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Come un Parlamento è diventato più maschile nel corso della legislatura

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Nel 2021, in occasione del 50esimo anniversario del voto sul suffragio femminile, la sala del Consiglio nazionale ha accolto una sessione delle donne. KEYSTONE/Peter Klaunzer

Dopo una vittoria storica nelle elezioni municipali della città di Berna, molte donne elette hanno voltato le spalle alla politica. Un esempio che evidenzia i numerosi ostacoli che incontra l'impegno istituzionale: dal difficile equilibrio tra vita privata e professionale ai discorsi d'odio sui social media.

“Amavo fare politica a livello locale, ma a un certo punto ho dovuto gettare la spugna perché non riuscivo più a conciliare attività professionale, vita privata e impegno politico”, racconta Vivianne Esseiva. “Sono una mamma separata con una bambina di quattro anni e lavoro per un banca locale con un impiego all’80%”.
 
La quarantaduenne ha rassegnato le dimissioni nel dicembre 2023, dopo aver fatto politica per oltre sei anni nella città di Berna. Non era quindi una parlamentare alle prime armi, inconsapevole di cosa comportasse assumere una carica nel legislativo. “Fare politica nel sistema di milizia elvetico comporta sempre delle rinunce”, sintetizza Esseiva.

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“Amavo fare politica a livello locale, ma a un certo punto ho dovuto gettare la spugna perché non riuscivo più a conciliare attività professionale, vita privata e impegno politico”, racconta Vivianne Esseiva. Vivianne Esseiva

Per l’esponente del Partito liberale radicale, a un certo punto, il santo non valeva più la candela. E come lei, nell’ultimo quadriennio, altre 26 donne hanno abbandonato il Legislativo della città. E così, la legislatura iniziata con una rappresentanza femminile del 69%, dopo un’elezione storica, si conclude quattro anni dopo con un tasso di parlamentari donne del 57,5%. Rimane comunque una delle percentuali più elevate al mondo.
 
La mappa “Donne in politica: 2023Collegamento esterno” pubblicata dall’Unione interparlamentare (UIP) e da UN Women mostra che le donne sono sottorappresentate a tutti i livelli decisionali e che la parità di genere in politica è ben lontana dall’essere raggiunta. Il 1° gennaio 2023, le donne occupavano mediamente solo il 26,5% dei seggi dei legislativi a livello mondiale. La classifica è capeggiata da anni dal Ruanda con un tasso del 61,3%, mentre in Germania è del 35,1%, in Italia del 32,3% e in Svizzera del 38,5% (Consiglio nazionale), dopo le elezioni federali di ottobre.

Alle elezioni federali svizzere dell’autunno 2023, sono state elette 77 donne nel Consiglio nazionale, sette in meno rispetto al 2019. La quota femminile è scesa al 38,5%. Si tratta del secondo miglior risultato dall’introduzione del suffragio femminile nel 1971. Per quanto riguarda il Consiglio degli Stati, si è registrato un balzo avanti: sono state elette quattro donne in più (16 in totale) rispetto al 2019, portando la rappresentanza femminile al 34,8%, la quota più alta nella storia della Camera dei Cantoni.

Come nel 2019, la maggior parte delle consigliere nazionali siede tra le fila del PS e dei Verdi. Il Partito verde liberale ha registrato il più alto tasso di donne elette, raggiungendo il 70%. Al contrario, la rappresentanza femminile nell’Unione democratica di centro (UDC) è scesa sotto la soglia del 20%.

Dal 2019, il Consiglio federale è composto da quattro uomini e tre donne. La prima rappresentante femminile in governo è stata Elisabeth Kopp (PLR) nel 1984. Dopo una pausa di quattro anni, dal 1994 le donne hanno sempre occupato almeno un seggio nell’esecutivo federale. Tra il 2010 e il 2011, il governo ha contato una maggioranza femminile con quattro Consigliere federali.

Fonte: Le donne alle elezioni federali del 2023, Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Esclusione di alcune fasce della popolazione

Conciliare lavoro, politica e vita privata è un difficile esercizio di equilibrismo che interessa anche gli uomini. Infatti, nel legislativo della città di Berna, 27 donne e 19 uomini, oltre la metà delle e degli ottanta parlamentari, hanno rinunciato al loro mandato negli ultimi quattro anni.

“Questa percentuale non mi sorprende”, afferma Sarah Bütikofer, professoressa presso l’Istituto di scienze politiche dell’Università di Zurigo. “Un ricambio del 50% nei parlamenti cantonali e comunali è del tutto normale”. La politologa e collaboratrice dell’Istituto di ricerca demoscopica Sotomo spiega che spesso le candidate e i candidati tendono a sottovalutare l’impegno richiesto da una carica pubblica e, di fronte alla scelta tra carriera politica e carriera professionale, optano spesso per quest’ultima perché più pianificabile e meglio retribuita.

La questione economica viene evidenziata anche da Valentina Achermann, presidente del Consiglio comunale di Berna: “È un problema che deve essere affrontato per ragioni di politica democratica. La scarsa remunerazione comporta infatti l’esclusione di alcune fasce della popolazione, che non possono permettersi di ridurre la propria percentuale lavorativa per assumere un mandato politico”.

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Quello del costante ricambio è un problema con cui il parlamento della città di Berna è confrontato da anni. Per questo motivo, quest’anno la segreteria dello Stadtrat ha deciso di svolgere un sondaggioCollegamento esterno per indagare le ragioni di queste numerose defezioni. “Circa l’80% dei membri del parlamento giudica impegnativa la carica politica in combinazione con l’attività professionale, gli studi e gli impegni privati”, dice Achermann, giovane esponente del Partito socialista.

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“La scarsa remunerazione comporta infatti l’esclusione di alcune fasce della popolazione, che non possono permettersi di ridurre la propria percentuale lavorativa per assumere un mandato politico”, osserva la presidente del Consiglio comunale di Berna Valentina Achermann. Valentina Achermann

“Dall’inchiesta sono emerse alcune proposte per migliorare la situazione, tra cui la riduzione del numero di sedute, l’aumento dell’onorario o la possibilità di nominare una o un supplente per le assenze prolungate”.

La difficoltà di sradicare abitudini consolidate

Come si sa, i tempi della politica sono lenti; troppo lenti per Vivianne Esseiva. “Con una maggioranza femminile così netta, mi aspettavo progressi più rapidi. Ma è difficile sradicare abitudini consolidate”, afferma. L’ex parlamentare si riferisce, ad esempio, alla consuetudine di fissare le sedute del parlamento nel tardo pomeriggio, mettendo in difficoltà chi deve occuparsi delle figlie o dei figli.

Per accelerare i tempi, la politologa Sarah Bütikofer auspica maggiore attivismo da parte delle Camere federali che dovrebbero fungere da apripista nelle questioni legate alla parità di genere. Lo studio Can(‘t) have it all? Parents in the Swiss ParlamentCollegamento esterno, pubblicato di recente e di cui Bütikofer è coautrice, evidenzia che ci sono differenze di genere nella carriera parlamentare.

Ad esempio, le madri con figli minorenni sono meno propense dei padri parlamentari a diventare presidenti o vicepresidenti di una commissione. “Attualmente si registrano passi avanti, seppure timidi, anche grazie alla presenza di giovani madri impegnate in politica che si battono per migliorare la conciliabilità tra lavoro, vita privata e mandato politico”, osserva Bütikofer.

Un’asimmetria di genere che non si riscontra solo in Svizzera. “In Italia non si fa nulla dal punto di vista della conciliazione tra vita personale, familiare e politica “, afferma Barbara Poggio, professoressa ordinaria del Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università di Trento.

“Non a caso, nell’Unione europea, siamo il fanalino di coda con il peggiore tasso di occupazione delle donneCollegamento esterno. Un dato che ha conseguenze anche in ambito politico poiché chi non lavora ha meno visibilità e quindi anche meno possibilità di essere eletta, essendo meno conosciuta”. Nel Global Gender Gap 2024 del World Economic ForumCollegamento esterno (WEF), l’Italia si colloca all’87° posto, su 146 Paesi. L’indice misura le disparità di genere nel campo dell’economia, dell’istruzione, della salute e della politica.

E in questo settore, in Italia si è registrato un modesto progresso grazie all’introduzione di quote nelle liste elettorali che nelle precedenti elezioni (ma non nell’ultima) aveva favorito un aumento del numero di donne in parlamento.

Alcuni Paesi hanno adottato quote di genere nelle liste elettorali che hanno contribuito ad aumentare la rappresentanza femminile. Ad esempio, la SpagnaCollegamento esterno ha introdotto una quota del 40% nel 2007, portando la presenza di donne in parlamento al 41%. Anche l’ItaliaCollegamento esterno ha registrato una delle crescite più rapide in Europa grazie alle quote, passando dal 9,9% nel 2004 al 35,8% nel 2019.

Nelle liste delle elezioni federali dell’ottobre 2023, le donne erano in maggioranza nelle formazioni di sinistra come PS e Verdi (53,5% ciascuno). Anche nelle liste del Partito evangelico svizzero, le donne erano in maggioranza con il 51,9%. Nelle liste dei partiti più a destra, la presenza femminile è stata significativamente inferiore, con il 35,9% per il PLR e il 22,6% per l’UDC.

In Svizzera, due iniziative parlamentariCollegamento esterno chiedevano una rappresentanza dei sessi più equilibrata nelle liste elettorali, da una parte modificando la legge federale sui diritti politici, dall’altra introducendo un sistema di incentivazione per equilibrare meglio le liste delle elezioni del Consiglio nazionale. Entrambe le iniziative sono state respinte dalla Camera del popolo nel settembre 2020.

Vittime dei discorsi d’odio

Chi si augurava un significativo balzo avanti per la parità di genere con l’elezione di Giorgia Meloni, prima donna nella storia della Repubblica italiana a guidare il Consiglio dei ministri, è rimasto probabilmente deluso. “Farsi chiamare il presidente è un brutto segnale: suggerisce che per essere autorevoli bisogna usare il maschile. Inoltre, Meloni si è circondata quasi esclusivamente di uomini”, osserva Poggio.

Nel governo attuale, solo 6 dei 21 ministri sono donne, inclusa la presidente del Consiglio, ovvero il 28%. Si tratta di un passo indietro rispetto ai precedenti governi. La prorettrice alle politiche di equità e diversità dell’Università di Trento aggiunge che, sebbene i movimenti progressisti siano tradizionalmente più sensibili al tema della parità di genere, si registra oggi un crescente successo delle politiche di destra.

“Le leader di destra sono di solito portatrici di un modello più rassicurante per l’elettorato maschile perché si richiamano a modelli tradizionali”, continua Poggio, sottolineando come Meloni abbia proposto una narrazione che enfatizzava il suo essere donna e madre.

Elisabeth Kopp, del Partito liberale radicale, è stata la prima donna in Svizzera a entrare in Consiglio federale nel 1984, 13 anni dopo l’introduzione del suffragio femminile.

Margaret Thatcher, leader del Partito conservatore britannico, è stata la prima donna Primo ministro nel Regno Unito, carica ricoperta dal 1979 al 1990. È stata una delle figure più influenti nel XX secolo e ricordata per le sue politiche economiche neoliberiste.

Isabel Perón è subentrata nel 1974 al marito Juan Perón ed è stata la prima donna presidente dell’Argentina, spodestata dal colpo di Stato del 1976.

Ellen Eugenia Johnson Sirleaf è stata la presidente della Liberia dal 2006 al 2018 ed è stata la prima donna eletta come capo di Stato in Africa.

La professoressa dell’Università di Trento indica che le donne sono spesso bersaglio dei discorsi d’odio sui social mediaCollegamento esterno, ciò che ha un effetto dissuasivo o che le porta ad abbandonare la politica. [DM1] “Le donne che fanno sentire la propria voce diventano spesso vittime dei cosiddetti shitstorm“, spiega Poggio, sottolineando la necessità di promuovere l’autostima per incoraggiare le ragazze e le donne a partecipare attivamente alla vita pubblica e sentirsi libere di esprimersi; una base fondamentale per l’impegno politico.
 
Anche Vivianne Esseiva, nonostante le sia rimasto l’amaro in bocca, sottolinea l’importanza della partecipazione politica, invitando le giovani donne a scendere nell’arena politica. “Serve perseveranza e tempo, ma solo così abbiamo la possibilità di promuovere la parità di genere e una migliore conciliabilità tra lavoro, politica e vita privata”.

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