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Dagli Stati Uniti alla Svizzera, come la lobby della carne ci influenza

Carne
Keystone/DPA/Martin Schutt

Possiamo ancora mangiare carne con la coscienza pulita, anche se è accusata di mettere in pericolo la nostra salute e il pianeta? Di fronte alle critiche, la lobby della carne, su cui RTS ha indagato, si difende con argomenti contestati, in particolare sminuendo il ruolo dell'allevamento nel riscaldamento globale.

Innanzitutto, chi rappresenta questa lobby della carne? A prima vista, sono solo due le persone in Parlamento legate alle due principali organizzazioni ombrello dell’industria: Proviande, che riunisce i principali produttori e distributori come Migros e Coop, e l’Unione professionale svizzera della carne (UPSC), il braccio più politico del settore.

Ma un’indagine condotta dal programma televisivo della RTS Temps Présent mostra un numero molto maggiore di legami di interesse. Sulla base dei dati disponibili online, abbiamo scoperto una rete ben sviluppata che collega ventisette organizzazioni e imprese agricole, in particolare quelle legate alla produzione di carne, con sedici parlamentari. Esistono inoltre legami indiretti con altri due parlamentari.

Dieci miliardi di fatturato

“Sì, l’industria della carne è ben rappresentata a Berna”, commenta Mike Egger, consigliere nazionale UDC (Unione democratica di centro, destra conservatrice) di San Gallo, che fa parte di questa rete. È anche responsabile di progetto per Micarna (Migros). “Non capisco assolutamente questa demonizzazione della carne. È un alimento molto sano, che contiene importanti sostanze nutritive. E in Svizzera l’agricoltura, in particolare l’allevamento, sta facendo un ottimo lavoro in termini di sostenibilità”, aggiunge.

Il settore della carne genera un fatturato di dieci miliardi di franchi svizzeri all’anno e dà lavoro a migliaia di persone. Egger non è quindi soddisfatto della nuova strategia climatica della Confederazione, che intende ridurre la produzione di carne. Pubblicata nel settembre 2023, vuole incoraggiare i nostri agricoltori e agricoltrici a produrre più proteine vegetali, attraverso pagamenti diretti.

“Leggeremo ed esamineremo questa strategia”, afferma Mike Egger. “Sicuramente ne discuteremo, ma sono fiducioso. Le richieste di questa strategia non avranno un grande impatto, perché in fin dei conti vogliamo un’agricoltura produttiva. È questo che sono determinato a difendere”.

L’esempio climatico

La lobby della carne ha sviluppato una strategia di comunicazione di grande impatto per sminuire il ruolo dell’allevamento nel cambiamento climatico e contestare le conclusioni degli esperti internazionali.

Le sue argomentazioni sono diffuse attraverso articoli sponsorizzati, come una pagina pubblicata su Le Matin Dimanche, in cui si afferma che “il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) è recentemente giunto alla conclusione che l’attuale algoritmo per il calcolo delle emissioni di gas serra sta portando a sovrastimare massicciamente le tendenze della temperatura globale”.

“In questo caso si tratta chiaramente di disinformazione. Abbiamo a che fare con fatti totalmente errati e persino fuorvianti”, afferma Valentine Python, climatologa ed ex consigliera nazionale (Verdi/Canton Vaud). “Non solo si fa credere che un’organizzazione scientifica, in questo caso l’IPCC, affermi cose che non ha detto, ma le si fa dire l’esatto contrario di quanto sostiene in realtà. Si tratta quindi di negazionismo scientifico”.

Altri sviluppi

Cinque milioni investiti

In un video pubblicato sul suo sito web, l’Unione svizzera dei contadini (USC) sottolinea anche che le conclusioni di un esperto statunitense, Frank Mitloehner, specialista della qualità dell’aria, sminuiscono il ruolo dell’allevamento nel riscaldamento globale. Eppure, anche questo scienziato è molto vicino alla potentissima industria della carne americana.

“Più di cinque milioni di dollari sono stati investiti dall’industria della carne nel centro di ricerca Clear Center, creato appositamente per lui presso l’Università della California”, afferma Jennifer Jacquet, docente di politica ambientale all’Università di Miami. “Quello che trovo molto interessante è che non ha alcuna formazione in materia di clima e parla dei cicli della Terra, delle emissioni e del metano come se fosse un guru dei gas serra. Il suo obiettivo è difendere l’industria della carne e dei latticini”.

Allora perché questo controverso esperto è presente in un video dell’USC? “Non posso mettermi nei suoi panni. Non posso giudicare il finanziamento di questo professore o qualsiasi altra questione”, risponde Michel Darbellay, membro dell’esecutivo dell’USC. “Oggi l’allevamento e il consumo di carne sono troppo spesso stigmatizzati. Per noi è importante fare chiarezza, poter contare su basi scientifiche e assumerci le nostre responsabilità. Ci siamo affidati anche ad alcuni scienziati che potevano darci indicazioni. E ci sono nuove conoscenze a livello internazionale per valutare meglio l’impatto del metano sul clima”.

Progetti europei sospesi

Anche in Svizzera uno dei colleghi di Frank Mitloehner si interroga sull’impatto dell’allevamento sul riscaldamento globale. Peer Ederer, consulente agroalimentare con sede a Rapperswil (Canton San Gallo), è uno dei coautori della Dichiarazione di Dublino, un appello internazionale lanciato alla fine del 2022 che difende l’allevamento di animali per nutrire il pianeta. “Una minoranza di scienziati ha imposto le proprie posizioni contrarie alla carne e all’allevamento”, afferma Ederer.

“Crediamo che la maggioranza e degli scienziati non sia d’accordo con loro. Con la Dichiarazione di Dublino, abbiamo dato loro l’opportunità di esprimere il proprio punto di vista sul fatto che l’allevamento ha un ruolo importante da svolgere nella società. In tutte le principali capitali politiche del mondo, certamente a Bruxelles, Berlino, Washington, Canberra, i ministeri interessati sono tutti a conoscenza della Dichiarazione di Dublino. È un successo”, continua il consulente.

“La dichiarazione non dice assolutamente nulla sull’impatto sulla salute, sul clima o sull’ambiente”, afferma Camille Perrin, specialista di politica agricola presso il BEUC di Bruxelles, la principale organizzazione europea che rappresenta le associazioni dei consumatori. “È stata usata per creare dubbi sul consenso esistente sulle ripercussioni del nostro consumo di carne e per fornire munizioni ai politici che vogliono opporsi a strategie ambientali ambiziose”. In effetti, la Dichiarazione ha contribuito alla sospensione o al blocco di progetti europei volti a ridurre il consumo di carne.

In Svizzera, è molto probabile che anche la strategia climatica della Confederazione finisca nel dimenticatoio in Parlamento.

Anche per quanto riguarda la salute, le lobby mettono in dubbio i rischi associati al consumo di prodotti a base di carne. Nel 2015 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la carne rossa come probabile cancerogeno e la carne lavorata (ad esempio i salumi) come cancerogeno certo.

“Penso che questa classificazione dovrebbe essere ritrattata”, afferma il consulente agroalimentare svizzero Peer Ederer. “Se l’OMS vuole mantenere una qualche credibilità, deve ritirare o rivedere questa classificazione, perché non c’è nessuna prova scientifica, nessuna base”.

La professoressa Murielle Bochud, epidemiologa dell’Università di Losanna (UNIL) e membro della Commissione federale per la nutrizione, è molto più cauta: “Dobbiamo separare la carne non lavorata da quella lavorata. Al momento non ci sono prove certe che il consumo di carne non lavorata sia dannoso per la salute. Le ultime sintesi delle conoscenze mostrano un alto livello di incertezza, cioè i risultati dei vari studi sono eterogenei. La situazione è diversa per le carni lavorate. In base alle conoscenze attuali, esiste un certo livello di rischio di sviluppare determinate malattie. Se si mangia molta carne lavorata, aumenta il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro, malattie cardiovascolari e diabete”.

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Tradotto con l’aiuto di Deepl/Zz

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