L’associazione come palestra di democrazia
Di associazioni ce ne sono a decine di migliaia in tutto il Paese. In un certo senso fanno parte del DNA della Svizzera e permettono ai loro membri di muovere i primi passi nella nostra democrazia, così Fanni Dahinden del centro di competenza vitamina B a Zurigo. L’organizzazione sostiene i comitati e i volontari con consulenze e informazioni.
Le associazioniCollegamento esterno sono una costante nella vita delle persone in Svizzera. Ci accompagnano dalla culla alla bara. C’è, per esempio, il centro di assistenza al parto naturale, il gruppo giochi, la società di ginnastica, la corale, la bocciofila o gli amici della scopa. E alla nostra dipartita c’è forse un’associazione che organizza per noi una cerimonia funebre dignitosa.
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Nessun obbligo di registrazione
In Svizzera ci sono dalle 70mila alle 100mila associazioni. Non se ne conosce il numero esatto poiché non c’è l’obbligo di registrazione. «È una prassi che spesso sorprende gli stranieri», indica Christa Camponovo, ex direttrice e oggi consulente dell’organizzazione vitamina BCollegamento esterno. La incontriamo nel suo minuscolo ufficio a Zurigo. Il centro di competenza vitamina B sostiene le associazioni, i volontari, i membri dei comitati con informazioni, consulenze e corsi di aggiornamento. Vitamina B è finanziata dal Percento culturale MigrosCollegamento esterno.
A stupire non è tanto il fatto che una piccola associazione di paese non debba iscriversi in un registro nazionale, bensì che questa regola valga anche per la FIFA, la potente Federazione internazionale del calcio. In altri Stati, la legge prescrive di comunicare alle autorità l’intenzione di creare una società. In Germania, per esempio, al nome dell’associazione si pospone la sigla e.V., dal tedesco «eingetragener Verein», ossia associazione registrata. In Paesi retti da regimi autoritari, l’obbligo di registrazione è uno strumento di controllo o addirittura di repressione.
Primi passi in democrazia
Ma torniamo di nuovo in Svizzera. Tre persone bastano per dare vita a un’associazione. Poi vanno elaborati gli statuti, in cui deve essere specificato lo scopo dell’associazione. E il gioco è fatto. Un’altra particolarità, definita nel Codice civile svizzero, è la responsabilità. «Il patrimonio sociale risponde delle obbligazioni dell’associazione. Salvo disposizione contraria degli statuti, tale responsabilità è esclusiva», recita l’articolo 75a Cbis. Così, quando un gruppo di persone intende aprire un conto bancario per raccogliere fondi per motivi filantropici, fonda un’associazione, dice Camponovo.
Le associazioni sono importanti per muovere i primi passi in democrazia, sottolinea dal canto suo Fanni Dahinden, direttrice di vitamina B: «Le associazioni hanno una struttura democratica; il massimo organismo è l’assemblea». Un elemento centrale del funzionamento di un’associazione è la ricerca del compromesso durante il processo decisionale. «Il presidente non gestisce la società come un CEO», aggiunge Camponovo.
Tuttavia non sempre chi è alla testa vuole piegarsi alla volontà dell’assemblea. Le due esperte sono già state confrontate con situazioni in cui i presidenti volevano tenere nascoste alcune voci del consuntivo annuale dell’associazione; un’intenzione che si scontra con l’obbligo di rendiconto, indica ancora Camponovo.
Figli della rivoluzione elvetica…
Le prime associazioni risalgono all’Illuminismo, periodo compreso tra le guerre di religione del 17° secolo e la rivoluzione francese del 1789. Erano aggregazioni volontarie di singoli cittadini, di norma appartenenti alle élite sociali, che si univano per discutere su questioni riguardanti la società.
Ma è solo con la Rivoluzione elvetica, con l’abolizione delle corporazioni (società ordinate per ceti o mestieri), che le associazioni possono finalmente partecipare alla discussione sul futuro del Paese. Su mandato di vitamina B, la storica di Basilea Beatrice Schumacher ha pubblicato di recente uno studio sulla storia delle associazioni in SvizzeraCollegamento esterno.
La storica ricorda che le associazioni non vanno idealizzate. «Queste servivano spesso per imporre gli interessi di un gruppo specifico di persone», spiega Schumacher. Per un lungo periodo ne facevano parte solo gli uomini della borghesia; le donne e gli operai erano esclusi. È solo a partire dagli anni Settanta che, per esempio, le società di tiro o di musica accolgono le donne tra le loro fila. Inoltre, un membro non aveva molta voce in capitolo: le decisioni venivano prese dal comitato. «Ci si deve quindi chiedere se le cooperative non siano più democratiche», sostiene la storica.
…specchio dello spirito del tempo
Le associazioni godono di grande popolarità in Svizzera. Ogni anno ne vengono fondate di nuove; negli ultimi anni soprattutto dalle persone appassionate di giardinaggio negli spazi urbani, dai fautori dell’alimentazione vegana, dai numerosi volontari che si occupano dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti.
In questo momento, le associazioni attive nell’ambito dell’aiuto ai rifugiati non hanno alcuna difficoltà a trovare volontari, ricorda Camponovo. In Svizzera, le strutture di accoglienza dei richiedenti l’asilo richiedono un coinvolgimento maggiore dei cittadini, in maniera particolare nelle zone rurali dove vengono proposte gratuitamente lezioni di tedesco.
Capita anche che di ritorno da un viaggio in un Paese in via di sviluppo, gli svizzeri diano vita a un progetto umanitario. Le associazioni tradizionali hanno invece più difficoltà a trovare nuovi membri. Ed è in tali frangenti che entrano in gioco le collaboratrici di vitamina B: aiutano le associazioni a sviluppare un’offerta più accattivante.
Nella città di Zurigo, per esempio, l’associazione del quartiere Entlisberg ha costruito e gestisce un pollaio. Chi si occupa delle galline entra così maggiormente in contatto con i vicini. Un’associazione femminile propone corsi di tedesco in un parco cittadino. È solo rinnovandosi che le associazioni possono guardare con fiducia al futuro.
Traduzione di Luca Beti
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