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“Dovremo sopportare per anni il costo del salvataggio di Credit Suisse”

Anche se la Svizzera si vanta volentieri di essere un modello di democrazia, né il Parlamento né il popolo hanno avuto voce in capitolo nel salvataggio di Credit Suisse. "Si tratta di un diniego della democrazia", affermano la giornalista economica Myret Zaki e l'economista Marc Chesney nel nostro dibattito.

“Ci hanno imposto una soluzione raffazzonata in due giorni, quando abbiamo avuto 15 anni per prendere misure. Ciò è contrario alla democrazia”, critica l’economista Marc Chesney. Secondo lui, l’acquisizione della seconda banca elvetica da parte della rivale UBS con le garanzie della Confederazione, annunciata il 19 marzo, non risolve nulla.

Professore di matematica finanziaria all’Università di Zurigo, Chesney mette in guarda da anni dal rischio rappresentato da giganti bancari come Credit Suisse. Accusa il potere pubblico di aver volontariamente chiuso gli occhi su questi problemi invece di prendere misure per evitare un nuovo disastro bancario. “Sapevamo fin dalla crisi finanziaria del 2008 che le grandi banche erano sottocapitalizzate, poco trasparenti e che trattavano volumi deliranti di prodotti derivati che sono in pratica delle scommesse all’interno di un sistema di finanza-casinò”, afferma.

Il sistema bancario ombra sotto accusa

Per mettere a disposizione 109 miliardi di franchi in modo da garantire l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS, il Consiglio federale è ricorso al diritto d’urgenza, aggirando così il legislativo. Una procedura che si avvicina a “un diniego della democrazia”, afferma la giornalista economica Myret Zaki. “Il contribuente non ha avuto voce in capitolo anche se porterà sulle spalle il costo del salvataggio di Credit Suisse per anni”, sostiene.

La giornalista accusa in particolare il cosiddetto sistema bancario ombra (“shadow banking”) di essere responsabile del crollo di CS. “Dopo la crisi del 2008 abbiamo imposto delle regole alle banche, ma non abbiamo per nulla regolamentato la finanza non bancaria, ovvero le operazioni che non figurano nel bilancio delle banche”, spiega l’esperta. La speculazione, che prima si faceva all’interno degli istituti bancari, si fa ormai all’esterno, nel mondo dello shadow banking.

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Dibattito
Moderato da: Katy Romy

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L’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS è il tema del nostro dibattito Let’s Talk. Condividete con noi le vostre opinioni!

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“Un ottavo consigliere federale”

Il matrimonio tra UBS e Credit Suisse fa nascere una banca dal peso senza precedenti nella storia elvetica. Chesney e Zaki sono d’accordo nell’affermare che questo nuovo istituto è troppo grande per la Svizzera e che il Governo potrebbe di nuovo dover accorrere in suo aiuto.

“Abbiamo a che fare a un mastodonte, con un bilancio di dimensioni tali da rappresentare quasi due volte il PIL della Svizzera, addirittura 40 volte se si contano le operazioni fuori bilancio”, precisa Chesney. L’economista ritiene che le dimensioni della nuova banca le permetteranno di imporre la sua volontà al Paese. “È come se ormai avessimo un ottavo consigliere federale, il direttore di UBS. Non l’abbiamo eletto, ma è più potente degli altri sette”, dice.

Per evitare un nuovo disastro bancario, Zaki e Chesney chiedono quindi al mondo politico di mettere in atto delle contromisure. Entrambi dubitano tuttavia della volontà dei rappresentanti eletti/e. “Temo che i partiti di destra abbiano solo intenzione di aspettare che la collera popolare si plachi”, dice Zaki.

La giornalista economica si rammarica anche che la sessione straordinaria del Parlamento tenutasi a metà aprile non sia sfociata in nessuna decisione concreta. Il rifiuto della Camera bassa di approvare le garanzie federali non ha infatti nessun valore giuridico. “Il Parlamento non ha nemmeno deciso formalmente di instaurare una commissione di inchiesta parlamentare (CEP)”, ricorda.

Una CEP è lo strumento più potente di cui dispone il legislativo. Permetterebbe al Parlamento di indagare per stabilire le responsabilità delle autorità nell’acquisizione del Credit Suisse.

L’inazione della politica irrita anche Chesney. “Eppure sappiamo ciò che bisognerebbe fare: aumentare i capitali propri degli istituti bancari, separare la banca d’affari dalla banca di deposito, introdurre una microtassa sulle transazioni e, naturalmente, ridurre i bonus dei dirigenti delle grandi banche”, elenca l’esperto.

Se il crollo di Credit Suisse non avrà conseguenze, le banche continueranno a prendersi dei rischi, è convinto l’economista. “Le grandi banche sanno che il contribuente pagherà la fattura e che il mondo politico terrà gli occhi ben chiusi. In questo modo, non hanno nessun motivo per cambiare il proprio comportamento”, dice.

Il silenzio del mondo accademico

Chesney punta il dito anche contro il mondo accademico, che non ha lanciato l’allarme. “Molti professori ricevono dei complementi salariali direttamente dalle grandi banche. Non produrranno dunque un’analisi critica. Siamo confrontati con questo fenomeno in numerosi atenei elvetici”, osserva.

Il professore di matematica finanziaria constata anche che l’attualità finanziaria viene menzionata di rado all’università. “Quando un professore riceve dei complementi salariali da Credit Suisse, eviterà di parlare del fallimento dell’istituto”, afferma,

+++ La cronaca dettagliata dell’operazione di salvataggio di Credit Suisse in questa traduzione di un articolo del Financial Times.

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