Congelati i fondi in Svizzera di Ben Ali
Il governo svizzero blocca con effetto immediato gli eventuali conti dell’ex presidente tunisino Ben Ali e quelli del contestato presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbabgo. L’esperto Mark Pieth non crede tuttavia che la Svizzera custodisca notevoli somme.
La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey ha spiegato durante la conferenza stampa tenuta mercoledì a Berna che il congelamento dei beni avrà validità per i prossimi tre anni.
Tunisia e Costa d’Avorio avranno così la possibilità di presentare una domanda di assistenza giuridica. Soltanto dopo questa richiesta, la Svizzera potrà garantire sostegno legale e restituire i fondi che potrebbero essere stati sottratti agli Stati interessati.
La presidente ha sottolineato che la Svizzera intende «evitare che il sistema finanziario elvetico venga utilizzato per sottrarre fondi ai Paesi poveri». Calmy-Rey ha inoltre indicato che le persone interessate dell’entourage di Ben Ali sono circa una quarantina.
Non ci sarebbero indizi – ha continuato – secondo cui negli scorsi giorni siano stati trasferiti averi su conti bancari in Svizzera. Secondo la ministra degli esteri, vista la situazione di crisi venutasi a creare, gli intermediari finanziari, sottoposti al dovere di diligenza (secondo cui la banca è tenuta a verificare l’identità del cliente mediante un documento di riconoscimento ufficiale), hanno sicuramente innalzato il livello di sorveglianza.
swissinfo.ch ha fatto il punto della situazione con Mark Pieth, esperto in questioni di diritto penale e di lotta alla corruzione.
swissinfo.ch: Come giudica la decisione del Consiglio federale di oggi?
Mark Pieth: È stata una decisione molto ragionevole. Il Consiglio federale non poteva che bloccare i conti. Si può tuttavia partire dal presupposto che non ci siano dei fondi in Svizzera o che questi siano stati bloccati internamente.
Non c’è però la garanzia che questo sia avvenuto ovunque. La decisione del governo fa in modo che tutta la piazza finanziaria agisca in maniera unitaria.
swissinfo.ch: La rivoluzione dei gelsomini in Tunisia è iniziata da tempo. Perché il governo elvetico non ha reagito prima?
M.P.: Bisogna ricordare che finora questo regime era considerato tollerabile. Godeva del sostegno della Francia, degli Stati uniti dell’Unione europea.
Soltanto ora, dopo l’uscita di scena di Ben Ali si è presa la decisione di bloccare gli averi in Svizzera.
swissinfo.ch: Come può decidere una banca se un presidente di uno Stato è corrotto e se i fondi depositati in Svizzera sono stati sottratti illegalmente?
M. P.: La situazione va analizzata su due piani. Dapprima, la banca deve impegnarsi a controllare le “persone politicamente esposte “ (Pep’s). Ciò non significa che non si debbano aprire conti per i politici, ma bisogna riflettere in maniera approfondita sui rischi che si corrono.
Poi va considerato che un istituto bancario non può sempre sapere a chi appartiene il denaro. È facile, infatti, nasconderne la provenienza. Soltanto dopo una ricerca approfondita è possibile risalire alla persona a cui appartiene.
swissinfo.ch: Cosa ha fatto finora la Svizzera per risolvere questa difficoltà.
M. P.: La Svizzera si trova ora in una situazione migliore rispetto a prima poiché si è dotata di una legislazione che le permette di correre in aiuto a Stati che non sono in grado di avviare le procedure legali per riavere i soldi sottratti illegalmente.
Con l’introduzione della Lex Duvalier, la Svizzera avrà non solo la possibilità di congelare, ma anche di ritirare i fondi definitivamente e di consegnarli al Paese a cui appartengono. Questo dopo che è stata inoltrata dallo Stato interessato una domanda d’assistenza giudiziaria e dopo che la Corte suprema elvetica ha preso una decisione.
swissinfo.ch: Il congelamento di tre anni è sufficiente?
M. P.: È difficile da stabilire. Dipende se il Paese è in grado di avviare un procedimento giudiziario. Presumo, tuttavia, che anche dopo lo scadere di questo periodo ci potrebbe essere la possibilità di prolungare il congelamento.
swissinfo.ch: La Svizzera è ancora considerata all’estero un Paese in cui è possibile deporre in maniera sicura gli averi di dittatori?
M. P.: No, si tratta in un’immagine che appartiene al passato.
Sarei sorpreso, se la famiglia di Ben Ali avesse scelto la Svizzera per nascondere i propri soldi. Se fossi Ben Ali avrei deposto i fondi in Francia o negli Emirati arabi. Scegliere la piazza finanziaria elvetica non sarebbe molto intelligente.
In Svizzera, infatti, è in atto da tempo un dibattito in merito a questi soldi sporchi. Se un potente è stato attento a queste vicende, ha sicuramente spostato i propri averi altrove.
La Dichiarazione di Berna, il Partito socialista (PS) e i tunisini in esilio hanno reagito positivamente alla decisione del Consiglio federale di bloccare con effetto immediato eventuali averi detenuti in Svizzera dal presidente tunisino deposto Ben Ali e dal presidente ivoriano sconfitto alle ultime elezioni Laurant Gbagbo e dai loro entourage.
Il PS è soddisfatto della decisione del Consiglio federale, considerata un segnale forte. In questo modo – ha affermato il portavoce Jean-Yves Gentil – le autorità garantiscono al popolo tunisino che il denaro resterà bloccato fino a quando sarà determinato il legittimo proprietario.
Stando a Olivier Longchamp della Dichiarazione di Berna non è certo che Ben Ali e Gbagbo abbiano effettivamente dei conti in Svizzera. Se invece dovessero esistere – ha affermato Longchamp –
significherebbe che la Legge sul riciclaggio di denaro non viene rispettata dalle banche elvetiche, sebbene sia in vigore dal 1998.
Per l’Associazione svizzera dei banchieri, invece, la decisione del Consiglio federale dimostra al contrario che il sistema svizzero funziona. Gli strumenti a disposizione sono i migliori a livello internazionale.
È professore di diritto penale all’università di Basilea, presidente del gruppo di lavoro dell’OCSE sulla corruzione nelle operazioni economiche internazionali e membro della Commissione federale delle case da gioco.
In precedenza è stato membro della Commissione d’inchiesta indipendente sul programma Oil-for-Food in Iraq e del Gruppo d’azione finanziaria sul riciclaggio dei capitali.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che aumenta di circa duemila unità, fino al 30 giugno 2011, il contingente dell’Onu dispiegato in Costa d’Avorio.
A questo punto, il Palazzo di vetro potrà contare su un totale di circa 11’500 militari.
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