciare Guantanamo.

La sezione svizzera di AI ha chiesto alle autorità federali di accogliere tre ex detenuti di Guantanamo, un cittadino cinese, uno algerino e uno libico. L’Ufficio federale delle migrazioni ha già respinto la richiesta, ma un ricorso della ONG è pendente presso il Tribunale federale amministrativo.

«La decisione deve essere politica e non amministrativa», avverto però Manon Schick. «Al governo svizzero diciamo ora quanto segue: Siete d’accordo sul fatto che Guantanamo va chiuso? Volete sostenere Obama in questo compito? Allora dovreste accogliere due o tre detenuti».

Le astuzie di Bush

Manon Schick menziona anche le difficoltà di un eventuale trasferimento dei detenuti «liberabili» negli Stati Uniti. Da una parte è comprensibile che persone detenute illegalmente e sottoposte a maltrattamenti per decisione delle autorità degli US non vogliano stabilirsi in questo paese.

D’altra parte gli USA non vogliono accoglierle, per timore di dover rispondere a richieste di risarcimento che potrebbero dimostrarsi onerose. Il governo Bush continua così a sottrarsi agli obblighi che derivano dal diritto internazionale e dalle stesse leggi statunitensi.

Le autorità di Washington «hanno scelto questo frammento di terra cubana, perché permetteva di negare ai detenuti i diritti delle persone incarcerate sul suolo statunitense. È stata una scelta consapevole di Bush, perché il diritto statunitense non si applica fuori dal territorio statunitense».

Il «campo della vergogna»

Amnesty International ha definito Guantanamo «il campo della vergogna». Nella base, posta su una fetta di territorio sottratta a Cuba, gli Stati Uniti hanno sottoposto quasi un migliaio di persone a ogni sorta di umiliazione e maltrattamento.

La «guerra al terrorismo» lanciata dall’amministrazione Bush dopo l’attentato alle torri gemelle di New York ha creato un clima di caccia alle streghe in cui a Guantanamo finirono anche «contadini pachistani venduti dai vicini per i 5000 dollari offerti dagli USA». Senza altra colpa che quella di servire da capri espiatori.

Nei primi anni di esistenza del campo, i detenuti non potevano neppure ricevere visite. Solo con il trascorrere del tempo e la crescente pressione internazionale venne permesso l’accesso al campo a organizzazioni internazionali.

Per lo meno, «Guantanamo non è una prigione segreta, come quelle aperte dagli Stati Uniti in Iraq e in altri paese. È almeno possibile sapere che vi è detenuto e a che condizioni», conclude Manon Schick.

swissinfo, Marcela Águila Rubín
(traduzione dallo spagnolo e adattamento: Andrea Tognina)

Secondo la ministra della giustizia Eveline Widmer-Schlumpf sono stati gli USA a creare Guantanamo e tocca dunque loro risolvere il problema. Per la ministra della giustizia, intervistata al quotidiano romando Le Temps, «la Svizzera non deve decidere da sola di accogliere ex detenuti di Guantanamo, ma se una soluzione europea si delinea, non escludiamo di parteciparvi».

L’Ufficio federale della migrazione (UFM) aveva respinto in novembre le richieste d’asilo formulate da un libico, un cinese e un algerino che Washington vuole rilasciare, non avendo potuto formulare accuse contro di loro. Queste richieste «non rispondono ai criteri della nostra legge sull’asilo», afferma Eveline Widmer- Schlumpf. AI sostiene un ricorso al Tribunale federale contro la decisione di Berna.

A Guantanamo, intanto, la situazione è tesa in questi giorni per uno sciopero della fame che coinvolge oltre il 10% dei 250 detenuti presenti. La protesta in occasione dell’anniversario è legata, secondo gli avvocati dei detenuti, alla disperazione per l’assenza di prospettive sul futuro.

Sette anni dopo, la prigione è assai diversa da quella che trovarono i primi 20 che arrivarono dall’Afghanistan nel 2002. All’epoca furono ospitati a Camp X-Ray, la prigione rudimentale fatta di gabbie e capanne di legno per gli interrogatori che è rimasta aperta solo tre mesi ed è ora abbandonata tra le erbacce (anche se i media internazionali continuano a proporre immagini di Guantanamo con i detenuti in tuta arancione inginocchiati, che risalgono solo a quei tre mesi).

Da allora sono sorte strutture più moderne in cemento che assomigliano – soprattutto nel caso delle ultime due ad essere inaugurate, Camp 5 e 6 – a un qualsiasi carcere federale di massima sicurezza americano. Le tute color arancione vengono usate solo per i detenuti che sono in punizione, mentre la divisa ordinaria è completamente bianca.

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